La cultura occidentale che accetta la censura cinese
Un gruppo di università britanniche sta testando un nuovo programma per tenere lezioni online agli studenti in Cina, ma accettando la censura del regime di Pechino. I vertici accademici negano, ma sta di fatto che l'accesso al materiale didattico deve essere approvato da Pechino. Intanto a Hong Kong la censura oscura libri e scuole.
Un gruppo di università britanniche sta testando un nuovo programma per tenere lezioni online agli studenti in Cina, ma accettando la censura del regime di Pechino. I vertici accademici negano, ma smentendo confermano la sensazione che a dettare le regole siano soprattutto i comunisti cinesi. Il tutto avviene mentre a Hong Kong la morsa della censura si fa sentire sul serio, a tutti i livelli, nelle scuole e nelle librerie.
Le università britanniche stanno mettendo alla prova un nuovo programma di lezioni a distanza per gli studenti in Cina, una popolazione studentesca in rapidissima crescita e sempre più importante. Con la riduzione drastica dei movimenti, dovuti alla pandemia, si riscontra anche il boom di programmi per le teleconferenze, il telelavoro e anche università e scuola in remoto. Ma non tutti questi programmi sono sicuri e proteggono la privacy o il diritto di libertà di espressione come ci attenderemmo. L’esempio più eclatante, il 4 giugno scorso, è la chiusura dell’account di Zoom, di un cinese esule negli Usa, Zhou Fengsuo, che aveva organizzato una teleconferenza su Tienanmen. Nella stessa occasione, ben tre seminari online sono stati soppressi e chiusi gli account dei cittadini cinesi che vi partecipavano. Zoom, dopo lo scandalo, ha anche ripristinato l’account di Zhou Fengsuo, attivista per i diritti umani, leader studentesco nel 1989 e testimone diretto del massacro di Tienanmen. Ma intanto il segnale è chiaro: la censura cinese insegue anche all’estero, ovunque tu sia, ed è ben presente su Internet.
Ciò dovrebbe essere chiaro anche agli istituti britannici di alta istruzione, il King’s College di Londra, la Queen Mary University di Londra, York e Southampton, che stanno lanciando e testando il programma di lezioni a distanza con la Cina. Il sistema, gestito dal britannico Jisc, a livello tecnico è realizzato in collaborazione con la cinese Alibaba Cloud. Una portavoce del progetto accademico nega che si possa parlare di censura, afferma che il progetto permetterà a studenti in Cina di aver un migliore accesso ai corsi universitari in Gran Bretagna “obbedendo ai regolamenti locali”. Quali? Ogni informazione utilizzata in questi corsi universitari dovrà essere inserita in “una lista di autorizzazioni sulla sicurezza che includerà tutti i collegamenti con i materiali didattici delle istituzioni britanniche, compresi i materiali didattici dei corsi”, afferma un portavoce di Jisc. Il professor Kerry Brown, del King’s College, mette in guardia dal rischio di accettare l’auto-censura, quando si collabora con la Cina.
Se già in periodi normali, i censori cinesi erano molto attenti a quel che si scrive anche all’estero e su Internet, in queste settimane lo sono doppiamente. Non c’entra solo la tensione sulla questione Covid, in cui governi occidentali (soprattutto Usa, Regno Unito e Australia) chiedono di saperne di più. C’entra anche e soprattutto l’applicazione della nuova Legge sulla Sicurezza nazionale a Hong Kong.
L’approvazione della nuova legge, infatti, non tarda a produrre conseguenze. Nell’immediato, infatti, sono stati ritirati dalle biblioteche dell’enclave ex britannica (sempre meno autonoma) i libri di autori pro-democratici, fra cui Joshua Wong (leader di Demosisto) e Tanya Chan (attivista, protagonista delle ultime proteste). Ritirare questi e altri autori dalla consultazione viene presentato come un espediente “temporaneo” in vista di una loro revisione alla luce della nuova legge. Tuttavia, vista proprio la natura della nuova legge, che vieta ogni forma di sovversione e di fatto di contestazione, è probabile che si tratti di un primo assaggio di una messa al bando di libri sgraditi a Pechino. E nelle scuole, molte delle quali sono state attive nelle manifestazioni del 2019, vengono imposte sempre nuove regole. Le ultime, annunciate da Kevin Yeung, ministro dell’Istruzione del governo hongkonghese, vietano di cantare l’inno della protesta Glory to Hong Kong, di formare catene umane e di urlare slogan o altre manifestazioni di impegno politico.
Chiaramente, in questo clima, gli studenti che studiano all’estero, soprattutto quelli che restano in Cina e si connettono in remoto con università occidentali (britanniche, in particolare) saranno sotto stretta sorveglianza. La censura è dietro l’angolo.