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LETTERA

La fede? Cresce solo in una dimensione comunitaria

Sono solo 5 i precetti della Chiesa e in testa c'è la partecipazione alla messa domenicale: così, uniti di fronte alla presenza reale di Cristo, siamo chiamati avivere la dimensione comunitaria, perché la comunità è essenziale alla vita di ognuno. Il "noi" è legge della realizzazione del' "io".

Educazione 04_10_2016
messa

Caro direttore,

chi non conosce realmente la Chiesa, pensa che noi cattolici siamo schiacciati da una miriade senza fine di obblighi e di precetti che, secondo loro, toglierebbero fiato e libertà alla nostra vita. Nulla di più contrario alla realtà. In verità, sono i cosiddetti liberi pensatori che si stanno caricando, moralisti come sono, di un numero sempre più impressionante di regole e regolette, mentre la Santa Madre Chiesa ha fissato solo nel numero di 5 quelli che essa stessa ha denominato “precetti”. Ebbene sì, solo 5 precetti.

Tra questi 5 e semplici precetti (che ogni medio cattolico comune può rispettare), al primo posto è stato messo quello di partecipare alla S. Messa della domenica e delle altre feste di precetto. Mi ha sempre colpito che la Chiesa chieda ad ognuno di noi il minimo possibile e che in testa a questo minimo abbia posto la Messa domenicale. La Chiesa, cioè, non ci obbliga (anche se ci consiglia) a particolari gesti di pietà; ci obbliga, invece, a metterci insieme a tutti gli altri cattolici almeno una volta la settimana, per stare uniti di fronte alla presenza reale di Cristo. Questo mettersi insieme costituisce la dimensione originale del riconoscerci come cristiani ed è stato ciò che ha convertito, nei Promessi Sposi, quel grande peccatore che era l’Innominato, quando ha visto, dall’alto del suo tenebroso castello, i fedeli affrettarsi per partecipare proprio alla Messa.

In altre parole, la Chiesa, nei suoi pochissimi precetti, ci obbliga a costituirci in comunità almeno la domenica, affinché questa sia la dimensione con cui, poi, vivere l’intera settimana. Forse, negli ultimi secoli tanti cristiani hanno dimenticato questa dimensione, concentrandosi, piuttosto, su troppe regole (come i laicisti).

Ho avuto la ventura di incontrare un uomo che, anticipando anche il Concilio, ha riscoperto questa dimensione comunitaria, offrendola a tutti noi come elemento indispensabile e costitutivo dell’esperienza cristiana. Si tratta, ancora una volta, del servo di Dio don Luigi Giussani. Lascio direttamente a lui le parole scritte in alcuni suoi libri.

In Il cammino al vero è un’esperienza (SEI), possiamo leggere: “Per quanto intelligente, volonteroso e attivo, uno sforzo per proporre la realtà cristiana che volesse rimanere individuale e prescindesse da un sistematico riferimento alla comunità non sarebbe uno sforzo sicuro” perché “l’energia della libertà riesce facilmente a vincere solo se si appoggia ad una comunità” (pag.17). Mentre, a pagina 65, don Giussani scrive :"La comunità diventa essenziale alla vita stessa di ognuno. La solidarietà umana diventa Chiesa. Il ‘noi’ diventa pienezza dell’ 'io', legge della realizzazione dell’io’ ".

In Porta la speranza (Marietti) don Giussani ribadisce che, per una energica azione educativa occorre “instillare il profondo senso della comunità” (pagina 27). E poi, a pagina 72, scrive:”Far vivere ai giovani una genuina comunità cristiana: questo è il fondamento dell’educazione. Vivendo questa comunità cristiana, ecco che sentiranno scaturire in sé tutte le dimensioni cristiane nel loro fascino, nel loro richiamo, e cercheranno di fare quello che possono, secondo quello che la loro libertà e la grazia di Dio permetterà loro”.

Nelle Conversazioni con Robi Ronza (Bur Rizzoli), don Giussani diceva: “Il ricostruirsi di una realtà cristiana vissuta, e il suo necessario svolgersi in legami comunitari a tutti i livelli  e in tutte le espressioni della vita, è l’unico vero e specifico apporto dei cristiani a quel tentativo universale di migliorare la propria condizione in cui gli uomini sono sempre impegnati” (pagina 25). Ed a pagina 31, a proposito della dimensione comunitaria, così si esprimeva: “Per la prima volta si introduceva nella gnoseologia comune la tesi secondo cui la dimensione comunitaria determina la possibilità stessa del percepire e del conoscere, e che non l’enfiagione aristocratica della volontà, ma piuttosto la povertà del riconoscersi in una comunità che coinvolga il proprio essere, rende possibili gesti morali e in genere un livello etico che di solito all’individuo non sono facilmente concessi”.

Caro direttore, mi pare che don Giussani ci abbia insegnato che l’andare a Messa la domenica non è un gesto di pura pietà, ma è l’immergersi in una dimensione comunitaria, che è essenziale per la nostra esperienza cristiana, anche perché sconfigge alla radice ogni tentazione individualistica. Ogni io cristiano è ontologicamente un noi.