La Civilità cattolica va alla guerra degli altari
La rivista dei Gesuiti contesta il cardinal Sarah e Papa Benedetto XVI sulla riforma della riforma liturgica. E cita Papa Francesco per il quale la Costituzione conciliare sulla liturgia deve continuare. Ma una eventuale “riforma della riforma” non sarebbe una revisione del Concilio, ma solo della riforma voluta dalla Commissione e promulgata da Paolo VI. Quindi non si contraddirebbe l’espressione di Papa Francesco.
«La “riforma della riforma” è un errore». Il numero 3995 de “La Civiltà Cattolica”, con un articolo di Padre Cesare Giraudo, mette la parola fine a quanto Joseph Ratzinger, e più di recente, il Cardinale Robert Sarah, avevano auspicato. La frase che dà il titolo all’articolo è dello spesso Papa Francesco ed è contenuta in una conversazione con Padre Antonio Spadaro, direttore della rivista dei gesuiti, ora pubblicata nel volume “Nei tuoi occhi la mia Parola. Omelie e discorsi di Buenos Aires (1999-2013)” (Rizzoli). Queste le parole del Papa: «Il Vaticano II e la Sacrosanctum concilium si devono portare avanti come sono. Parlare di “riforma della riforma” è un errore».
In una conferenza tenuta a Londa il 5 luglio 2016, il Cardinale Sarah, che poco prima disse di essere stato incaricato da Papa Francesco di prendere in mano il dossier sulla liturgia, espresse il proprio parere su un importante punto di una eventuale riforma, ossia l’orientamento dell’altare ad est in modo che tutti, celebrante e fedeli, si rivolgessero a Cristo Salvatore e non a guardarsi negli occhi reciprocamente. La cosa avrebbe richiesto di tornare ai “vecchi” altari. Il Cardinale aveva anche detto che si sarebbe potuto procedere poco a poco.
Ci si chiede: un simile ritorno al celebrante con le spalle rivolte al popolo vorrebbe dire una messa in questione della Sacrosanctum Concilium e del Vaticano II? Il Papa, nella frase sopra riportata dalla conversazione con Padre Spadaro, ha detto che bisogna portare avanti il Vaticano II e la Sacrosanctum concilium. Ora, il celebrante rivolto ad est è cosa che contrasta con questo impegno? Evidentemente no, perché nessuno al Concilio parlò di smantellare i vecchi altari e di costruirne di nuovi rivolti al popolo, nemmeno lo dice il testo della Costituzione sulla divina liturgia. Né il Cardinale Sarah, con la sua proposta, voleva certamente mettere in discussione il Concilio. In altre parole, si potrebbe chiedere, nel pieno rispetto dello spirito e della lettera del Concilio, che questa riforma della riforma fosse intrapresa. La riforma della riforma, secondo le parole del Papa, sarebbe un errore se mettesse in questione il Concilio, ma si deve considerare possibile una riforma della riforma in continuità con la costituzione conciliare sulla liturgia.
Non si può né si deve identificare tale Costituzione con la riforma postconciliare. Non si sovrappongono completamente, la Sacrosanctum Concilium ne sporge. Lo aveva detto, tra gli altri, il cardinale Koch: «Occorre distinguere tra la Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium e la riforma liturgica attuata dopo il Concilio; e non deve essere oggetto di tabù la relazione che esiste tra esse» (nel libro “Il mistero del granello di senape”).
L’idea di cambiare posto all’altare e di mutare l’orientamento del celebrante fu non del Concilio ma della Commissione che fece la riforma. Una eventuale “riforma della riforma” non sarebbe una revisione del Concilio e della sua Costituzione sulla liturgia, ma solo della riforma voluta dalla Commissione e promulgata da Paolo VI. Quindi, se si desse il via a questa riforma della riforma non si contraddirebbe l’espressione di Papa Francesco riportata dalla rivista dei gesuiti.
Colpisce che nell’articolo di Padre Giraudo manchi qualsiasi riferimento a quanto detto sulla “riforma della riforma” dal Cardinale e poi Pontefice Joseph Ratzinger a più riprese, oggi consultabile nel volume dell’Opera Omnia dedicato alla teologia della liturgia. In un articolo che intende bocciare la riforma della riforma, il silenzio sull’autore dell’espressione stessa e delle maggiori argomentazioni a suo sostegno è quantomeno strano. Trattandosi, tra l’altro, del “Papa emerito”.
In sintesi si potrebbero riassumere così le posizioni di Ratzinger-Benedetto XVI: la riforma non doveva avere un intento primariamente pastorale come invece ha avuto; la riforma non doveva essere pensata a tavolino da esperti e professori ma nascere dalla vita della Chiesa; la riforma avrebbe avuto bisogno di molto più tempo. E questo senza nulla togliere né al Vaticano II né alla sua Costituzione apostolica, anzi richiamandosi proprio ad essi.
Il punto principale, in ordine all’articolo di Giraudo, è che per Ratzinger-Benedetto XVI la riforma della riforma non avrebbe dovuto imporsi dall’alto, ma nascere da un “nuovo movimento liturgico”. Come è sconveniente imporre dall’alto la sua realizzazione è anche sconveniente vietarla dall’alto. In questo senso è positivo che La Civiltà Cattolica inviti a non contrapporre tra loro Pio V e Paolo VI, ma forse il modo migliore per contrapporli è proprio porre la parola fine sulla prospettiva della riforma della riforma. Il motu proprio di Benedetto XVI Summorum Pontificum che ha nuovamente permesso la celebrazione secondo il vetus ordo non era una concessione ai nostalgici, ma la spinta ad una riforma della riforma tendente – se e quando Dio vorrà – ad una nuova unificazione liturgica.