La Chiesa contro il malgoverno d'Africa
La voce del Papa, levatasi a novembre in Benin, ha infuso nuova forza nei sacerdoti e nei missionari d'Africa, che denunciano i misfatti di certi governi.
Lo scorso novembre Papa Benedetto XVI, durante il suo viaggio pastorale in Benin, ha indicato corruzione, malgoverno e tribalismo come principali cause dei gravi problemi economici e sociali che affliggono tanti stati africani.
Le sue parole sembrano aver infuso in sacerdoti e missionari nuova forza, accrescendone la determinazione a denunciare i misfatti dei governi e a intervenire per indurli a desistere dai loro errori. Specialmente in queste ultime settimane, si sono moltiplicate le iniziative in tal senso della Chiesa: è un altro modo di aiutare le popolazioni africane che si affianca alle consuete attività di promozione umana e di assistenza caritatevole sempre associate all’opera di evangelizzazione e testimonianza.
Nella Repubblica Democratica del Congo la Conferenza episcopale non ha esitato a dichiarare prive di credibilità le elezioni presidenziali e legislative del 28 novembre, invalidate da brogli vistosi come ha confermato di recente il rapporto finale degli osservatori elettorali inviati dall’Unione Europea. La Chiesa ha inoltre avuto parole di condanna per le violenze di cui si sono rese responsabili le forze dell’ordine prima e dopo il voto. La risposta delle autorità è stata la dispersione da parte della polizia, a febbraio, di una marcia di protesta organizzata nella capitale Kinshasa dal Consiglio dell’apostolato dei laici cattolici congolesi e la temporanea chiusura di Elikya, l’emittente radiotelevisiva cattolica dell’arcidiocesi di Kinshasa. A marzo la Conferenza episcopale ha poi avviato dei colloqui intesi a promuovere il dialogo tra i leader delle principali forze politiche: un tentativo che finora non ha dato risultati.
In Camerun è stato Fidèle Maglebe, vicario generale della diocesi di Duala, la capitale economica, a prendere la parola contro “l’insicurezza crescente e gli abusi di potere a tutti i livelli, in particolare tra le forze di sicurezza”. Il coraggioso documento di denuncia, pubblicato sul giornale della Conferenza episcopale del Camerun, prende spunto dall’arresto immotivato, senza mandato, di un sacerdote, padre François Kasco, e dai maltrattamenti da lui subiti durante la detenzione. Come padre Kasco, ogni giorno altri cittadini camerunesi subiscono ingiustizie, violazioni dei loro diritti, brutalità e umiliazioni. Inoltre i rapimenti, gli omicidi, le aggressioni, le persone scomparse sono ormai fatti quotidiani. La violenza comune non risparmia nessuno. In meno di due anni a Douala 12 parrocchie sono state attaccate e saccheggiate. Il Paese è diventato terra di nessuno - conclude la lettera aperta - le autorità o lo ignorano oppure non se ne curano. Il governo non ha replicato, anche se la lettera ha fatto scalpore, in Camerun e in tutto il continente.
Dello stesso tenore è la testimonianza della Chiesa in Costa d’Avorio, un Paese segnato da anni di guerra civile e da una cruenta crisi post elettorale conclusasi lo scorso maggio con l’arresto del presidente Laurent Gbagbo e l’insediamento alla carica di capo di stato del suo avversario, Alassane Ouattara. Violenze, aggressioni, rapine, omicidi restano quasi sempre impuniti e anzi a commetterli sono le stesse forze di sicurezza che dovrebbero tutelare i cittadini. Le bande armate degli ex miliziani imperversano indisturbate prendendo di mira soprattutto le parrocchie e le comunità religiose. L’ennesimo grido d’allarme arriva da padre Dario Dozio, superiore regionale della Società missioni africane, secondo cui inoltre la delinquenza comune non è l’unico problema. Il paese infatti continua a essere diviso profondamente tra nord e sud, tra musulmani e cristiani e il governo ormai dominato dal nord islamico sembra sottovalutare la portata dei problemi che questo comporta.
In Kenya il Consiglio nazionale delle Chiese è invece intervenuto per ammonire le forze politiche in vista delle elezioni generali che si svolgeranno a fine anno o all’inizio del 2013. Senza mezzi termini una nota appena pubblicata accusa i politici di esasperare le divisioni sociali ed etniche e di destabilizzare il paese istigando all’odio. Deplorando chi “demonizza le istituzioni costituzionali”, ricorda che è stata la “scellerata campagna elettorale” del 2007 a provocare il feroce scontro post elettorale tra le maggiori etnie del paese che ha causato nel 2008 1.300 morti e centinaia di migliaia di sfollati. La preoccupazione è tanto più giustificata in quanto negli ultimi anni gli scontri etnici si sono moltiplicati soprattutto nelle regioni aride e l’aumento del costo della vita ha creato crescenti disagi nei centri urbani popolati da masse di poveri che vivono di espedienti.
Per finire, in Malawi la Chiesa, malgrado le intimidazioni, continua a sostenere le forze sociali che da mesi protestano contro il malgoverno e la corruzione, responsabili della devastante crisi economica che affligge la popolazione, e contro la repressione violenta delle manifestazioni di piazza che ha causato decine di vittime a partire dallo scorso luglio. La cattedrale cattolica della capitale Blantyre ospita dal 14 marzo una assemblea della società civile convocata per discutere i problemi del paese. Il governo, invitato a parteciparvi, l’ha disertata e ha fatto circondare l’edificio da agenti in tenuta antisommossa. La Conferenza episcopale, preoccupata per il rischio di ulteriori derive autoritarie, ha appoggiato la richiesta emersa dall’assemblea di dimissioni del presidente Bingu wa Mutharika oppure di un referendum popolare sul suo operato: eventualità entrambe respinte seccamente dal capo dello Stato.