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LA FERITA

La comunità ebraica divorzia dalla Francia

A Gerusalemme si piangono le vittime della strage all'HyperCacher. Netanyahu apre all'accoglienza degli ebrei francesi che volessero trasferirsi in Israele e 20mila sono pronti a seguirlo. Fra le comunità musulmana ed ebraica più grandi d'Europa la convivenza sta diventando impossibile.

Parigi, tutti i misteri di una strage di G. Gaiani

Libertà religiosa 14_01_2015
La Grande Sinagoga di Parigi

Due funerali paralleli: le vittime francesi a Parigi, quelle ebraiche a Gerusalemme. Un cordoglio doppio che suona come un divorzio, quello della comunità ebraica più grande d’Europa dalla Francia.

L’attacco terroristico di Parigi passerà alla storia per la strage alla redazione del Charlie Hebdo, l’hashtag di chi solidarizza con le vittime è “Je suis Charlie”, ma la seconda parte dell’attacco terroristico ha mirato all’HyperCacher, un negozio ebraico di cibo kosher, pieno di clienti ebrei che facevano l’ultima spesa prima del sabato. Gerusalemme piange le sue vittime: Yohan Cohen, 22 anni, dipendente del negozio HyperCacher (l’ostaggio che, secondo altri sequestrati, ha cercato di fermare il terrorista Amedi Coulibaly strappandogli un’arma che tuttavia non è riuscito a usare); Yoav Hattab, 21 anni, studente di origine tunisina, figlio del rabbino capo di Tunisi; Phillipe Barham, 45 anni, dirigente d'azienda; François-Michel Saada, 64 anni, pensionato, padre di due figli. Molti meno, quasi tutti ebrei, solidarizzano con queste vittime, con l’hashtag “Je suis Juif”, che si potrebbe tradurre concettualmente con “siamo tutti ebrei, oggi”. Il dibattito culturale seguito alla battaglia di Parigi riguarda la libertà di espressione e di satira, ancora pochi, invece, si stanno occupando della ferita più profonda segnata dalle stragi della scorsa settimana, quella inferta alla possibilità di convivenza della più grande comunità ebraica con la più grande comunità musulmana d’Europa.

Si cerca di esorcizzare quanto accaduto con esempi edificanti, come quello di Lassana Bathily, impiegato musulmano (originario del Mali) dell’HyperCacher, che ha protetto gli ostaggi ebrei, ringraziato pubblicamente dal premier israeliano Benjamin Netanyahu. Ma i segnali della lacerazione sono ben visibili: la Grande Sinagoga di Parigi è stata chiusa lo scorso sabato ed è la prima volta che accade dalla fine dell’occupazione nazista. Questa volta ha chiuso i battenti per motivi di sicurezza, per impedire che entrassero eventuali nuovi persecutori. Dieudonné M’bala M’bala, il comico di origine camerunense che si distingue da anni per i suoi spettacoli antisemiti, tanto da beccarsi la censura delle autorità, lancia il hashtag alternativo: “Je suis Charlie Coulibaly”, mixando i paladini della libertà di espressione (fra i quali inserisce se stesso) e il terrorista che ha ucciso i quattro ebrei francesi. Nel suo discorso parigino, Netanyahu ha puntato il dito contro tutte le sigle del terrorismo islamico: “Al Qaeda, Hamas, Hezbollah sono gli stessi rami di uno stesso albero che dobbiamo sradicare”. Ma Netanyahu, a Parigi, ci è andato solo a condizione che fosse presente anche il presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, lo stesso che ha aperto le porte del suo governo a Hamas. E’ Netanyahu a provocare un dibattito sull’opportunità o meno della sua presenza, non Mahmoud Abbas. Anche un partito italiano, Sel, si chiede pubblicamente cosa ci facesse lì il premier di Israele. Stessa domanda che si pongono anche le sinistre francesi.

Benjamin Netanyahu

Questa situazione riflette una crisi più ampia, un dubbio più profondo: la Francia è ancora una terra sicura per gli ebrei? Se i nuovi persecutori sono i radicali islamici, quanto sono disposti i francesi autoctoni a proteggere la minoranza ebraica? Netanyahu risponde chiaramente, nel suo discorso funebre a Gerusalemme: “Credo che nel profondo dei loro cuori gli ebrei sappiano che Israele è la loro patria storica che li accoglierà a braccia aperte”. Migliaia di ebrei francesi già lo pensavano. Dai 4mila dell'anno scorso, gli ebrei che lasceranno la Francia per trasferirsi in Israele sono diventati 7mila, ma le previsioni parlano di 20mila pronti a fare le valige entro la fine dell’anno. In pratica, gli ebrei in Francia non si sentono sufficientemente protetti.

Nel 2006 furono traumatizzati dal rapimento, dalla tortura e dall'efferata uccisione di Ilan Halimi, un commesso di 23 anni, rapito dalla “banda dei barbari”, formata da immigrati africani musulmani, perché era ebreo, dunque “ricco”, dunque, nella mentalità di quei banditi, con una comunità alle spalle pronta a pagare milioni di euro pur di riaverlo indietro. La stessa cosa è accaduta poco fa, appena il mese scorso, nella banlieue di Créteil, dove un ragazzo e una ragazza di 21 e 19 anni sono stati aggrediti in casa loro, derubati e seviziati. Due degli aggressori, una volta arrestati, hanno confessato subito di averli colpiti “perché ebrei”, dunque “ricchi”. La stessa banda aveva appena massacrato di botte un 70enne, anche lui “perché ebreo” e non per altri motivi. La comunità ebraica non si è sentita proteggere dalla polizia francese nel 2006, quando, per cercare (inutilmente) di liberare Halimi, gli investigatori francesi avevano commesso una serie di errori dovuti alla sottovalutazione delle intenzioni antisemite della “banda dei barbari”. La stessa comunità si sente poco protetta adesso, quando gli attentati all’incolumità degli ebrei si moltiplicano. Solo nella prima metà del 2014, gli atti di antisemitismo recensiti in Francia sono praticamente raddoppiati, con un aumento del 91% rispetto al 2013. Secondo i dati della Spcj, il Servizio di protezione della comunità ebraica, gli atti e le minacce antisemite sono passati da 276 a 527 nei primi sette mesi del 2014.

La violenza antisemita si intensifica allo scoppiare dei conflitti in Medio Oriente. Durante l’ultimo conflitto a Gaza, ad esempio, nel sobborgo di Sarcelles, chiamato la “piccola Gerusalemme” per la sua numerosa comunità, decine di vandali, infiltrati in una manifestazione filo-palestinese, hanno iniziato a dar fuoco ai cestini della spazzatura, a distruggere auto parcheggiate e poi a lanciare razzi e bombe molotov, contro la polizia e le proprietà dei locali. Negozi di cibo kosher, ristoranti e una casa funeraria sono stati danneggiati e saccheggiati da scalmanati che insultavano Israele. “Non avevamo mai visto una violenza simile a Sarcelles – assicurava il sindaco François Pupponi – la gente è stordita, la popolazione ebraica è intimorita”. Non si trattava neppure del primo caso. Il sabato precedente, a Parigi, un’altra manifestazione per Gaza era andata fuori controllo ed era finita in scontri con la polizia. Il 13 luglio, nel quartiere del Marais (in pieno centro a Parigi, dunque, non in una banlieu), gli estremisti avevano attaccato, di sabato, la sinagoga piena di fedeli.

I volti delle vittime ebraiche

Secondo l’ultimo sondaggio dell’Anti Defamation League, la Francia è il primo Paese dell’Europa occidentale per antisemitismo. Il 37% dei francesi nutre sentimenti di ostilità, diffidenza, rancore nei confronti della minoranza ebraica. Il 37% costituisce una percentuale ben più ampia rispetto alla pur grande comunità musulmana. E’ una porzione che include più di un terzo dell’intera popolazione d’oltralpe.

Ad essere messo in discussione, a questo punto, è l’intero modello dell’integrazione francese. La Repubblica vanta di essere stata la prima a emancipare gli ebrei nel 1791, subito dopo la rivoluzione. Ma non era tutto rosa e fiori. Le idee stesse dell’Illuminismo francese hanno gettato le basi del moderno antisemitismo. “Non troverete in loro che un popolo ignorante e barbaro, che unisce da tempo la più sordida avarizia alla più detestabile superstizione e al più invincibile odio per tutti i popoli che li tollerano e li arricchiscono”, diceva Voltaire, tutt’altro che un campione della tolleranza, come lo si vuol ricordare oggi. “È giusto che una specie così perversa (“gli Ebrei”) divori se stessa e che la terra venga purificata da questa razza”, ribadiva nei suoi scritti. I giacobini non furono affatto teneri con gli ebrei, soprattutto in Alsazia e in Lorena, dove erano più numerosi: li uccisero in gran numero e ne devastarono le sinagoghe, per le stesse ragioni anti-religiose per cui perseguitavano i cristiani in Vandea. La Francia ha sempre vantato una storia di tolleranza nella laicità, ma è in Francia che avvenne, alla fine dell’Ottocento, il caso Dreyfus, il primo modo eclatante di additare nell’ebreo il corpo estraneo, la spia, il capro espiatorio delle colpe dei francesi. Ed è sempre la Francia, quella del secolo scorso, che produsse il regime di Vichy, uno dei più volenterosi fra i collaborazionisti di Hitler, soprattutto nel consegnargli gli ebrei da deportare nei lager. Vuoi per nazionalismo, vuoi per progressismo, la Francia ha sempre riservato orrende sorprese a questa minoranza. Oggi migliaia di ebrei temono che ne arrivi una nuova, un’inedita forma di collaborazionismo, complici, anche questa volta, i progressisti che aprono le porte alle ideologie del “terzo mondo”, compresa quella dei radicali islamici antisemiti e antisionisti.

Parigi, tutti i misteri di una strage di Gianandrea Gaiani