La Diocesi di Crema chiede la pace, ma 'nasconde' Cristo
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Nel giro di pochi giorni, nella Diocesi di Crema sono stati organizzati due eventi per auspicare la pace: una marcia senza simboli religiosi e un’altra iniziativa rivolta ai ragazzi del catechismo, con al centro un grande dado. Pubblichiamo la lettera di un fedele.
“Se Sparta piange, Atene non ride”, recita un antico adagio. Se Roma si genuflette alla Pachamama, vi sono chiese locali che non vogliono essere da meno e così - forse senza nemmeno esserne perfettamente consapevoli - scivolano lentamente verso forme di neopaganesimo che portano sempre più a censurare Cristo, lasciando ai fedeli una Chiesa svuotata di significato.
È emblematico il corso intrapreso dalla piccola Diocesi di Crema; un corso, espressione della cosiddetta “chiesa in uscita”, che sta suscitando disappunto e perplessità tra diversi fedeli. Nel giro di pochi giorni la Chiesa cremasca ha promosso due momenti per auspicare (il termine pregare sarebbe inappropriato) la pace. Le modalità scelte, tuttavia, appaiono prive di quella dimensione spirituale e di fede che invece dovrebbero avere le iniziative ecclesiali proposte in ambito diocesano.
La prima iniziativa è avvenuta lo scorso 1 marzo: una marcia silenziosa per le vie della città, all’insegna dello slogan “In silenzio gridiamo la pace”. Iniziativa di stampo pacifista promossa dalle parrocchie della Diocesi di Crema, la cui adesione richiedeva il rispetto di una condizione ben precisa: nessun simbolo religioso, ma tutti uniti dai colori della bandiera arcobaleno della pace. Scelta opinabile, giustificata con l’ormai inflazionata scusa dell’“inclusività”.
Una seconda iniziativa, sempre orientata al conseguimento della pace nel mondo, è stata proposta dalle due principali parrocchie cremasche (tra cui quella della Cattedrale) ai ragazzi che frequentano il catechismo. Ma se ci si attende che la pace sia stata implorata pregando davanti al Crocifisso, al Santissimo o innanzi alla Vergine Maria (che non a caso gode del titolo di Regina della Pace), si sbaglia. I ragazzi del catechismo, per volontà dei rispettivi parroci e con la benedizione del Vescovo, sono stati condotti in un parco cittadino e si sono riuniti attorno al cosiddetto “Grande Dado della Pace” (realizzato nell’ambito del progetto Living Peace International). Un cubo in cui ogni faccia riporta una frase del tipo: “Amo per primo”, “Ascolto l’altro”, “Amo tutti”, “Ci amiamo l’un l’altro”, etc. L’impegno chiesto ai ragazzi è di mettere in pratica il contenuto della frase che si pone in evidenza dopo il “lancio” del dado.
Ai ragazzi presenti sono state ricordate le parole pronunciate dal Vescovo, mons. Daniele Gianotti, il giorno in cui fu inaugurato il dado: “Lanciamo il dado, accogliamo il suggerimento. E chiediamo a Dio di convertire i cuori di coloro che cercano la guerra, la violenza e la contrapposizione”. Un buon proposito, ma la modalità scelta rischia di ridurre tutto ad una sorta di giochino che si colloca a metà tra le frasette dei Baci Perugina e i biscotti della fortuna tipici dei ristoranti cinesi. Un giochino che di certo non aiuta né i ragazzi né il conseguimento della pace. Proporre ai giovani il ricorso a un dado che parla di pace, parla di amore, ma non fa comprendere – viste le sue caratteristiche – l’autentica sorgente della pace e il suo significato profondo, non solo è inutile, ma perfino fuorviante.
Sempre più si profila all’orizzonte una Chiesa senza Cristo, priva di identità, che tristemente richiama alla memoria il monito evangelico: “Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente”. (Mt. 5,13).
Flavio Rozza