«La Chiesa paga cara la guerra in Ucraina»
Monsignor Malchuk, vescovo latino di Kiev, denuncia la difficile situazione dei cattolici nelle aree dominate dai filorussi: «Nel Donbass tutti i sacerdoti sono dovuti fuggire, i pochi che vi operano lo fanno clandestinamente». Pressioni anche in Crimea.
- SCHEVCHUK: «UN'INVASIONE, NON UNA GUERRA CIVILE»
«Chi conosce la verità e sperimenta l’ingiustizia non ha bisogno delle parole». Monsignor Petro Herkulan Malchuk, vescovo cattolico di Kiev-Žytomyr, non alimenta le polemiche accese da alcuni suoi confratelli vescovi, dopo che nell’udienza del 4 febbraio Papa Francesco ha definito la crisi ucraina come una «guerra fratricida».
In una conversazione con La Nuova Bussola Quotidiana, monsignor Malchuk offre invece un’interpretazione ben diversa delle parole di Bergoglio. «Credo che il riferimento del Papa fosse alla fratellanza con i cristiani ortodossi, specie quelli appartenenti alla Chiesa legata al patriarcato di Mosca. Se qualcuno ha frainteso le parole del Santo Padre il problema non è nell’affermazione ma nell’interpretazione. È chiaro che in Ucraina oggi non è assolutamente in corso un conflitto civile».
Sia l’arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica ucraina Sviatoslav Shevchuk che l’arcivescovo latino di Leopoli, monsignor Mieczysław Mokrzycki, hanno invece approfittato della settimana romana, in occasione della visita ad limina dei vescovi ucraini, per esprimere il proprio disappunto in merito alla frase pronunciata dal Papa. Monsignor Mokrzycki ha inoltre dichiarato a Radio Vaticana che Francesco sembrava sorpreso da alcune notizie apprese dai vescovi, «perché fino ad ora non aveva una visione completa della situazione».
«Il Papa non sapeva che alcuni prigionieri di guerra sono stati torturati e barbaramente uccisi», conferma a La Nuova Bussola Quotidiana monsignor Malchuk, raccontando la viva partecipazione con cui Francesco ha ascoltato i vescovi ucraini. «Il Santo Padre ha mostrato grande empatia, partecipando alla sofferenza del nostro paese. Noi siamo testimoni della sua compassione e del suo interesse».
Il vescovo di Kiev-Žytomyr smentisce anche le voci secondo cui durante la visita ad limina non sarebbe stato fatto alcun riferimento alla “Centuria Celeste”: i 104 ucraini uccisi negli scontri, molti dei quali hanno trovato la morte esattamente un anno fa, nella notte tra il 20 ed il 21 febbraio 2014. «Ne abbiamo parlato anche con il Santo Padre – afferma il presule – ed abbiamo detto che in cielo ora c’è più luce proprio per la presenza di questi nostri martiri».
Il 21 febbraio, i vescovi cattolici di rito latino hanno avuto l’occasione di incontrare Benedetto XVI nei giardini vaticani. «Un’udienza senza precedenti - afferma monsignor Malchuk – Il Papa emerito non era tenuto a riceverci, eppure ci ha accolto in modo affettuoso, ci ha assicurato le sue preghiere per l’Ucraina e ha avuto per noi preziose parole di incoraggiamento».
Al termine della settimana in Vaticano, i presuli sono tornati nelle proprie diocesi ed eparchie «rafforzati» dal sostegno della Santa Sede. «La situazione in cui versa il paese è davvero drammatica – racconta monsignor Malchuk – la moneta è svalutata, le tasse sono più alte e la gente è stanca».
Per il presule l’accordo raggiunto di recente a Minsk è un mero proforma. «L’Ucraina ha bisogno di solidarietà, di essere capita. Russia, Stati Uniti ed Europa ritengono di poter decidere, ma non ne hanno il diritto. Il popolo ucraino, sterminato e oppresso dopo la seconda guerra mondiale, oggi ha scoperto quella dignità e desiderio di libertà che un tempo non poteva permettersi. E per questo dobbiamo dire grazie a quanti hanno offerto la propria vita per questi valori».
Oltre alle difficoltà sociali ed economiche la Chiesa deve far fronte ad altre difficoltà. In Crimea ad esempio, tutte le strutture devono essere nuovamente registrate. Le autorità locali vorrebbero che la Chiesa di Crimea entrasse a far parte della Conferenza episcopale russa, ma monsignor Malchuk ritiene più plausibile che venga creata un’entità indipendente posta direttamente sotto l’autorità della Santa Sede.
Nel Donbass la situazione è ancor più drammatica. «Alcuni cattolici sono rimasti ma i sacerdoti sono dovuti fuggire. I pochi che vi operano lo fanno clandestinamente e dal momento che sono in maggioranza stranieri, rischiano di essere accusati di essere delle spie». Tra il luglio e l’agosto dello scorso anno tre sacerdoti cattolici sono stati rapiti in Ucraina dai separatisti filo-russi, uno di loro era stato accusato di essere una spia perché proveniva dall’area centrale del paese.
Nella prova, racconta monsignor Malchuk, i rapporti con la Chiesa greco-cattolica ucraina si sono stretti ancor di più. Il presule riferisce di numerosi incontri e perfino di esercizi spirituali condivisi dai ministri delle due Chiese. Più pessimista invece monsignor Mokrzycki, che in una recente intervista ha accusato la Chiesa greco-cattolica di essersi impossessata di strutture appartenenti ai latini.
Nessun dubbio invece sulla natura delle relazioni con la Chiesa ortodossa, specie quella legata al patriarcato di Mosca. «Sono con loro i rapporti più difficili – spiega monsignor Malchuk – ma non direi che sono peggiorati a causa della guerra. Ad eccezione degli incontri ufficiali, collaborazioni e progetti non esistevano neanche prima».