La dittatura dei media: la violenza è solo a destra
La narrazione dei media sui fatti d’America sta sterzando nel surreale. A giudicare dai nostri telegiornali, così come sui maggiori quotidiani, a Portland dei sostenitori di Trump si sono scontrati con gli “antirazzisti” e alla fine c’è scappato il morto. Quel che è successo a Portland è ben diverso: un sostenitore di Donald Trump, simpatizzante del movimento di destra religiosa Patriot Prayers, rimasto isolato, è stato assassinato da un militante Antifa a colpi di pistola. Questo è solo l’ultimo esempio di come i fatti vengono distorti, come già avvenuto a Kenosha. E a Berlino
La narrazione dei media sui fatti d’America sta sterzando nel surreale. A giudicare dai nostri telegiornali, così come sui maggiori quotidiani, a Portland dei sostenitori di Trump si sono scontrati con gli “antirazzisti” e alla fine c’è scappato il morto. Quel che è successo a Portland è ben diverso: un sostenitore di Donald Trump, simpatizzante del movimento di destra religiosa Patriot Prayers, rimasto isolato, è stato assassinato da un militante Antifa a colpi di pistola. Questo è solo l’ultimo esempio di come i fatti vengono distorti sulla base di un’ideologia sempre più pervasiva.
Nel pomeriggio del 29 agosto, a Portland, Oregon (costa del Pacifico), città tradizionalmente a maggioranza liberal, dopo tre mesi di insurrezione di Black Lives Matter (BLM) e Antifa, la “maggioranza silenziosa” ha reagito con un corteo di pick up, il veicolo più tradizionale del West, con bandiere americane al vento, musica country e striscioni pro-Trump. Il corteo era pacifico, ma gli Antifa e BLM lo hanno visto come una provocazione. Un’auto si è messa di mezzo per dividere la carovana di pick up, sono volati insulti e oggetti. Il fatto di sangue è però avvenuto la sera quando un gruppo di Antifa ha trovato un paio di attivisti di destra. Nei video amatoriali pubblicati ieri si vede chiaramente come l’omicidio sia avvenuto ben al di fuori degli scontri, quando le strade erano già vuote ed era calata la sera. Si è trattato di un’esecuzione, per ragioni politiche, di un uomo che indossava le insegne dei Patriot Prayers e di Blue Lives Matter, la risposta a BLM dei sostenitori della polizia. La vittima è Aaron Danielson (noto con lo pseudonimo di Jay Bishop), sostenitore dei Patriot Prayers. Di lui si sa ancora poco o nulla. Il presidente Trump lo ha celebrato e ricordato in un tweet. Il suo assassino, secondo le indagini, sarebbe Forest Reinoehl, un Antifa “al 100%” come si definisce lui stesso, con precedenti penali recenti: detenzione illegale di arma carica, durante una manifestazione, e resistenza a pubblico ufficiale, il 5 luglio scorso. Era a piede libero perché la magistratura non aveva ritenuto il caso di procedere, nel suo caso come in quello di quasi tutti gli altri manifestanti violenti arrestati.
Se questi sono i fatti per come siamo riusciti a ricostruirli finora, i titoli dei quotidiani e dei servizi, sia americani che italiani, non permettono di capire nulla. Paiono confondere apposta le acque. “A Portland c’è stato un morto durante un corteo di sostenitori di Trump”, titola il solitamente preciso Il Post. Eppure Danielson non è stato ucciso durante la manifestazione. E l’articolo inizia con “Sembra fosse un membro di un gruppo di estrema destra”. Quindi: respiro di sollievo, hanno ammazzato uno dei cattivi? Patriot Prayers è un movimento di destra religiosa, nel suo sito ufficiale offre 3000 dollari in premio a chi riesca a trovare messaggi di odio nei discorsi del suo fondatore Joey Gibson. L’ispirazione è cristiana e libertaria, con il motto “La ribellione contro i tiranni è obbedienza a Dio”, non proprio un concetto nazista dello Stato. Danielson, che era nel servizio d’ordine, è stato ucciso a sangue freddo, ma La Repubblica (“Usa, scontri nelle strade durante un corteo pro-Trump: un morto”) ne parla come se fosse morto in uno scontro, mentre per Rai News l’uccisione sarebbe avvenuta addirittura durante una manifestazione antirazzista (“Stati Uniti, sparatoria alla protesta anti-razzista a Portland”) e questa informazione fuorviante parte addirittura dall’Ansa (“Scontri a protesta antirazzista a Portland, un morto”). Il fatto stesso che si sottolinei l’aggettivo “antirazzista”, riferito ai manifestanti Antifa, è un’accusa implicita di razzismo ai loro oppositori: chi mai può opporsi a un antirazzista, se non un razzista? Finora non si è ancora visto un solo titolo che descriva in modo lineare quel che è successo e che era noto da subito: sostenitore di Trump assassinato da un estremista di sinistra.
Ma la distrazione di massa ha raggiunto il culmine sui fatti di sangue di Kenosha, Wisconsin, quando un ragazzo di 17 anni armato di fucile, Kyle Rittenhouse, mentre difendeva i negozi del quartiere, si è ben presto trovato circondato da un gruppo di Antifa e ha rischiato il linciaggio. Sparando per difendersi ne ha uccisi due e ferito un terzo. Il video amatoriale che riprende tutta la tragedia mostra chiaramente come Rittenhouse stia fuggendo inseguito dagli Antifa, poi viene fatto cadere e quando è a terra, mentre due manifestanti lo stanno aggredendo, spara con il suo fucile per evitare il linciaggio. Uno dei manifestanti era armato di pistola, secondo gli elementi emersi nei giorni successivi. Ora Rittenhouse è indagato per omicidio volontario. Negli Usa la legge consente di portare armi semi-automatiche e una giuria potrebbe riconoscere la causa della duplice uccisione, cioè una legittima difesa. Ma la gogna mediatica è già iniziata. Ann Coulter, autrice e polemista conservatrice, ha voluto encomiarlo con un tweet: Twitter glielo ha rimosso. Su GoFundMe è partita una colletta per pagargli la difesa, ma la piattaforma l’ha cancellata. Un gruppo di avvocati, lo stesso che ha difeso con successo lo studente cattolico conservatore Nicholas Sandman (diffamato dai media durante l’ultima Marcia per la Vita), ora si è offerto di difendere anche Rittenhouse gratuitamente.
Kyle Rittenhouse, nei media americani così come in quelli italiani, viene definito “killer” (Corriere della Sera, Il Fatto Quotidiano, ma anche New York Times), che “spara sui manifestanti”, come se avesse aperto il fuoco su un corteo, o come se fosse sceso in strada, quella notte, per giustiziare manifestanti. La pretesa di leggere i fatti di Kenosha come di una deliberata aggressione è visibile anche nei profili che sono usciti su Kyle: “suprematista bianco” o “militante di estrema destra” (Il Post, Fanpage, Il Messaggero, Il Manifesto), anche se non risulta una sua militanza in partiti o gruppi di estrema destra. Quel che si sa del diciassettenne è che vuole entrare in polizia ed è vicino alla causa di Blue Lives Matter.
I due esempi dei fatti di sangue di Kenosha e di Portland e di come i media li hanno narrati sono la dimostrazione ulteriore che siamo nelle mani di un’informazione molto più politica che giornalistica. Lo è per le stesse ragioni per cui la stragrande maggioranza dei media ha cercato di nascondere il più possibile la manifestazione contro il lockdown e l’autoritarismo anti-Covid a Berlino e quando non l’ha più potuta nascondere, perché vi ha aderito una massa enorme, l’ha demonizzata, definendola “L’onda nera del negazionismo”, con chiari riferimenti al nazismo. Ignorare una manifestazione di massa, non riuscirci, demonizzarla: è politica, non è informazione.
Quel che avviene con le proteste di BLM è lo stesso. E stessi sono gli schieramenti: da una parte c’è Trump, il “negazionista” e i suoi sostenitori anti-lockdown, dall’altra c’è la causa “antirazzista”, che può anche violare le regole sugli assembramenti, perché il razzismo è una questione di salute pubblica prioritaria, come ha attestato anche un medico, questa settimana, alla CNN. È chiaro il tentativo di invertire l’aggressore e l’aggredito, come nel caso di Kyle Rittenhouse, quando questo non è possibile, come con Aaron Danielson, si confondono le acque sulle circostanze dell’uccisione. Perché? Ovviamente perché, secondo il candidato democratico Joe Biden è Trump che sta “fomentando la violenza”. Al contrario, le manifestazioni di Black Lives Matter sono “prevalentemente pacifiche”, come si legge nella didascalia di un servizio della CNN, mentre sullo sfondo, alle spalle del reporter, vanno in scena le immagini delle devastazioni e degli incendi, in un esempio di rara comicità involontaria.