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LA LECTIO DI GAGLIARDI

«La Chiesa cura e batte la paura se dà il primato a Dio»

«Solo dando il primato a Dio e alla Croce la Chiesa potrà sconfiggere la paura e dare gloria a Dio, favorendo non solo la salute, ma anche e soprattutto la salvezza». La lectio magistralis di don Mauro Gagliardi alla Giornata della Bussola. «Salute e salvezza, la Chiesa è il luogo dell'et-et, ma il primato spetta alla salvezza eterna». Paura? «No, timor di Dio, per non offenderLo o separarsene». Perciò «la Chiesa non dovrebbe mai privare i fedeli delle medicine dell’anima». Eppure, “Quanti Pastori hanno affermato pubblicamente, durante la pandemia, che la Chiesa metteva al primo posto la salute dei cittadini!” (Sarah)«Dinanzi all’emergenza pandemica, abbiamo additato solo le cause immanenti, o ci siamo ricordati di predicare su quelle trascendenti? Abbiamo chiesto la conversione dei cuori o solo quella ecologica? La Chiesa non deve mai cedere ad una mentalità immanentista, che si rifugia esclusivamente nei rimedi umani».

Ecclesia 27_10_2021

Pubblichiamo di seguito ampi stralci della lectio magistralis “Salute e salvezza” pronunciata alla Giornata della Nuova Bussola Quotidiana da don Mauro Gagliardi. L’intervento integrale si trova QUI.

È noto che il Cattolicesimo, soprattutto se confrontato con il Protestantesimo, può essere efficacemente descritto come la religione dell’et-et, in contrapposizione all’aut-aut. Queste coppie di congiunzioni latine indicano in breve l’approccio fondamentale alla Rivelazione ed alla fede. Mentre i protestanti prediligono – parlando in termini generali – un approccio dialettico, ossia di contrapposizione tra quanto è divino e quanto è creaturale, il Cattolicesimo preferisce invece la via dell’integrazione, o meglio ancora della sintesi.

Per il cattolico vige sempre una mirabile sintesi per cui la Parola di Dio non si trova o nella Scrittura o nella Tradizione (aut-aut), bensì sia nell’una sia nell’altra (et-et). Il cattolico non deve scegliere tra l’adorazione di Cristo e la venerazione di Maria: egli mantiene unite le due cose. (…)

La sintesi dell’et-et cattolico si applica ugualmente al tema della salvezza cristiana, a partire dallo stesso vocabolario teologico. Possiamo notare che per la Scrittura e i Padri, la salvezza è sia redenzione, riscatto, riacquisto della creatura caduta in Adamo, sia elevazione e compimento dell’uomo e del cosmo in Cristo. Il termine redemptio e la parola salus non si oppongono, facendo parte di un unico mistero. Simile dualità si applica anche agli elementi legati alla natura, come a quelli afferenti al mondo della grazia soprannaturale. Non a caso, i Padri latini scelgono la parola salus per indicare la salvezza.

SALUTE E SALVEZZA
Questa parola indica originariamente la salute fisica, la sanità, ma anche la conservazione ed il benessere e quindi il fatto che qualcosa o qualcuno è al sicuro e sta bene. Il saluto degli antichi Romani “salve” augura proprio questo: “stai bene!”, ossia “salute!”, ed era usato come equivalente del nostro “buongiorno” o appunto del nostro “salve!”. Anche l’aggettivo salvus indica chi è sano, incolume ed anche chi è salvo. In origine simili termini si riferivano all’ambito naturale, ossia alla salute ed incolumità fisica di una persona, oppure allo stato di integrità di un oggetto. Ai nostri giorni, utilizziamo questa antica parola in riferimento ai file dei nostri computer: infatti, per conservarli integri, noi li “salviamo”. I Padri latini assunsero queste parole e le utilizzarono per indicare anche la salute soprannaturale dell’essere umano, la sua salvezza nella grazia ad opera di Cristo. Questa operazione sul vocabolario latino non fu tesa a stravolgere il significato originario delle parole, rappresentando piuttosto l’aggiunta di un altro e superiore significato a quello già esistente, che rimaneva intatto, e quindi anche un’opera di elevazione del termine salus, non contro il senso precedente ma più in alto, per quanto in linea con il senso originario. (…)

Come si è detto, non si tratta di opporre la salute del corpo a quella dell’anima, bensì di mantenere in sintesi i due aspetti. Salus non significa né solo salute né solo salvezza, bensì – come nel titolo di questo intervento – sia salute sia salvezza (et-et). Bisogna inoltre anche tenere conto dell’interna gerarchia tra questi due aspetti, gerarchia per la quale l’attenzione alla salvezza sovrannaturale non elimina affatto la cura della salute fisica, eppure rimane più importante rispetto a questa. Che le cose stiano in questi termini si può mostrare piuttosto agevolmente, attingendo sia a quanto i Vangeli dicono sull’opera di Cristo, sia alle vite dei santi. I Vangeli raccontano numerose guarigioni compiute da Cristo e persino tre episodi di rivivificazione di morti. In tutti questi casi il Signore opera innanzitutto per la salute corporea. Pensiamo ai casi in cui guarisce i lebbrosi o ridà la vista a un cieco. Sono persone malate a cui Cristo fa il dono della salute fisica, la quale è chiaramente un bene. (…)

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IL PRIMATO DELLA SALVEZZA
Bisogna, però, enfatizzare il fatto che, per la fede cristiana, per quanto non vi sia opposizione tra salute fisica e salvezza eterna, sussiste una chiara gerarchia di valori, essendo la salvezza (che un tempo si chiamava “salvezza dell’anima”) ben più decisiva della salute del corpo, che comunque resta molto importante. Ciò emerge con chiarezza dagli stessi racconti evangelici nei quali Cristo, pur operando per la salute dei corpi, lo fa sempre subordinando tali sanazioni alla salvezza delle anime. Così è nel caso della rivivificazione dell’amico Lazzaro, del quale il Signore permise la morte in modo da poterlo poi clamorosamente riportare in vita, dando così un segno soprannaturale dell’opera salvifica del Figlio di Dio fatto uomo. (…)

Il miracolo di restituire la vita fisica a Lazzaro è quindi subordinato alla glorificazione del Figlio, unico Salvatore del mondo. Si potrebbe facilmente illustrare con molti esempi neotestamentari questa gerarchia di valori tra salute e salvezza, ma qui dobbiamo astenerci da tale panoramica per ragioni di tempo.

Tale gerarchia non oppositiva dei valori è stata rimarcata diverse volte dal Magistero della Chiesa. Ad esempio, in un discorso del 1999, san Giovanni Paolo II affermò:
«Poiché il Verbo si è incarnato, il corpo umano è importante e lo sono le condizioni fisiche, sociali e culturali dalla famiglia umana. Poiché il Verbo si è incarnato nel tempo, la storia umana è importante; la vita quotidiana degli uomini e delle donne è importante. […] Tuttavia, il cristianesimo è anche escatologia. Il Nuovo Testamento non lascia alcun dubbio sul fatto che questi siano “gli ultimi giorni”, che il mondo, così come noi lo conosciamo, passa e che quindi non è in alcun modo assoluto né tantomeno divino» (Ai Presuli canadesi, 30.10.1999, n. 3).

LA PROSPETTIVA ESCATOLOGICA
Ritroviamo in questo brano i due punti principali, necessari a ben articolare il rapporto tra salute e salvezza. Da un lato, viene chiaramente affermata la già menzionata gerarchia di valori (o assiologia) tra il naturale ed il soprannaturale. Dall’altro, il Papa richiama l’indole escatologica del Cristianesimo. Tale indole è stata autorevolmente ricordata al cap. VII della Costituzione ecclesiologica Lumen Gentium del Concilio Vaticano II e, più di recente, dall’enciclica Spe Salvi di papa Benedetto XVI. Proprio all’inizio di questa enciclica, papa Benedetto scriveva:
«La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto e accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino» (Spe Salvi, n. 1).

Questa annotazione è estremamente rilevante. Nel faticoso presente che noi tutti ci troviamo a vivere, è necessario non smarrire il senso della speranza escatologica, caratteristica peculiare e irrinunciabile del cristiano. Il cristiano affronta le difficoltà di questa vita sorretto e motivato dalla solida e concreta speranza che non tutto si esaurisce in questa esistenza terrena e che grande ricompensa attende coloro che sanno soffrire con Cristo.

L’ottica escatologicamente orientata ci permette di capire in modo corretto la sofferenza stessa. Viviamo in tempi nei quali si soffre molto e per diversi motivi. La causa più recente di sofferenza e di morte è stata la pandemia da covid-19. Questo virus ha causato grandi sofferenze fisiche, ma anche e soprattutto psicologiche e spirituali. Cosa ha da dire la Chiesa riguardo a questo? E come deve la Chiesa comportarsi in base alla propria dottrina sulla sofferenza umana?

Un punto fondamentale che, in quanto cristiani, non dobbiamo dimenticare è che la sofferenza è elemento insopprimibile tanto della vita terrena di ogni uomo, quanto della religione cristiana. La sofferenza è una delle componenti essenziali della vita di ogni uomo, in qualunque epoca, regione geografica, condizione sociale e religione. Questo è un dato di fatto inoppugnabile. Il Cristianesimo si è distinto per la sua capacità di dare, per la prima ed unica volta nella storia dell’umanità, una risposta solida e convincente al problema del male cosmico e della sofferenza umana. La sofferenza è sempre esistita tra gli uomini. Solo il Cristianesimo, però, ha insegnato agli uomini a capirla e affrontarla nel modo giusto. Al centro del Cristianesimo, infatti, c’è Gesù Cristo, crocifisso e risorto, Colui che ha preso su di Sé la nostra sofferenza e l’ha volta in gloria, donandoci speranza. Grazie a Cristo si può rispondere a quell’enigma del male che i filosofi da sempre hanno indagato senza risolverlo, perché non potevano. Grazie a Cristo sappiamo perché dobbiamo soffrire, qual è la causa della nostra sofferenza, ossia il peccato, ma soprattutto sappiamo come uscirne fuori perché, redimendoci dai peccati, Cristo ci ha dato la salvezza su cui poggia la nostra speranza. Egli ci ha spiegato il mistero della sofferenza e ci dà la grazia per affrontarla e vincerla alla fine. (…)

LA RISPOSTA ALLA PAURA
In una situazione come l’attuale, in cui sussiste un sottile, eppure evidente sistema della paura, come deve rispondere la Chiesa? Essa deve innanzitutto rispondere ricordando che la croce non è un elemento ornamentale, ma il centro della vita e della fede. La Chiesa deve continuare a insegnare che la sofferenza fa parte di questa vita e che quindi non possiamo mai evitarla del tutto. In questo modo, si esclude ogni tentazione di auto-salvezza da parte degli uomini. Il Cristianesimo possiede la chiave ermeneutica per comprendere la sofferenza e soprattutto può dispensare l’antidoto spirituale per vincerla e per volgere il male in bene.

La Chiesa, dunque, non può semplicemente uniformarsi alle soluzioni umane – giuste o sbagliate che siano – proposte dalle autorità politiche e sanitarie. Queste ultime fanno ciò che possono. A volte lo fanno bene, altre volte male. A volte lo fanno essendo sinceramente preoccupate del bene comune, altre volte errori, egoismi, ideologie e corruzione inquinano l’agire delle agenzie governative e sanitarie. La Chiesa, ad ogni modo, senza trascurare l’aspetto della natura, ha ben altro e ben di più da dire e da dare, e con un’autorità ben superiore. Se essa non si distingue, degrada la propria natura a quella di agenzia politico-sociale o di ente caritativo-assistenziale. Come disse papa Francesco nel primo giorno del suo pontificato: «Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore» (Messa con i Cardinali, 14.03.2013).

L’ESEMPIO DI SAN CARLO
La Chiesa non si occupa soltanto, né principalmente, della salute del corpo, per quanto non disdegni di prendersene cura. Ricordiamo l’esempio di san Carlo Borromeo. L’Arcivescovo di Milano si trovò ad affrontare l’epidemia della peste del 1576-1577, che egli riteneva essere un flagello mandato da Dio come punizione dei peccati del popolo e non trascurò di rimproverare le autorità civili per aver riposto più fiducia nei mezzi umani che in quelli spirituali. San Carlo si lamentò perché le autorità avevano proibito le riunioni pie e le processioni, nonché le cerimonie pubbliche di ogni genere, timorosi com’erano che l’assembramento di persone potesse favorire la diffusione del contagio. Il Borromeo riuscì a far ritirare tali prescrizioni, adducendo evidenze storiche contrarie, tra cui l’esempio di san Gregorio Magno, che nel 590 aveva ottenuto dal Cielo la fine della pestilenza a Roma proprio mediante un solenne atto religioso pubblico.

Questa visione di fede si ispira, come sempre, alle parole evangeliche. Cristo, infatti, ha detto: «Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna» (Mt 10,28). L’atteggiamento della Chiesa dinanzi ai pericoli di questa vita è sempre stato quello di contrastare la paura per inculcare il sano timore di Dio. San Giovanni Paolo II, che aveva vissuto e sofferto molto sotto un regime oppressivo, che dominava instillando il terrore, si affacciò sulla scena del mondo come Successore di Pietro dicendo: «Non abbiate paura!» (Omelia di inizio Pontificato, 22.10.1978). La Chiesa si oppone alla paura che nasce nel cuore dell’uomo a causa dei pericoli della vita. Essa contrasta la paura perché possiede e insegna il timore di Dio. La paura, infatti, è figlia del peccato, figlia dell’egoismo e della mancanza di fede. Ha paura chi non ama Dio né il prossimo ed è quindi rinchiuso in un disordinato amore di sé.

NON PAURA, MA TIMOR DI DIO
Alla paura che sorge spontanea dinanzi ai mali di questo mondo, il Cristianesimo oppone il dono del santo timore di Dio. San Tommaso d’Aquino spiega che sussiste una distinzione tra timore servile e timore filiale. Il primo ci fa volgere a Dio per timore della pena dovuta ai nostri peccati, mentre il secondo si prova a motivo della colpa, dato che «è proprio dei figli temere l’offesa al padre» (STh II-II, 19, 2). Contrariamente a quanto potremmo istintivamente pensare, il timore servile non è del tutto negativo. Lo stesso san Tommaso ricorda che timore servile e timore filiale sono le due facce dell’unico timor di Dio, che è un dono dello Spirito. È impossibile che lo Spirito Santo infonda in noi qualcosa di negativo e quindi anche il timore servile, in quanto parte del timor di Dio, è utile alla nostra santificazione. (…)

A differenza delle forze politiche e mediatiche, che diffondono la paura ed anche determinate norme per costringere gli uomini ad agire in un certo modo, la Chiesa, predicando il timor di Dio, non costringe nessuno. L’uomo resta sempre libero di peccare. La Chiesa ammonisce ed esorta, cerca di convincere, ma non obbliga. Essa non predica riguardo al giudizio divino allo scopo di sottoporre gli animi a schiavitù, ma per rinverdire la consapevolezza che il peccato comporta la conseguenza infausta del castigo, mentre la virtù ottiene il premio.

Per questo san Tommaso scrive che «il timore servile per sua natura è buono, per quanto la sua servilità sia cattiva» (ivi, 19, 4). La differenza, poi, con il timore filiale è questa: «Il timore servile considera Dio come principio capace di infliggere i castighi; invece, il timore filiale considera Dio non come un principio attivo dal punto di vista della nostra colpa, bensì come termine dal quale ha paura di separarsi con la colpa» (ivi, 19, 5, ad 2). In questo senso, per quanto il timore servile non sia cattivo e possa rappresentare una forma del sano amore di sé, dato che l’uomo deve amare anche se stesso e non solo il prossimo (cf. ivi, 19, 6), resta vero che la forma più perfetta del timore di Dio è quella del timore filiale, «in quanto esso ci rende rispettosi verso Dio e timorosi di sottrarci al suo dominio» (ivi, 19, 9); infatti «quanto più uno ama una persona, tanto più teme di offenderla e di separarsene» (ivi, 19, 10).

Questa brevissima incursione nella teologia del Dottore Angelico ci ha mostrato che l’oggetto principale del timore è Dio, non la pena, la colpa, il castigo. Men che meno, dunque, si deve aver paura di mali inferiori, quali quelli inflitti da personaggi potenti e prepotenti, oppure da malattie. Bisognerà di certo essere prudenti, ma non impauriti. (…)

UNA CHIESA CHE NON SI PIEGA ALLE IDEOLOGIE
Proprio per questo la Chiesa non dovrebbe mai privare i fedeli delle medicine dell’anima, che danno la vita eterna. Nel suo contributo ad un volume che viene pubblicato in questi giorni, si è espresso con la consueta chiarezza il Cardinale Robert Sarah, che ha scritto:
(…) Nel mondo sono state numerose le situazioni in cui noi Pastori non abbiamo combattuto per preservare la libertà di culto del gregge di Cristo. In certi casi, i vescovi hanno preso decisioni ancor più restrittive dei governi civili, per esempio decidendo la chiusura delle chiese anche lì dove lo Stato non lo imponeva. Di tutto questo dovremo certamente rendere conto al Giudice supremo. (..) Quanti Pastori hanno affermato pubblicamente, durante la pandemia, che la Chiesa metteva al primo posto la salute dei cittadini! Ma Cristo è morto sulla croce per salvare la salute del corpo o per salvare le anime? È chiaro che la salute è un dono di Dio e la Chiesa da sempre la valorizza e se ne prende cura in molteplici modi. Ma più ancora della salute del corpo, per noi Pastori conta quella dell’anima, la quale è la “suprema lex”, la legge suprema, nella Chiesa. Abbiamo permesso che i nostri fedeli restassero per lungo tempo senza la liturgia, senza la Comunione eucaristica e la Confessione, quando invece come si è visto bastava organizzarsi per offrire i Sacramenti in modo sicuro anche dal punto di vista sanitario. Avremmo potuto e dovuto protestare contro gli abusi dei governi, ma quasi mai lo abbiamo fatto» (Dal volume Dieci comandamenti per dieci cardinali; anticipazione cit. da Libero, 28.09.2021, p. 12).

La Chiesa non può piegarsi alle ideologie del momento, perché essa non esiste per farsi gradire ma per cooperare alla salvezza degli uomini. Gesù temette molto che la gente lo gradisse: (…) Per il Signore non sarebbe stato difficile farsi apprezzare dal popolo e ricevere approvazione dai capi. Ma in tal caso Cristo sarebbe stato connivente con i poteri mondani, mentre Egli era venuto a sovvertire il potere del diavolo.

Da tutto ciò impariamo che, nelle attuali circostanze, la Chiesa ha fatto bene a proteggere la salute dei corpi, perché la grazia non elimina la natura. Ci chiediamo tuttavia se, sempre e dovunque, la Chiesa si è preoccupata quanto meno in modo uguale della salute spirituale. Per dirlo in termini concreti: ci siamo dati da fare per igienizzare i banchi delle chiese; ma abbiamo posto come minimo lo stesso zelo per promuovere la penitenza, il senso del timore di Dio e la Confessione sacramentale? Dinanzi all’emergenza pandemica, abbiamo additato solo le cause immanenti, o ci siamo ricordati di predicare su quelle trascendenti? Abbiamo chiesto la conversione dei cuori o solo quella ecologica? Ancora: ci preoccupiamo molto affinché la Santa Comunione sia distribuita e ricevuta curando che le mani di ministri e fedeli siano ben igienizzate – e in questo nulla di male. Ma ci preoccupiamo come minimo allo stesso livello, se non di più, di ricordare ai fedeli che la Santa Comunione va ricevuta non solo con mani pulite ma anche e soprattutto con cuore puro?

Se c’è una lezione urgente che dobbiamo imparare da quanto abbiamo vissuto negli ultimi tempi è proprio questa: che la Chiesa non deve mai cedere ad una mentalità immanentista, che si rifugia esclusivamente nei rimedi umani. Essa deve rimanere sempre il grande «segno levato tra le nazioni», che ricorda a tutti il primato di Cristo, il primato della Croce, il primato di Dio, il primato della grazia e il primato della vita eterna. Solo in questo modo essa potrà sconfiggere la paura e dare gloria a Dio, favorendo non solo la salute, ma anche e soprattutto la salvezza.

* Professore Ordinario dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum; Professore Invitato presso la Pontificia Università di San Tommaso d’Aquino in Urbe (Angelicum)