Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Cecilia a cura di Ermes Dovico
PRINCÌPI NON NEGOZIABILI

La Chiesa USA: «Obama rinnega la Costituzione»

La Casa Bianca cerca d'imporre
ai cattolici il controllo delle nascite, i vescovi reagiscono e 12 Stati pensano di portarne la voce in tribunale.

Attualità 16_02_2012
Barack

 

Lo scontro fra l’Amministrazione guidata da Barack Obama e la Chiesa Cattolica che è negli Stati Uniti dura oramai da parecchio tempo, ma il solco che ora divide il governo di Washington dai vescovi statunitensi non è mai stato tanto profondo. E in più l’inquilino della Casa Bianca adesso rischia pure di essere trascinato in tribunale da un pool di Stati dell’Unione per violazione della Costituzione federale. Sono molti, infatti, i soggetti lesi dalla riforma sanitaria varata dal governo Obama - il cosiddetto "Obamacare" - che sta cercando d’imporre a tutti, quindi anche alle istituzioni e alle charity cattoliche, l’obbligo di garantire ai propri dipendenti pacchetti assicurativi sulla salute che includano interventi gratuiti di controllo delle nascite: aborto, "pillole del giorno dopo", contraccezione e persino sterilizzazione. Questa, da settimane, è la notizia vera che tiene banco Oltreoceano, altro che le elezioni primarie.

Da noi tutto scivola inesorabilmente nelle pagine cadette dei giornali, quasi si trattasse di semplice cronaca locale, ma sui media americani, cattolici e non, di destra o di sinistra, l’affaire occupa costantemente il primo piano. Si tratta infatti di un caso clamoroso non solo d’ingerenza dello Stato negli affari ecclesiastici - che già sarebbe cosa grave -, ma addirittura di conculcazione dei diritti fondamentali di tutti i cittadini di un intero Paese in palese rottura con quanto invece la sua legge fondamentale sancisce e garantisce esplicitamente. Spingendosi là dove nessun governo americano ha mai osato arrivare, l’Amministrazione Obama sta insomma attuando una sorta di golpe bianco in grado di trasformare il Paese più democratico nel mondo in una tirannia del relativismo.

 

GAY-FRIENDLY TUTTI, ANCHE I CATTOLICI

Le prime fasi di questo scontro, oggi giunto al punto di non ritorno, si sono svolte soprattutto attorno agli sforzi profusi dalla Casa Bianca per intervenire in modo decisivo nelle ridefinizione del concetto di matrimonio in base all’"ideologia di gender" e ai presunti nuovi "diritti" sociali che ne deriverebbero. Obama ci si è speso parecchio, e più volte di persona, prima riuscendo a introdurre nelle forze armate l’omosessualità come fattore del tutto normale, quindi giungendo a definire incostituzionale - ma arbitrariamente - il Defense of Marriage Act (DOMA), cioè la legge federale che, entrata in vigore il 21 settembre 1996, riconosce come matrimonio solo l’unione coniugale tra un uomo e una donna. A ciò la Chiesa ha risposto ribadendo l’impossibilità strutturale - della Chiesa Cattolica per motivi dottrinali, certo, ma in realtà della ragione umana per ragioni naturali e ovvie - di equiparare l’omosessualità al matrimonio monogamico eterosessuale, di estendere il concetto di famiglia alle convivenze gay, nonché di sdoganare a livello sociale e culturale i "diritti" delle "coppie di fatto" fondate sul rapporto fisico fra persone dello stesso sesso.

Già in questa fase della disputa la voce dei vescovi americani, capeggiati dal presidente della Conferenza episcopale cattolica degli Stati Uniti, il cardinale arcivescovo di New York Timothy M. Dolan, si è più volte levata intransigente sui princìpi tanto quanto - come sempre - caritatevole di fronte alle persone e ai casi concreti, unendo parole inequivocabili e inviti alla collaborazione.
Ma, invece di comporsi, il dissidio è cresciuto, tanto da spingere mons. Dolan a chiedere espressamente alla Casa Bianca di rivedere per intero tutta la propria linea politica poiché tutta profondamente errata e lesiva della dignità umana. Al muro ha risposto evidentemente un altro muro, e così i vescovi americani - che nel frattempo raccoglievano lezioni decisive impartite dal Magistero del Papa, nonché il plauso di numerose altre fra Chiese protestanti e comunità ebraiche del Paese, mosse da una solidarietà tanto concreta da configurare una loro discesa in campo a fianco dei cattolici - hanno addirittura istituito un comitato nuovo e speciale incaricato di vegliare sulle violazioni della libertà religiosa. Giacché mons. Dolan e i suoi confratelli nell’episcopato hanno saputo fiutare per tempo proprio questo: l’attacco alla Chiesa cattolica configura un assalto totale alla natura dell’uomo in nome di un progetto sociale aberrante.

Se infatti il tentativo di normalizzare per esempio l’omosessualismo e le sue "regole" cozza anzitutto con la dottrina morale a cui non possono rinunciare i vescovi cattolici, gli effetti pratici che ne derivano danneggiano tutti.
Come i vescovi e i leader cattolici del Paese hanno sottolineato subito, una legislazione nuova in materia di omosessualità impone anche alle istituzioni e agli istituti cattolici che culturalmente non vi si riconoscono gestioni conformi al diritto vigente nel Paese, magari pure per continuare a godere di qualche beneficio di legge accordato da tempo immemorabile a istituzioni tanto particolari e di oggettiva utilità pubblica. Insomma: la Chiesa contesti pure, ma se vuole far sopravvivere le sue opere sociali le renda gay-friendly.

 

ASSICURATI PER NON NASCERE

Tutto ciò è però ancora poco se paragonato a quanto si è scatenato dopo che, il 20 gennaio, il ministro della Salute, Kathleen Sebelius, ha confermato la volontà dell’Amministrazione Obama di costringere i datori di lavoro a fornire ai propri dipendenti assicurazioni sanitarie comprensive sempre e comunque di certi servizi gratuiti tra cui aborto, anticoncezionali e sterilizzazione. I datori di lavoro - ha detto il ministro - debbono conformarsi tutti alla normativa entro il 1° agosto 2012, eccezioni fatta per le organizzazioni cattoliche per le quali la scadenza è posticipata al 1° agosto 2013.

Ora, si tratta di una legge assurda che fa il male sociale - dicono i suoi avversari - poiché, imponendolo come obbligatorio, fa del controllo delle nascite un "principio non negoziabile" che deve pagare di tasca propria anche chi lo avversa in ragione di quella coscienza di cui la legge statunitense tutela la libertà. E inoltre è una normativa che, nel fare il male, parte pure con il piede sbagliato, e per ben due motivi. Il primo è che, introducendo il controllo gratuito delle nascite in piani assicurativi che garantiscono ai lavoratori la copertura sanitaria in caso di malattia, definisce la gravidanza un morbo (il bimbo in grembo come l’ulcera) e quindi la vita nascente una patologia. La seconda è che, accordando alle istituzioni cattoliche una deroga temporanea peraltro non richiesta, mostra di essere pienamente cosciente di ferire in particolare la Chiesa.

Poi, venerdì 10 febbraio, dopo un braccio di ferro durato giorni, Obama, deciso a non retrocedere ma anche lui in piena campagna elettorale, ha cercato una scappatoia, impegnando nella ”mediazione” anche il suo vicepresidente, Joe Biden, cattolico (e chi se n’era accorto?). L’obbligo di fornire gratuitamente l’accesso a metodi per controllare le nascite non spetta più, ha detto il presidente, ai datori di lavoro nella fattispecie cattolici, ma alle compagnie assicurative che forniscono i servizi di copertura sanitaria. Fine della questione? Per nulla. Come la si mette, infatti, con quei datori di lavoro - cattolici - che provvedono da sé all’assicurazione dei propri dipendenti e con le compagnie assicurative cattoliche, di cui del resto le istituzioni e gli istituti cattolici scelgono proprio per quello di servirsi? Per di più i vescovi cattolici - che in questo campo appaiono decisi a non concedere uno iota a Obama - affermano che l’escamotage lascia invariato il problema di fondo: il fatto che la riforma sanitaria della Casa Bianca autorizzi il Paese a coprire con l’assicurazione sulla salute la contraccezione, l’aborto e la sterilizzazione.

 

LA PAROLA PASSA AI TRIBUNALI

Ovviamente - giustamente - dell’intera vicenda si è interessata immediatamente anche la politica, facendo più volte emergere la questione anche nelle campagne elettorali in corso ora per le primarie. Ma in questo braccio di ferro la prova migliore l’ha offerta proprio l’episcopato cattolico (e quella parte del mondo politico che ne ha seguito la strategia). Ribadendo infatti le motivazioni profonde che spingono i cattolici a non poter tollerare il principio su cui si impernia il provvedimento sul controllo delle nascite dell’"Obamacare", i vescovi americani hanno impostato la reazione non sul piano confessionale - di fronte alla quale l’Amministrazione Obama sarebbe andata a nozze -, bensì su quello civile. Hanno cioè gridato con quanto fiato hanno in gola che quell’obbligo imposto a tutti i datori di lavoro - dunque anche a quelli cattolici che per questo dovrebbero essere difesi pure da coloro che cattolici non sono - viola gravemente il principio della libertà religiosa su cui storicamente e culturalmente si fondano gli Stati Uniti d’America (un principio, tra l’altro, che ha permesso ai cattolici di essere oggi la maggioranza del Paese, e "benedettamente" nemmeno poi così silenziosa). Senza dimenticare che il primo emendamento alla Costituzione federale (quello, cioè, che detta la ratio di tutti gli altri e che illumina il senso autentico del testo stesso) pone come pietra miliare dell’ordinamento giuridico del Paese.

Il conflitto tra Chiesa cattolica americana e governo federale è insomma di ambito eminentemente costituzionale. Oppone il criterio di una società libera - che per questo è potenzialmente capace di farsi anche virtuosa - al dirigismo di uno Stato-padrone che invece di governare impone il vizio. Impressionante, infatti, è stata la gara di solidarietà apertasi tra i protestanti e gli ebrei che si sono uniti ai cattolici nella difesa del primo diritto costituzionale di ogni cittadino americano in nome di un principio di ragione e di diritto naturale.

Mostrando una volta in più di essere patriota più di molti altri americani, Amministrazione Obama in testa, l’episcopato cattolico degli Stati Uniti spiega oggi con fermezza e chiarezza che l’obbligo a fornire gratuitamente ai propri dipendenti metodi per stroncare la vita umana è immorale perché antiamericano e antiamericano perché immorale, e che per questo tutti i cittadini statunitensi hanno il diritto-dovere di opporvisi. Non è, dunque, dicono i vescovi americani, la violazione sistematica e cosciente dei princìpi non negoziabili a garantire quella tolleranza sociale per tutti che invece le Chiese e le fedi impedirebbero, ma il contrario. Il rispetto di limiti chiari e di norme oggettive che garantiscano la libertà massima della coscienza della persona umana (quindi la libertà di espressione e di religione) impedisce allo Stato di violare il "sancta sanctorum" dell’uomo, vale a dire la sua natura data e non manipolabile.

Questa verità insegnata a tutti gli americani dai vescovi cattolici statunitensi è del resto così profonda da avere conquistato anche uomini politici e amministratori. A oggi sono infatti dodici gli Stati dell’Unione americana che, capitanati dal ministro della Giustizia dello Stato del Nebraska, Jon Bruning, intendono fare causa all’Amministrazione Obama per violazione del primo emendamento alla Costituzione federale qualora essa non ritirasse immediatamente la norma sul controllo delle nascite. A Obama, al ministro Sebelius e al ministro del Lavoro Hilda Solis i ministri della Giustizia di Alabama, Florida, Louisiana, Maine, Nebraska, North Dakota, Ohio, Oklahoma, South Carolina e Texas hanno già inviato una lettera che suona come un ultimatum. E decine di altre querele da parte di organizzazioni e d’istituti religiosi stanno fioccando addosso alla presidenza.
Nel 2008 i cattolici votarono in gran massa Obama. Ecco, peggio di così davvero non avrebbe potuto andare.