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Omoeresie

La diocesi benedice i Cattogay: "Purché siate fedeli"

La spinta omoeretica che lavora nelle diocesi di Torino ottiene il ritiro pasquale per riflettere con i gay cattolici sulla fedeltà.

Gender Watch 01_05_2019

Il titolo dice già tutto: “Gay in convento a studiare la fedeltà”. Alla fine ce l’hanno fatta. Complice lo stile “carbonaro” scelto: un incontro di nascosto, senza clamori e senza gli annunci trionfali sui giornali. L’anno scorso, di questi tempi era stato proprio l’emergere di questo ritiro spirituale per la fedeltà delle persone omosessuali a scatenare un putiferio e a costringere il vescovo di Torino ad annullarlo. Il promotore, don Gianluca Carrega, delegato per la pastorale della cultura e – tra le varie deleghe – responsabile della pastorale per gli omosessuali, dovette incassare lo stop.

Eppure quell’incontro nasceva dalla necessità – si diceva allora – di colmare una lacuna della legge Cirinnà sulle Unioni civili: il riconoscimento della fedeltà dei due contraenti. Come se adesso la dottrina cattolica debba rincorrere le istanze delle leggi civili. E pazienza se è proprio la fedeltà ad essere assente nel rapporto tra persone attratte dall’altro sesso. Ma la sfida era di quelle potenzialmente dirompenti: la Chiesa proibisce gli atti omosessuali? Ma se fossero fatti fedelmente? Con questo stratagemma don Carrega ci ha riprovato l’anno successivo. Riuscendoci.

Dal resoconto che ne ha fatto il quotidiano di Torino La Stampa a “giochi fatti” sembra proprio che stavolta abbiano trovato una chiave per far digerire il tutto. Anzitutto muovendosi di nascosto e poi perché è noto che gli arieti, dopo il secondo tentativo incontrano un ostacolo sicuramente più fiacco.

Ecco il punto di rottura con l’omoeresia di fondo che si cela dietro questo ennesimo tentativo di picconare la dottrina morale della Chiesa. Secondo l’articolo che ha citato frasi di un attivista gay, Massimo Battaglio e di Padre Piva dalle colonne di Avvenire “l’esperienza dell’amore fedele di Dio è un modo per mettere ordine nelle relazioni disordinate omosessuali o eterosessuali che siano”. Come a dire: non è l’omosessualità ad essere disordinata, ma l’assenza di fedeltà nelle relazioni. E riguarda anche le cosiddette famiglie normali. Basta mettere la fedeltà e otterrai l’ordine. Lo suggeriva lo stesso quotidiano dei vescovi un anno fa a conclusione della vicenda. E’ uno scimmiottare l’amore cristiano, che non può non essere che perverso. 

Eppure, stavolta l’iniziativa ha avuto il via libera del vescovo Nosiglia, del quale non si sa se abbia benedetto la cosa, ma è evidente che se don Carrega è ancora al suo posto, vorrà dire che andrà bene nel suo incarico e nel modo in cui propone la pastorale per le persone con attrazione per persone dello stesso sesso: dunque, niente castità, niente amicizia disinteressata. La parola d’ordine adesso è fedeltà: fedeltà a Dio e fedeltà tra i partner. Della serie: “Fatelo, ma non traditevi”.

A supporto di questa omoeresia istituzionalizzata dalla Chiesa sotto la Mole, c’è il solito sistema dell’appropriarsi della Bibbia facendo dire alla Bibbia ciò che non ha mai detto. L’archetipo a cui ci si aggrappa è l’amicizia tra Davide e Gionata. Ma era un’amicizia e basta, dato che nel racconto biblico non si mette in discussione la legge naturale universale.

Ovviamente nessuno si è chiesto come sia possibile che la Chiesa possa insegnare e caldeggiare la fedeltà a quello che il Catechismo chiama ancora un disordine morale oggettivo, l’omosessualità, e la sua pratica erotica, una perversione della natura e un peccato che grida vendetta al cospetto di Dio.

Di questo passo – ha commentato qualche arguto opinionista spiegheremo “agli adulteri come cornificare le mogli o i mariti secondo il Vangelo?” E faremo “esercizi Spirituali per insegnare ai ladri a rubare con pietà cristiana?”.

La domanda è di quelle provocatorie, ma, razionalmente parlando, non fa una piega. E’ la stessa che anche la scrittrice Costanza Miriano si è posta: “Non vedo come una diocesi della Chiesa Cattolica possa permettere che si insegni la fedeltà a un disordine. Come si può insegnare a rimanere in qualcosa che ferisce l'uomo nella sua più profonda identità, come si può aiutare qualcuno a rimanere nel peccato”, ha chiesto dalla sua seguitissima pagina Facebook.

La sconfortante immagine che ci lascia la Chiesa di Torino è quella di una madre che, mentre vede il figlio farsi del male, lo aiuta a restare in quel dolore con la falsa consolazione di una vicinanza che asseconda quell’errore.

Di questo passo è legittimo per ogni genitore chiedersi se affiderebbe a sacerdoti che calpestano la morale in questo modo l’educazione dei propri figli. E anche domandarsi per quale motivo i vescovi, quasi fossero ricattati per il loro passato, cedano così insistentemente alle pressioni di una lobby gay che ha mostrato molto bene di quali e quante armi può disporre. A cominciare dalla dissimulazione e dall’inganno.

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