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LA STORIA

La comunione ai divorziati risposati, concessa senza l'approvazione del Sinodo

Di fronte ai “dubia” sollevati da quattro cardinali, il solito "cartello" di teologi, vescovi e giornalisti fa muro affermando che la possibilità di accedere ai sacramenti perquanti vivono in situazione irregolare è l'esito di quanto approvato nei due Sinodi sulla famiglia. Ma ripercorrendo la storia di quanto accaduto in questi due anni, le cose sono in effetti andate diversamente. E la lettera del Papa ai vescovi argentini richiede altri chiarimenti.

Ecclesia 11_12_2016
Sinodo dei vescovi

Di fronte ai “dubia” sollevati da quattro cardinali nel merito di alcune difficoltà interpretative di Amoris Laetitia, difficoltà che riguardano essenzialmente il capitolo VIII del testo, dobbiamo registrare che molte risposte hanno teso a sottolineare che l’esortazione è il risultato di ben due sinodi e che tutto quello che contiene è stato approvato dai due terzi dei padri. Perciò, si dice, “Roma locuta causa finita”, e le quattro porpore dubbiose sarebbero solo sobillatori. Altri sostengono che tutto è chiaro, o meglio, dicono che tutto è stato chiarito con la lettera che il Santo Padre ha inviato in risposta ai vescovi argentini a proposito delle linee guida pastorali con cui interpretare il passaggio sull’accesso ai sacramenti dei conviventi more uxorio.

Le cose però non stanno proprio così, se nell’orbe cattolico vi sono interpretazioni diametralmente opposte per una pastorale che comunque ha a che fare con almeno tre sacramenti: matrimonio, riconciliazione ed eucaristia. Vediamo dunque i diversi punti.

AMORIS LAETITIA E RELAZIONE FINALE DEL SINODO

Il primo punto che solleva domande riguarda il fatto che la Relazione finale del sinodo ordinario dell’ottobre 2015 ai paragrafi n°84, 85 e 86, quelli che trattano la questione dell’accesso ai sacramenti per i divorziati risposati civilmente, sono quelli che hanno ottenuto il minor numero di placet, sebbene tutti e tre raggiungano effettivamente i due terzi dei voti (177 su 265). In particolare il numero 85, quello in cui si introduce il principio della non imputabilità soggettiva che deve essere tenuto in debito conto nella valutazione dei singoli casi, ottiene la maggioranza qualificata di 1 solo voto (178 placet, 80 non placet).

Però in nessuno dei tre paragrafi si parla esplicitamente di accesso all’eucaristia, cosa che, invece,viene letta nella famosa nota a piè di pagina n°351 di Amoris Laetitia riferita al paragrafo 305, quello in cui si parla, appunto, di situazione in cui «è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa».

Appare chiaro, rimanendo fermi ai fatti, che il contenuto della nota e il paragrafo 305 sono uno “sviluppo” postumo di quanto indicato nei tre paragrafi della relazione finale, e in particolare del paragrafo n°85, ma che in quei tre paragrafi non vi fosse affatto la conclusione che poi si raggiunge nella nota n°351. Anzi, a quanto risulta dalle cronache provenienti dall’Aula nuova del sinodo, molti padri avrebbero acconsentito a dare il loro placet perché convinti dalla revisione al testo che fu data (nella notte tra il venerdì 23 ottobre e il sabato 24 ottobre 2015) al contenuto del paragrafo n°85, in particolare appoggiandosi a una frase. Questa: «È quindi compito dei presbiteri accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo». Il riferimento “all’insegnamento della Chiesa” avrebbe permesso il raggiungimento del quorum dei due terzi, in quanto le esortazioni dei due papi precedenti, con Familiaris consortio n°84 e Sacramentum caritatis n°29, e altri testi della Dottrina della Fede e del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi, tutti testi magisteriali precedenti, costituivano la base solida su cui fondare poi la via di accompagnamento per le coppie di divorziati risposati civilmente. 

Non a caso il cardinale Christoph Schönborn, durante la conferenza stampa di presentazione di Amoris laetitia, ha fatto esplicito riferimento ad uno “sviluppo” rispetto al magistero precedente, visto che il contenuto dell’esortazione non si può dire che, al proposito, si sia limitato a riprendere quanto indicato nei paragrafi 84, 85 e 86 della Relazione finale del sinodo ordinario. 

UN PARAGRAFO SENZA MAGGIORANZA, MA CON “COMUNE ACCORDO”

Facciamo ora un passo indietro e andiamo al Sinodo straordinario dell’ottobre 2014. In quella occasione la questione dell’accesso ai sacramenti per i divorziati risposati non ottenne la maggioranza dei due terzi. Il punto era il paragrafo n°52 della Relatio finale: «Si è riflettuto sulla possibilità che i divorziati e risposati accedano ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Diversi Padri sinodali hanno insistito a favore della disciplina attuale, in forza del rapporto costitutivo fra la partecipazione all’Eucaristia e la comunione con la Chiesa ed il suo insegnamento sul matrimonio indissolubile. Altri si sono espressi per un’accoglienza non generalizzata alla mensa eucaristica, in alcune situazioni particolari ed a condizioni ben precise, soprattutto quando si tratta di casi irreversibili e legati ad obblighi morali verso i figli che verrebbero a subire sofferenze ingiuste. L’eventuale accesso ai sacramenti dovrebbe essere preceduto da un cammino penitenziale sotto la responsabilità del Vescovo diocesano. Va ancora approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti, dato che «l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate» da diversi «fattori psichici oppure sociali» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1735)».

Ebbene questo paragrafo ottenne 112 placet e 64 non placet, cioè non raggiunse la maggioranza dei due terzi. La prassi dei sinodi vorrebbe che quando un paragrafo non ottiene questa maggioranza formale venga stralciato dal testo; invece, per continuare a discuterne nel contesto del lungo cammino sinodale voluto da Papa Francesco, i testi dei paragrafi che non avevano ottenuto il necessario passaggio formale (oltre al n°52 anche il n° 53 sulla comunione spirituale e il n°55 sulla pastorale per le persone omosessuali) vennero comunque mantenuti nel documento finale e pubblicati. Se ciò non fosse stato fatto non sarebbero, ovviamente, mai entrati nel documento di lavoro del sinodo dell’ottobre 2015. Invece, il paragrafo n°122 dell’Instrumentum laboris riprende il paragrafo n°52, con la curiosa aggiunta al n°123 della seguente frase: «C'è un comune accordo sulla ipotesi di un itinerario di riconciliazione o via penitenziale» per l’accesso ai sacramenti dei divorziati risposati. L’aggiunta è curiosa perché non è chiaro a quale comune accordo si facesse riferimento, visto il risultato ottenuto dal paragrafo n°52 all’assemblea straordinaria dei vescovi. 

LA LETTERA DEL PAPA AI VESCOVI ARGENTINI

Qualcuno scrive e dice che tutto è chiaro a proposito dell’accesso ai sacramenti per i conviventi more uxorio, e che i “dubia” dei quattro cardinali sono questioni mal poste, di un’altra epoca. Sordi che non vogliono sentire. E si cita la lettera che il Papa ha inviato ai vescovi argentini che, nelle loro linee guida pastorali in applicazione del capitolo VIII di Amoris laetitia, scrivevano che, in certi casi, anche la convivenza more uxorio non costituirebbe problema per l’assoluzione sacramentale e l’accesso all’eucaristia. Il Papa ha risposto a queste indicazioni dei vescovi argentini dicendo che «non c’è altra interpretazione».

Viene però da chiedersi a che tipo di magistero papale possa essere ascritta questa lettera che, tra l’altro, doveva restare privata, ma che poi è uscita pubblicamente. E’ ragionevole ritenere che questa risposta contenga tutte le sfumature necessarie per soddisfare i cinque “dubia” posti dai cardinali? Tutte le interpretazioni del capitolo VIII che non sono assimilabili a quella data dai vescovi argentini, hanno la medesima cittadinanza nella Chiesa, in quanto parte di una chiesa de-centrata, oppure dovrebbero essere riviste? Sarebbe davvero interessante avere una risposta “dubia” così da fugare ogni dubbio.