La Dichiarazione di verità, atto di carità per la Chiesa
Firmata dai cardinali Burke e Pujats e dai vescovi Lenga, Peta e Schneider la “Dichiarazione sulle verità riguardanti alcuni degli errori più comuni nella vita della Chiesa nel nostro tempo”. Dalla bontà dei comandamenti divini all’esistenza dell’Inferno, dal celibato all’omosessualità: molti i temi toccati, con l’intento di offrire un “aiuto fraterno” al Papa e a tutte le anime.
“Dichiarazione sulle verità riguardanti alcuni degli errori più comuni nella vita della Chiesa nel nostro tempo”. Questo il titolo di un nuovo documento firmato da due cardinali (Raymond Leo Burke e Janis Pujats) e tre vescovi (Tomash Peta, Jan Pawel Lenga e Athanasius Schneider) e diffuso ieri in italiano da Corrispondenza Romana e in inglese da LifeSiteNews. Lo scopo dei firmatari è quello di fornire uno strumento d’orientamento per i fedeli che si sentono spaesati di fronte a quella che viene definita “una delle più grandi epidemie spirituali” che la Chiesa sta vivendo. Un intento rivendicato nella nota esplicativa che accompagna la Dichiarazione e nella quale si sottolinea l’irrinviabilità di un simile intervento allo scopo di fare chiarezza su alcuni errori piuttosto diffusi in questo tempo di crisi.
Il documento, divenuto pubblico ieri ma recante la data del 31 maggio, non si presenta come un attacco contro chicchessia - tantomeno contro il pontefice - ma come un aiuto concreto e leale. Un obiettivo messo in chiaro nella stessa nota esplicativa, dove si legge: “Una voce comune dei Pastori e dei fedeli, attraverso una precisa dichiarazione delle verità, sarà senza dubbio un mezzo efficace di aiuto fraterno e filiale per il Sommo Pontefice, nell’attuale situazione straordinaria di confusione dottrinale e di generale disorientamento nella vita della Chiesa”.
è uno dei firmatari stessi a confermare alla Nuova Bussola che la Dichiarazione non deve essere interpretata come un’accusa, ma piuttosto come un atto positivo. Con lo scopo proclamato di saziare “la fame spirituale dei fedeli cattolici di tutto il mondo”, i due cardinali e i tre vescovi sottoscrittori hanno infatti pensato di chiarire quei punti che, se lasciati in balia dell’ambiguità, rischiano di costituire “un serio pericolo di contagio per la salute spirituale e per la salvezza eterna di molte anime”.
I FONDAMENTI DELLA FEDE
Si parte dai fondamenti della fede per ribadire che “qualunque nuova comprensione del deposito della fede non può essere contraria a quanto la Chiesa ha sempre proposto nello stesso dogma, nello stesso senso e nello stesso significato”. Nell’ambito del dialogo interreligioso, i firmatari sostengono che “i musulmani (...) non possono rendere a Dio la stessa adorazione dei cristiani, cioè il culto soprannaturale in Spirito e Verità”. Sull’esistenza dell’Inferno, oggi spesso messa in discussione anche da parti del mondo cattolico, la Dichiarazione sentenzia: “L’inferno esiste e coloro che vi sono condannati per qualsiasi peccato mortale senza pentimento sono eternamente puniti dalla giustizia divina”. Un argomento che introduce anche il capitolo misericordia: “Tutti i comandamenti di Dio”, si trova scritto al punto 14, “sono ugualmente giusti e misericordiosi. È quindi errato dire che una persona, obbedendo ad una proibizione divina - come per esempio al sesto comandamento, ovvero di non commettere adulterio - possa peccare contro Dio per tale atto di obbedienza o danneggiare sé stesso moralmente, o peccare contro il prossimo”.
Come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica, il fine non giustifica i mezzi e dunque “è sbagliato affermare che una buona intenzione o una buona conseguenza è, o può essere, sufficiente per giustificare il compimento di questo tipo di azioni”. In nome della sovranità assoluta di Dio sulla vita e sulla morte, il documento ricorda, poi, come non esista alcuna giustificazione o autorizzazione morale dell’eutanasia e dell’aborto. Tra i riferimenti bibliografici della Dichiarazione, il Codice di diritto canonico, il Catechismo, le encicliche di san Giovanni Paolo II, ma anche i lavori del Concilio Vaticano II e il Magistero di san Paolo VI. Quest’ultimo, ad esempio, citato per quanto affermato nella Humanae Vitae sulla procreazione: «La legge naturale e Divina proibisce “ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione”».
DIVORZIATI “RISPOSATI” E COMUNIONE
Il documento non manca di affrontare un tema di stretta attualità come quello della Comunione ai divorziati risposati civilmente, e lo fa richiamando l’insegnamento di san Giovanni Paolo II: «Chi ha ottenuto un divorzio civile dal coniuge a cui è validamente sposato (o sposata) e ha contratto un matrimonio civile con un’altra persona durante la vita del coniuge, e vive more uxorio con il suo partner civile, e sceglie di rimanere in questo stato con piena conoscenza della natura del suo atto e con pieno consentimento della volontà verso quell’atto si trova in uno stato di peccato mortale e, pertanto, non può ricevere la grazia santificante e crescere nella carità. Dunque, questi cristiani, a meno che non vivano come “fratello e sorella”, non possono ricevere la Santa Comunione (cfr. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Familiaris consortio, 84)». Una precisazione che rifiuta le interpretazioni ‘aperturiste’ del famoso capitolo VIII di Amoris Laetitia e che ribadisce che l'impegno a vivere castamente sia la conditio sine qua non per accedere al sacramento.
OMOSESSUALITÀ E GENDER
Il testo non manca di esprimersi anche sulla questione omosessualità. Riprendendo il Catechismo, i firmatari scrivono: «Gli atti omosessuali “in nessun caso possono essere approvati” (CCC, 2357)». Alla luce di ciò, si spiega che “la legge umana, o qualsivoglia altro potere umano, non possono dare a due persone dello stesso sesso il diritto di sposarsi insieme, né di dichiarare che siano sposate, poiché ciò è contrario alla legge naturale e divina”. Nessuna legittimazione, dunque, per le cosiddette “nozze gay”, in quanto “le unioni che hanno il nome di matrimonio senza possederne la realtà, non possono ricevere la benedizione della Chiesa, poiché ciò è contrario alla legge naturale e divina”. Ma neppure “il potere statale” può “stabilire unioni civili o giuridiche tra due persone dello stesso sesso che imitino chiaramente l’unione del matrimonio, anche qualora non ricevano il nome di matrimonio, poiché dette unioni indurrebbero le persone che le contraggono a un grave peccato, e sarebbero causa di grave scandalo per il prossimo”. La Chiesa, quindi, non può mai ‘benedire’ l’introduzione di leggi che legalizzino le cosiddette “unioni omosessuali”.
Approfondendo gli errori della teoria del gender, la Dichiarazione riafferma che «il sesso maschile e quello femminile, “essere uomo”, “essere donna”, sono realtà biologiche, create dalla sapiente volontà di Dio». Un passaggio delicato e di stretta attualità è quello sulla pena di morte, che ‘risponde’ alla recente modifica del Catechismo: “La Chiesa non ha errato nell’insegnare che il potere civile possa legittimamente esercitare la pena capitale sui malfattori laddove ciò è veramente necessario per preservare l’esistenza o il giusto ordine della società”.
PRESENZA REALE DI GESÙ NELL’EUCARISTIA
I punti chiarificatori sui sacramenti, invece, appaiono porsi l’obiettivo di confutare alcune tesi diffuse in diverse correnti del progressismo cattolico: vi si ricorda la dottrina della presenza reale del Signore nell’Eucarestia e si contesta con forza l’interpretazione del sacrificio della Messa come semplice “sacrificio spirituale di preghiere e lodi fatto dal popolo”. E, citando l’enciclica Mediator Dei di Pio XII, si afferma che “l’immolazione incruenta per mezzo della quale, dopo che sono state pronunziate le parole della consacrazione, Cristo è presente sull’altare nello stato di vittima, è compiuta dal solo sacerdote in quanto rappresenta la persona di Cristo e non in quanto rappresenta la persona dei fedeli”.
SIGILLO SACRAMENTALE
Al punto 36 si può leggere, invece, una risposta ad alcune proposte di legge laiciste in giro per il mondo che vorrebbero colpire il sacramento della Penitenza: “Per legge divina - viene ricordato - il confessore non può violare il sigillo del sacramento della Penitenza per qualsivoglia ragione; nessuna autorità ecclesiastica ha il potere di dispensarlo dal sigillo del sacramento e il potere civile è del tutto incompetente per costringerlo a farlo”.
Il CELIBATO E IL SACRAMENTO DELL’ORDINE
C’è un intervento anche sul celibato sacerdotale, una legge di perfetta continenza che, scrivono i firmatari, “non dovrebbe essere abolita nella Chiesa Romana attraverso l'innovazione di un celibato sacerdotale opzionale, sia a livello regionale sia universale”. In chiusura, viene ribadita anche la posizione tradizionale della Chiesa sull'ordinazione femminile: “Per volontà di Cristo e per la costituzione divina della Chiesa, solo i battezzati maschi (viri) possono ricevere il sacramento dell’Ordine, sia nell’episcopato che nel sacerdozio e il diaconato”.
IL “DOVERE MORALE” DI TESTIMONIARE LA VERITÀ
È possibile che la Dichiarazione, come avvenuto in passato per documenti simili, produrrà una discussione all’interno del mondo della Chiesa. I due cardinali e i tre vescovi che l’hanno firmata rivendicano nella nota esplicativa “il dovere morale di testimoniare in modo inequivocabile quelle verità oggi offuscate, minate e negate” ed esprimono l’auspicio che la sua diffusione possa avviare “un movimento di confessione della verità e della sua difesa, di riparazione per i numerosi peccati contro la Fede e soprattutto per i peccati di apostasia - nascosta e aperta - dalla Fede cattolica di un non piccolo numero di fedeli, sia tra il clero sia tra i laici”. Il tutto, però, presentato non in spirito di contrapposizione ma “nello spirito della carità cristiana che si manifesta nella cura della salute spirituale sia dei pastori sia dei fedeli”.
I firmatari dicono di volersi rifare all’esempio di “santi e grandi vescovi vissuti in tempi di crisi dottrinali”. E citano, a tal proposito, sant'Agostino, che ebbe a dire a papa san Bonifacio I: “Poiché la vigilanza pastorale è comune a tutti noi che esercitiamo l’ufficio dell’episcopato, sebbene tu primeggi in essa per la sede più alta, io faccio quello che posso, secondo la piccolezza del mio ufficio e secondo quanto il Signore si degna donarmi con l’aiuto delle tue orazioni”.
La Dichiarazione diffusa ieri via Internet si aggiunge ad altre iniziative simili prese in precedenza anche da altri porporati (si pensi al “Manifesto della fede” del cardinale Müller) e vorrebbe rispondere a quell’esigenza di chiarezza piuttosto diffusa tra molti cattolici di oggi. L’obiettivo, appunto, non è colpire papa Francesco, ma, al contrario, supportarlo e aiutarlo nell’esercizio del suo ministero petrino.