La commedia degli abbracci e degli inganni
Che senso ha l'abbraccio di Pisapia con la Boschi? All'apparenza solo le ambizioni dell'ex sindaco di Milano, che potrebbe sperare in un incarico nel prossimo governo di sinistra, magari come Guardasigilli. Ma la storia è piena di abbracci e pugnalate alla schiena. Cose che minano ancor di più la credibilità della politica.
E’ solo l’ultimo abbraccio in ordine di tempo, ma è stato vissuto come un affronto dal popolo della sinistra, sempre più disorientato dalle giravolte dei suoi rappresentanti nelle istituzioni. Maria Elena Boschi e Giuliano Pisapia si abbracciano alla Festa dell’Unità, a Milano, a margine di un dibattito che li ha visti entrambi relatori e, apriti cielo, si scatena la bufera tra simpatizzanti e fedelissimi delle opposte fazioni, che gridano al tradimento e all’inciucio. Quell’abbraccio diventa virale sui social e alimenta commenti sarcastici e al vetriolo, soprattutto da parte dei bersaniani e degli antirenziani, che si sentono traditi dai loro capi.
Si tratta di reazioni in parte comprensibili, visto che soltanto qualche mese fa si è consumata una dolorosa scissione in casa dem e un pezzo di partito, peraltro comprendente l’ex segretario Pierluigi Bersani, si è sfilato per dar vita a una nuova formazione politica, Art.1-Movimento democratico e progressista (Mdp), insieme con spezzoni della vecchia sinistra ideologica. Il ragionamento, forse elementare, che fanno in molti è: ma che senso ha abbracciarsi oggi dopo essersi fatti la guerra fino alla scoppiettante separazione?
Va ricordato che renziani e antirenziani si erano ritrovati su parti opposte della barricata già nell’autunno scorso durante la campagna referendaria per la consultazione del 4 dicembre sulla proposta di riforma costituzionale. A vincere furono gli antirenziani, il che aveva acuito il solco con la “casa madre Pd”, accelerando i tempi della scissione.
E allora che significato ha quell’abbraccio tra la Boschi, renziana doc, e Pisapia, considerato dagli scissionisti antirenziani come il baluardo contro la “renzizzazione” di quell’intera area politica? Secondo i duri e puri che fanno riferimento a D’Alema e Bersani, quell’abbraccio è la dimostrazione che sotto sotto l’ex sindaco di Milano ha più simpatie che antipatie per Renzi e non vuole in alcun modo inimicarselo in vista di prossimi assestamenti istituzionali. Il suo annuncio di non volersi ricandidare al Parlamento e quindi il suo rifiuto di diventare il federatore delle diverse anime della sinistra più o meno ulivista avrebbe una spiegazione anche di altra natura: Pisapia ambirebbe, nella prossima legislatura, a fare il Ministro della Giustizia in un ipotetico governo di centrosinistra e dunque preferirebbe non schierarsi in maniera netta e plateale contro Renzi. Meglio tenersi le mani libere, anche nell’ipotesi, tutt’altro che remota, di un esecutivo di larghe intese Forza Italia-centristi-Pd.
Ma la storia della politica è fatta di abbracci, spesso ipocriti e di facciata, che celano pugnalate e rese dei conti più o meno sotterranee. Lo stesso Pierluigi Bersani, nell’aprile 2013, da segretario Pd, dopo aver detto in campagna elettorale che avrebbe voluto “smacchiare il giaguaro”, abbracciò Angelino Alfano, all’epoca segretario del Popolo della libertà, durante le votazioni del Parlamento in seduta comune, che avrebbero dovuto portare al Quirinale Franco Marini. Quell’abbraccio si rivelò mortale perché la candidatura dell’ex sindacalista fu impallinata e non passò l’esame delle forche caudine dei franchi tiratori.
E che dire dei molteplici abbracci tra Matteo Renzi e Pierluigi Bersani prima della scissione, o tra Angelino Alfano e Silvio Berlusconi prima del “tradimento” o tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini prima della guerra tra i due senza esclusioni di colpi o tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, che solo qualche anno prima (si parla della seconda metà degli anni Novanta) gli aveva dato del “mafioso” e del “piduista” mentre nel 2001 tornò suo alleato e oggi sarebbe quasi sul punto di ripudiare il suo segretario Matteo Salvini e di candidarsi in Forza Italia?
Le piroette della politica in una commedia degli inganni e delle finzioni, amplificate dai media tradizionali e soprattutto da internet e dai virali meccanismi di condivisione sui social, sottraggono ulteriore credibilità alla politica e scavano un solco sempre più profondo tra il Palazzo e l’opinione pubblica. Sembra quasi che quegli abbracci siano ostentati dai protagonisti, per nulla preoccupati della figuraccia di un dietrofront, che peraltro spessissimo si verifica.
Il consenso è diventato sempre più fluttuante e ballerino. La gente è sempre meno disposta a una delega in bianco e cambia velocemente opinione, senza più sentire vincoli di appartenenza, né verso i partiti, uccisi dalle inchieste di Tangentopoli, né verso i leader, delegittimati progressivamente dalla rapidità e inesorabilità dei cicli politici. Berlusconi, bene o male, dopo oltre vent’anni, continua ad essere sulla scena, ma dal novembre 2013 (data della sua decadenza dal Senato) non ricopre più incarichi nelle istituzioni. Renzi è andato a Palazzo Chigi senza investitura popolare e sembra già sul viale del tramonto o comunque con poche chance di ridiventare premier. Sono in crisi i partiti tradizionali, sono in crisi le leadership, infatti gli elettori, soprattutto i più giovani, preferiscono condividere opinioni in Rete e decidere in prima persona. Per questo il modello di democrazia diretta online, introdotto dai grillini, cattura ampi strati di popolazione giovanile. Bisognerà capire come questa adesione a un modello di webcrazia si tradurrà in voti per i candidati pentastellati. E’ la seconda vera incognita delle prossime consultazioni elettorali, dopo quella del sistema elettorale.