La famiglia così com'è: anarchica, trascendente, carnale
Ma che cos'è una famiglia?, di Fabrice Hadjadj, tratta di amore, educazione e libertà, di trascendenza e di mutande, di mariti e di mogli, di padri, madri e figli. Tratta di cose evidenti, così evidenti che è meglio ricominciare a parlarne. Il libro viene presentato oggi in Italia al Centro Culturale di Milano alle 21.
La famiglia non si fonda anzitutto su un progetto, ma su un desiderio. Un figlio non è un diritto, ma un fatto. L'autorità di un padre non proviene da una competenza, ma da un dono.
Fabrice Hadjadj (Nanterre, 1971) ha la straordinaria capacità di far impallidire i luoghi comuni alla luce dell'evidenza. E quando parla di famiglia parla della realtà più concreta, vera e presente della sua vita. Non una bandiera da sventolare, né un'idea da difendere, ma Joseph che vuole il succo di mela, Jacob che batte sulla tastiera del pc senza permesso, Esther che scrive libri, ed Elisabeth, Marta, Judith. La famiglia sono loro, i suoi figli, ed è Siffreine, sua moglie, attrice, con il suo volto, la sua voce, le sue curve. Una realtà così vicina e così evidentemente misteriosa.
Filosofo, scrittore, drammaturgo, «ebreo di nome arabo e di confessione cattolica», come si definisce lui, nel corso del 2014 è stato più volte invitato o sollecitato a intervenire sul tema della famiglia, a Parigi, a New York, nelle aule dell’Institut Philanthropos di Bourguillon dove insegna, in conferenze e convegni. Colpa, «benché a titolo e gradi per lo meno diversi», della Chiesa cattolica con il suo Sinodo, dei movimenti Lgbt, del programma Abcd dell’uguaglianza, dell'uomo che sottomette la natura «al suo atteggiamento prometeico, prima di coglierla nella sua promessa».
In quegli interventi Hadjadj ha citato Socrate e Giovanni Paolo II, Chesterton e Rousseau, ha parlato di amore, educazione e libertà, della differenza tra i sessi e del legame tra le generazioni, della tavola che ci fa incontrare e del tablet che ci assorbe, dell'umiltà del pensiero forte e di «quel che abbiamo di più vergognosamente carnale», nelle mutande, «segno che io non sono fatto per me stesso, ma che, nella mia stessa carne, tendo, vado verso altri». Così come l'ombelico «è il segno che non mi sono fatto da me stesso, ma che vengo da altre persone», i miei genitori. Così, torna di nuovo facile spiegare che un bambino discende da un uomo e da una donna, più facile di quanto non lo sia sostenere che l’uomo discende dalla scimmia, perché, ci ricorda Hadjadj, nel caso del bambino non si tratta di una tesi da spiegare, anzi «non si tratta neanche di una tesi, ma di un dato assolutamente iniziale, come l’esistenza del mondo esterno».
E ancora, ci fa notare, che per niente al mondo vale la pena di «barattare la famiglia con un club d’incontri o una fabbrica d’androidi», perché la famiglia, coi suoi legami stringenti (non "scelti", nessuno sceglie quando e dove nascere), è la palestra esistenziale di cui abbiamo bisogno. Attraversata da conflitti, da fallimenti, da offese che suscitano il rancore e che esigono il perdono, «è l’avventura della nostra umanità. È l’esercizio della nostra carità». Ma gli spunti offerti da Fabrice Hadjadj, frutto di riflessioni sapienti, ma anche di tanta esperienza sul campo, sono molti di più e meritano tutti di essere approfonditi.
La raccolta di questi testi, già pubblicata in Francia un anno fa, esce ora finalmente anche in Italia. Oggi a Milano, la presentazione del libro alle 21.00, presso la sala Sant’Antonio di Via Sant’Antonio 5. Sarà lo stesso autore a parlarne, insieme a Eugenia Scabini, psicologa della famiglia e docente emerito. L'incontro è promosso dal Centro Culturale di Milano.
Ma che cos'è una famiglia? La trascendenza nelle mutande & altri discorsi ultra-sessisti, di Fabrice Hadjadj, pp. 184, Ares, 16 euro.