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SENTENZA

La Consulta dà una mano agli spacciatori

La Corte Costituzionale cancella alcune disposizioni della legge Fini-Giovanardi contro la droga, ma solo per un problema di forma. In discussione c'è infatti la legittimità del decreto di conversione e non il merito della legge.

Cronaca 13_02_2014
Operazione antidroga

All’Università una volta insegnavano che le Corti si esprimono attraverso le sentenze; il can can mediatico che è iniziato nella tarda mattinata di ieri si basa invece su un comunicato stampa pubblicato sul sito istituzionale della Consulta: in mancanza d’altro, provo a ragionare su quello, riservando il seguito a quando saranno depositati il dispositivo e la motivazione della sentenza. Dalla nota si apprende che la Corte costituzionale ha dichiarato illegittime alcune disposizioni sulla droga approvate dal Parlamento nel febbraio 2006; e però, a differenza di quanto emerge dai commenti entusiastici che hanno seguito la notizia, l’illegittimità non colpisce il merito di quelle disposizioni.

Il contrasto con la Costituzione non viene individuato dalla Corte nell’abolizione, che la legge del 2006 aveva operato, della distinzione fra droghe “pesanti” e droghe “leggere”, o nelle nuove tabelle delle sostanze stupefacenti. La Corte fa un altro ragionamento, che si articola in questi passaggi:

a) le nuove norme sulla droga sono entrate nel nostro ordinamento al momento delle conversione in legge di un decreto del Governo, riguardante misure per le Olimpiadi invernali di Torino;

b) vi è eterogeneità fra la materia della versione originaria del decreto legge e le materie inserite in sede di conversione da parte del Parlamento, e  l’aggiunta è avvenuta con un maxi-emendamento proposto dal Governo;

c) l’estraneità di tale emendamento rispetto al testo iniziale del decreto, in quanto altera l’omogeneità delle norme del testo, determina per ciò stesso l’illegittimità della legge di conversione.

Avendo nozioni rudimentali di diritto, è lecito chiedere in quale articolo della Costituzione è scritto che la legge di conversione deve avere contenuti omogenei rispetto al decreto legge originario: non nell’articolo 77, che pure è richiamato nel comunicato-stampa della Consulta quale parametro della riscontrata illegittimità. Accade però che la Corte costituzionale abbia di recente elaborato per via interpretativa questa categoria aggiuntiva di incostituzionalità: non è detto in esplicito nella Costituzione, ma da essa la fa discendere. In questo modo una regola di correttezza dell’attività parlamentare, per la quale dovrebbero avere voce in capitolo solo Camera e Senato, viene fatta diventare invece un parametro di costituzionalità, di cui è arbitro unico la Consulta.

Volendo seguire il ragionamento della Corte, si sarebbe attesa poi la pronuncia di illegittimità di tutto ciò che in sede di conversione del decreto-Olimpiadi era stato aggiunto in Parlamento: modifica del fondo anti-usura, integrazioni delle leggi contro il terrorismo, potenziamento del personale delle forze di polizia e del ministero dell’Interno. Tutto questo aveva poco a che fare con lo slalom e con lo slittino; era confluito in quel decreto per una semplice ragione: si era alle ultime battute della XIV Legislatura, si trattava di norme che Governo e Parlamento ritenevano urgenti per far fronte a emergenze reali, e si è utilizzato uno degli ultimi treni utili per permetterne l’approvazione e l’entrata in vigore, prima della conclusione dei lavori. 

Il primo interrogativo che sorge rispetto al comunicato-stampa è: perché quanto riguarda la droga è illegittimo e quanto riguarda usura, terrorismo e Viminale invece resta in piedi? La Consulta potrebbe rispondere: perché nel giudizio di merito, dal quale la questione di legittimità è stata portata all’esame della Corte, era in discussione l’applicazione delle disposizioni sugli stupefacenti. Replica per i Giudici costituzionali: se vi siete soffermati su una questione di forma, e non sul merito, quella questione dovrebbe estendersi a tutte le norme che sono state introdotte in quella circostanza… Ma vi è di più; la nota-stampa della Corte informa che non tutte le disposizioni della cosiddetta “Fini-Giovanardi”, introdotte nel decreto Olimpiadi, cadono sotto la scure della incostituzionalità, bensì solo quelle che riguardano il trattamento sanzionatorio: si tratta della norma che eliminava ai fini della pena la distinzione fra droghe “leggere” e droghe “pesanti”, e della norma che, elencando le sostanze da sottoporre a controllo, le riduceva a due tabelle, una dedicata agli stupefacenti e l’altra a particolari medicinali, e forniva i criteri per classificare gli uni e gli altri.

Restano in piedi, invece, altre norme sulla droga inserite all’inizio del 2006: per esempio, quelle che facilitano i percorsi di recupero prevedendo, in caso di ingresso in comunità o di trattamento in corso, il divieto di custodia cautelare in carcere, o quelle che nelle stesse circostanze sospendono la pena, entro i limiti di sei anni di reclusione. E qui lo studente di diritto si perde: ma come, dichiarate illegittime alcune norme per il modo in cui sono state fatte entrare in una legge censurando l’eterogeneità della materia, e poi fate distinzioni nell’ambito della stessa materia, colpendo alcune disposizioni e salvandone altre? In questo modo si squilibra il sistema: nel 2006 il Parlamento è stato più generoso nella previsione di benefici per il condannato per droga che affronta un percorso di recupero, proprio perché tali benefici si inserivano in un quadro d’insieme in cui al recupero si è sollecitati anche in virtù delle sanzioni previste per chi rifiuta il recupero. Ma il sistema si tiene se resta completo in ogni sua parte: se i Giudici costituzionali ne eliminano un pezzo e ne salvano un altro, esso non regge più.

Quali saranno gli effetti concreti di questa decisione? Senza mancare di rispetto alla Consulta, si può dire che con una sentenza ha centrato un obiettivo che le forze collocate in Parlamento più a sinistra perseguivano da tempo; ricordo che, in sede di conversione del decreto “svuotacarceri”, vi era stato il tentativo di ripristinare la distinzione droghe “pesanti”/“leggere”: un  tentativo che era fallito nel momento in cui autorevoli addetti ai lavori avevano spiegato, con documentazione scientifica, che una “canna” col 20% di principio attivo (il cosiddetto thc) è “leggera” solo nella fantasia di chi prova a usarla, ma nella realtà può produrre effetti più dannosi di una dose di cocaina. È un peccato che la Corte costituzionale non sia entrata nel merito, fermandosi all’opinabile dato formale prima riassunto: il messaggio che passa a seguito della sua pronuncia è che l’“erba” non fa male, e comunque fa meno male del “buco”.

Dopo questa pronuncia gli uffici dei giudici dell’esecuzione penale saranno sommersi da istanze di rideterminazione delle pene riguardanti condanne divenute definitive, quando la droga riguarda derivati della “cannabis”; gli arresti di spacciatori si ridurranno; il tutto a beneficio di un prevedibile incremento – se ve ne è bisogno – dei traffici, che proprio nello spaccio al dettaglio hanno il loro anello ultimo necessario, e della diffusione di ogni tipo di droghe: gli esperti veri individuano nello spinello il primo passo per altri tipi di sostanze. Quel che sconforta di più è che su questo versante la battaglia culturale sembra debole e tenue: se la legge del 2006 è l’esito di una sensibilità più decisa, il comunicato stampa della Consulta – in attesa del deposito della sentenza – è il risultato della rinuncia di molti.