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La chiesa più antica e il miracolo dell'olio

Nel 38 dc a Roma, nei pressi di una foresteria per militari scaturì dal pavimento una polla d'olio. Lo strano fenomeno fu ripreso dal popolo cristiano che nell'olio vide un chiaro riferimento al Cristo, l'Unto del Signore. Oggi al suo posto c'è Santa Maria in Trastevere, la chiesa mariana più antica della Capitale, insieme a Santa Maria Maggiore. 

Cultura 24_12_2016

Correva l'anno 38 a.C. quando a Roma, nei pressi di una taberna meritoria, una sorta di foresteria per militari veterani, scaturì dal pavimento una polla d'olio che defluì, per un giorno intero, fino al corso del fiume Tevere. Lo strano fenomeno fu considerato premonitore di un evento prodigioso e interpretato dagli ebrei come segno dell'imminente venuta del Messia. Questa credenza fu ripresa dal popolo cristiano che nell'olio vide un chiaro riferimento al Cristo, l'Unto del Signore. Al posto della taverna si costruì, dapprima, una domus eccelsiae, un'abitazione privata in parte destinata a celebrazioni religiose, e, in seguito, una vera e propria chiesa. Fu Papa Callisto I, nel III secolo, l’artefice del primitivo oratorio, portato a termine, un secolo più tardi, dal pontefice Giulio I. La basilica di Santa Maria in Trastevere si contende, perciò, con Santa Maria Maggiore, il titolo di  luogo di culto mariano più antico di Roma. Il punto in cui sgorgò l'olio, identificato con la scritta "fons olei", si può, ancora oggi, vedere sopra un gradino dell’attuale presbiterio.

Innocenzo II, nel XII secolo, ricostruì l’intero edificio, utilizzando, per lo più, marmo e travertino provenienti dalle Terme di Caracalla. A lui, e ai suoi successori, si deve il ricco apparato musivo che rende splendida questa chiesa. Sulla facciata, una Vergine materna, raffigurata seduta su di un trono mentre allatta il Suo Bambino, è affiancata da due piccole figure di donatori, non identificati, e da due teorie di Sante recanti in mano una lampada accesa che allude, forse, all’olio qui fuoriuscito miracolosamente. Questi mosaici sono datati al XIII secolo, mentre fu all’inizio del Settecento che l’architetto Carlo Fontana, e il suo committente Clemente XI, sistemarono il portico con le cinque arcate e la balaustra soprastante.

 

L’impianto basilicale interno ha tre navate, separate da colonne di granito egizio architravate, un pavimento cosmatesco in marmi policromi e un seicentesco soffitto a lacunari del Domenichino che mostra al centro un dipinto su rame dell’Assunta. Il mosaico di tessere di pasta vitrea del catino absidale raffigura l’Incoronazione della Vergine tra Santi, sotto cui due file di sei pecore per lato, simbolo degli Apostoli, escono, rispettivamente, da Betlemme e da Gerusalemme per convergere verso l’Agnus Dei. Questi splendidi mosaici risalgono al XII secolo e precedono il ciclo mariano che si sviluppa in sei riquadri sulle pareti accanto all’abside. L’artefice, Pietro Cavallini, pittore romano del XIII secolo, affronta il mistero dell’Incarnazione di Gesù nel grembo di Maria, a partire dalla Natività della Vergine  e proseguendo con l’Annunciazione, la Nascita di Gesù, l’Adorazione dei Magi, la Presentazione al Tempio, la Dormitio Virginis. Le figure, delineate con magistrale utilizzo del chiaroscuro, si muovono sullo sfondo di architetture assonometriche che accentuano la verosimiglianza dello spazio e della scena.

 

Nella cappella fatta erigere dal Cardinale Altemps tra il 1584 e il 1585 si venera un’icona, forse risalente all’VIII secolo, considerata acherotipa, ovvero non dipinta da mani umane. E’ la Madonna della Clemenza, in trono, vestita da Regina, che, affiancata da due angeli, ci offre il Bambino seduto sulle Sue ginocchia.