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Il caso

La falsa intervista a Falcone, una figuraccia per Gratteri

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Tiene banco lo scivolone di Gratteri a DiMartedì, dove il procuratore, senza verificare, ha citato una falsa intervista a Falcone per dire che anche il giudice ucciso dalla mafia era contro la separazione delle carriere. Una gaffe specchio di un clima sempre più polarizzato.

Editoriali 14_11_2025

Sono passati alcuni giorni dal clamoroso scivolone televisivo che ha coinvolto il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, e la vicenda continua a far discutere. Durante la trasmissione DiMartedì su La7, il magistrato ha letto sul proprio smartphone un passaggio che attribuiva a Giovanni Falcone una posizione contraria alla separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti. Peccato che quelle parole non siano mai state pronunciate dal giudice ucciso a Capaci nel 1992. L’intervista, presentata come rilasciata a Repubblica il 25 gennaio di quell’anno, semplicemente non esiste.

Gratteri ha citato il presunto testo come prova che Falcone condividesse la sua posizione contro la riforma della giustizia promossa dal ministro Carlo Nordio, oggi al centro di un prossimo referendum costituzionale. Secondo quanto letto in diretta, Falcone avrebbe detto: «Una separazione delle carriere può andare bene se resta garantita l’autonomia e l’indipendenza del pubblico ministero, ma temo che si voglia subordinare la magistratura all’esecutivo. Questo è inaccettabile». Parole che, tuttavia, nessuna testata ha mai pubblicato e che da anni circolano solo sui social come falsa citazione (fake quote).

La prima a intervenire è stata proprio Repubblica, il quotidiano chiamato in causa, che ha definito quella presunta intervista «totalmente inventata». Sul suo sito è comparso un video della puntata di DiMartedì con un titolo inequivocabile: «Gratteri legge una falsa intervista a Falcone». Nella descrizione, la redazione ha precisato che il magistrato palermitano non fu mai contrario alla separazione delle carriere, anzi ne aveva più volte riconosciuto la necessità in un’ottica di chiarezza e trasparenza del ruolo dei magistrati.

A fare parziale autocritica è stato anche Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano, che aveva citato la stessa falsa intervista in un articolo precedente. Travaglio ha ammesso l’errore spiegando che la frase «rifletteva il pensiero di Falcone» ma proveniva da fonti sbagliate. «Quando sbagliamo, ci scusiamo con i lettori», ha scritto, riconoscendo la leggerezza nella verifica delle fonti.

Nonostante la valanga di smentite, Gratteri non ha ritrattato pubblicamente in modo netto. In un’intervista al Foglio ha ammesso di aver «letto in diretta ciò che gli era stato inviato da persone affidabili», precisando di essersi fidato di «fonti autorevoli dell’informazione». Una giustificazione che, tuttavia, ha suscitato ulteriori critiche. «La verità è che spesso decontestualizziamo frasi dette trent’anni fa e le adattiamo all’attualità», ha aggiunto, evitando di riconoscere apertamente che la citazione fosse del tutto inventata. Il magistrato ha poi spostato l’attenzione su un altro piano, chiedendosi perché Falcone, oggi celebrato come simbolo dell’antimafia, «non fosse stato sostenuto quando era in vita». Un’osservazione che ha poco a che fare con l’errore commesso ma che rivela il disagio di un protagonista finito in un vortice mediatico che non accenna a placarsi.

L’episodio arriva in un momento delicato: la riforma della giustizia proposta dal governo Meloni e dal ministro Nordio, che prevede appunto la separazione delle carriere, è destinata a dividere il Paese nel referendum della prossima primavera. Gratteri è tra i volti più noti del fronte del “No”, convinto che la riforma metta a rischio l’autonomia della magistratura. Tuttavia, il suo errore rischia di indebolire la credibilità dell’intero movimento contrario alla riforma, fornendo ai sostenitori del “Sì” un argomento potente: se perfino un procuratore di lungo corso può cascare in una bufala, quanto è solido il fronte che si oppone al cambiamento?

La questione, però, va oltre la battaglia politica. La falsa intervista letta in diretta rappresenta un campanello d’allarme per il sistema dell’informazione, sempre più vulnerabile alla disinformazione digitale. Possibile che nessuno, né in redazione né nello staff del magistrato, abbia verificato la fonte prima della messa in onda? In un’epoca in cui le notizie circolano alla velocità dei social, la leggerezza di un singolo può diventare un boomerang che mette in crisi istituzioni e fiducia pubblica. Molti osservatori hanno sottolineato anche la gravità morale di strumentalizzare figure come Falcone e Borsellino per sostenere tesi politiche contemporanee. Attribuire loro parole mai pronunciate è un atto che offende la memoria di chi ha sacrificato la vita per la legalità. Sia a destra che a sinistra, nel corso degli anni, si è spesso cercato di “arruolare” i due magistrati in battaglie ideologiche. Ma la verità storica è che Falcone era un giurista pragmatico, favorevole a modernizzare la giustizia, non come viene oggi rappresentato.

La “bufala Gratteri” non è soltanto una gaffe televisiva: è lo specchio di un clima culturale sempre più polarizzato, dove anche il tema della giustizia — che dovrebbe unire i cittadini nel nome dell’equità — diventa terreno di scontro politico. Invece di concentrarsi sul merito della riforma, il dibattito si è ridotto a una guerra di slogan e citazioni falsate. L’ingenuità di Gratteri, per quanto umana, dimostra quanto sia urgente riportare la discussione su un piano di serietà e rigore. La giustizia non è una bandiera di parte, ma un bene comune. E solo riconoscendo i propri errori — senza giustificazioni e senza retorica — si può restituire credibilità a un sistema che i cittadini percepiscono sempre più distante.