Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Maria Maddalena a cura di Ermes Dovico

INDIA

La Chiesa cattolica boccia il "nuovo Gandhi"

Nella protesta anticorruzione di Anna Hazare, al suo secondo sciopero della fame, potrebbero infiltrarsi pericolosi elementi del fondamentalismo indù.

Attualità 26_08_2011
Anna Hazare

 

Nuova Delhi. La Chiesa cattolica dell’India si è unita al crescente coro di voci che chiedono ardentemente all’attivista Anna Hazare d’interrompere lo sciopero della fame messo in atto da diversi giorni per costringere il governo a varare severe leggi che contrastino la corruzione che dilaga nel Paese.

«Il digiuno di Hazare ha ottenuto il suo scopo. Ora l’attivista dovrebbe ascoltare i consigli del parlamento e del primo ministro che lo invitano a smettere», ha detto ieri a La Bussola Quotidiana don Babu Joseph, portavoce della Conferenza episcopale cattolica dell’India.

Don Joseph ha così chiarito la posizione assunta dalla Chiesa dopo la relazione svolta in parlamento dal primo ministro Manmohan Singh, il quale ha pure riconosciuto il ruolo catalizzante svolto da Hazare nel risvegliare la nazione davanti alla sfida della corruzione.

«Abbiamo preso nota delle sue argomentazioni. Personalmente rispetto il suo idealismo. Hazare è divenuto l’incarnazione della preoccupazione e del disgusto del popolo rispetto alla corruzione. Plaudo a lui, lo stimo», ha detto il primo ministro prima di rivolgersi direttamente all’attivista affinché metta fine a quella sua iniziativa che oramai ha fatto il giro del media internazionali.

Migliaia di persone affluiscono infatti da gironi a Ramlila Ground, un grande spazio aperto della capitale Nuova Delhi dove il 16 agosto Hazare ha iniziato il proprio sciopero della fame. Perché sì, Hazare il suo vero digiuno lo ha di fatto iniziato nel momento in cui la polizia procedeva al suo arresto, ovvero molte ore prima di avviare formalmente quella sua forma di protesta pubblica e di essere rinchiuso nella prigione di Tihar che ospita alcuni dei personaggi più corrotti del Paese, inclusi alcuni ministri e dei parlamentari.

Di fronte poi alla grande reazione popolare immediatamente seguita al suo arresto, il governo ha deciso la scarcerazione dell’attivista 74enne la sera stessa dell’incarcerazione. Ma a quel punto Hazare è riuscito a volgere il tavolo a proprio vantaggio, rifiutandosi di lasciare la prigione se non con la libertà incondizionata di dare vita a uno sciopero della fama a oltranza e pubblico in uno dei luoghi più noti della capitale. Solo dopo avere ottenuto il permesso dal governo Hazare ha lasciato la cella il 19 agosto acclamato dalla folla onde continuare il digiuno, di per sé iniziato tre giorni prima, al cospetto di migliaia di sostenitori.
Nel frattempo, in diverse città indiane sono state lanciate proteste analoghe per appoggiare le richieste avanzate dalla “società civile” guidata da Hazare.

Attivista gandhiano, Hazare aveva già galvanizzato il Paese in aprile mediante l’indizione di un primo sciopero della fame a oltranza che però egli interruppe dopo soli cinque giorni nel momento in cui il governo acconsentì a formare un tavolo di discussione composto da ministri federali e da attivisti popolari allo scopo di redigere un testo di legge severamente anticorruzione.
Questa vera e propria crociata moralizzatrice segue del resto gli enormi scandali - si parla di miliardi di dollari - scoppiati nel campo delle telecomunicazioni mobili e scoperti pure nell’organizzazione dei Giochi del Commonwealth svoltisi a Nuova Delhi nell’ottobre 2010.

Dopo la sospensione del primo sciopero della fame in aprile, Hazare e il suo gruppo di sostenitori ne avevano annunciato un secondo allorché i tavoli di intesa con il governo erano finiti, al termine di diverse seduta di lavoro, in un grande fiasco, con il governo che si era rifiutato di sottoscrivere le proposte legislative più radicali avanzate dagli attivisti.

Intanto, a detta di alcune équipe mediche che lo hanno visitato, la salute dell’anziano attivista ha cominciato a compromettersi e così, di fronte alla nuova promessa del governo di sedersi al tavolo della discussione, diversi partiti  politici si sono uniti nel domandare ad Hazare di rinunciare per sempre alle sue per lui pericolose forme di protesta.

Ma Hazare non ha sentito ragioni, ha ricominciato il digiuno in agosto e a tutt’oggi continua a non voler retrocedere. Dice che cesserà il digiuno solo se e quando il parlamento accetterà di prendere in considerazione le proposte di legge anticorruzione preparate dai suoi esperti, cosa che però l’emiciclo indiano si rifiuta di fare giudicando la richiesta di Hazare e soci come una prevaricazione di quell’autorità del parlamento che in una democrazia è fondamentale.

In questo quadro, Vincent Concessao, arcivescovo di Delhi, che in aprile era al fianco di Hazare nel momento in cui questi iniziò il suo primo sciopero della fame, si è unito alle voci di quanti chiedono all’attivista di sospendere la protesta. «Sono favorevole agli scioperi della fame se servono per mettere l’accento su un problema, ma i digiuni che si protraggono sino alla morte non sono affatto accettabili. La vita è infatti un dono di Dio e Dio solo ha il diritto di toglierla. A noi uomini spetta invece il compito preservarla e di promuoverla », ha detto l’arcivescovo in un comunicato diffuso alla stampa nell’ora in cui le preoccupazioni per la salute di Hazare si sono fatte serie.

A La Bussola Quotidiana il presule ha però pure aggiunto di avere declinato l’invito a unirsi alle crescenti proteste che scuotono il Paese poiché è assolutamente contrario alla minaccia posta alla democrazia parlamentare da una società civile che cerca di imporre scadenze e regole al parlamento stesso.
Mons. Concessao si dice inoltre preoccupato delle possibili infiltrazioni nel movimento popolare scatenatosi oggi contro la corruzione di elementi del nazionalismo indù che tentino di volgere a proprio vantaggio politico la difficile situazione del Paese. Identica preoccupazione era stata già del resto espressa sia dal mondo musulmano indiano sia da quello laico.

Don Pius Marandi, preside della St. Joseph’s School di Dumka, nello Stato di Jharkhand, nell’est del Paese, ha testimoniato che il 18 agosto i suoi uffici sono stati saccheggiati e le lezioni nelle classi disturbate da attivisti dell’ala studentesca della formazione nazionalista indù Bharatiya Janata Party, la principale forza di opposizione del Paese, dopo che la direzione dell’istituto aveva rifiutato di chiudere i battenti della scuola per unirsi alle proteste di piazza.

«Tutti siamo contro la corruzione. Ma gli slogan che si sentono ora rivelano chiare infiltrazioni politiche», ha sottolineato il reverendo Richard Howell, ben noto attivista cristiano.
Dal canto proprio, Hazare ha letteralmente scioccato il mondo laico quando, uscendo di galera il 19 agosto, ha salutato la folla salmodiando le parole Vande Mataram, ovvero “Salve a te, o madre”, uno famoso slogan strettamente legato al nazionalismo indù.

Syed Ahmed Bukhari, guida principale dei musulmani indiani a capo dalla moschea Jama Masjid di Delhi, si è del resto pure lui pubblicamente chiesto perché l’attuale campagna anticorruzione tralasci deliberatamente di prendere in considerazione le preoccupazioni che affliggono ora le minoranze religiose. Senza mezzi termini, il leader islamico aggiunge che i fondamentalisti indù costituiscono adesso una minaccia uguale a quella posta al Paese dalla corruzione. Ma Hazare e i suoi non raccolgono.

Ram Punyiani, attivista indù tra i più famosi, in un articolo dedicato alle proteste di piazza della sua rubrica giornalistica ha sottolineato che dietro «la rivolta di Hazare» e «il ceto medio che gli regge il moccolo» si scorgono le mani “visibili-invisibili” dei gruppi fondamentalisti indù.

A.J. Philip, cristiano, un veterano del giornalismo, riconosce infine ad Hazare il merito di avere destato l’attenzione nazionale sul problema della corruzione, ma gli rinfaccia di «non avere mai pronunciato una sola parola contro il pogrom antimusulmano consumatasi nel Gujarat» nel 2003 e costato la vita a centinaia di islamici massacrati dalle torme indù, e nemmeno contro «le atrocità anticristiane perpetrate nel distretto di Kandhamal nello Stato di Orissa tre anni fa».