La chiesa bruciata, la guerra contro la fede e una luce
Una chiesa del Mississippi è stata bruciata, sul marciapiede la scritta: «Scommetto che adesso starete in casa. Ipocriti». Il pastore ha spiegato che «continueremo ad avere fede e a fare quello che abbiamo sempre fatto». Questo l'emblema della resistenza di alcune chiese e di qualche vescovo americano a chi, con la scusa della pandemia, vìola la libertà religiosa: una testimonianza che colpisce i politici e che accende un lume in mezzo alle tenebre.
C’è un fatto di cronaca che a prima vista può davvero allarmare perché fa comprendere quanto la paura e la violenza abbiano raggiunto livelli estremi anche attraverso il terrorismo mediatico da coronavirus. Eppure, dentro le righe di questa vicenda, c’è una luce che indica come possiamo vivere in essa, nonostante tutto. Una luce da domandare.
Mercoledì scorso una chiesa del Mississippi è stata bruciata da un incendio intorno alle 2 di notte. Si tratta della chiesa pentecostale del Santo Spirito della cittadina di Holly Springs. I pastori di questa chiesa erano finiti nel mirino mediatico per aver avuto il coraggio di non piegarsi di fronte al tentativo del Comune di limitare la libertà di culto e religiosa, tanto da ricorrere contro l’amministrazione cittadina. Infatti, sebbene l’autorità comunale avesse imposto il lockdown alle chiese, il governatore dello Stato, Tate Reeves, aveva considerato i luoghi di culto come “enti essenziali” che potevano rimanere aperti.
L’incendio, secondo le indagini riportate da Fox 13, è di natura dolosa. «Siamo convinti che in base alle prove, a ciò che abbiamo visto sul luogo e dalla cima della collina si sia trattato di un incendio doloso», ha dichiarato Kelly McMillen, ufficiale della contea di Marshall. Anche perché di forte al marciapiede della chiesa sono state lasciate delle scritte di vernice che dicono così: «Scommetto che adesso starete in casa. Ipocriti [sic!]».
La tensione era salita quando, attenendosi alle decisioni del governatore, la chiesa aveva celebrato la Pasqua. La polizia aveva però fatto irruzione nell’edificio minacciando i presenti di persecuzione penale, nonostante i fedeli stessero mantenendo le distanze e adottando le misure di sicurezza richieste. Motivo per cui il giudice federale ha poi dato ragione alla chiesa. Lo stesso governatore aveva chiarito che il provvedimento cittadino era in contrasto con il suo: «È molto evidente che i Comuni possono avere linee guida più stringenti di quelle del governatore, ma non possono avere linee guida in conflitto diretto con quanto abbiamo messo in atto. C'è una ragione per cui abbiamo definito le chiese essenziali…credo fermamente che il governo non abbia il diritto di chiudere le chiese. Abbiamo la libertà religiosa in questo Paese».
Stephen Crampton, della Thomas More Society, che ha difeso legalmente la chiesa, ha spiegato a Foxnews che questa era stata presa di mira anche sui social e che «siamo in un momento in cui non credo sia segreta la crescente ostilità nei confronti delle chiese», ma c’è chi non si arrende, chi è «schietto e in qualche modo resta fermo».
In effetti, nemmeno l’incendio è servito a fermare il pastore della chiesa, Jerry Waldrop, che ha dichiarato di non sapere chi sia il colpevole, perché «non abbiamo nemici noti», ma che soprattutto ha spiegato senza paura così: «Continueremo ad avere fede, continueremo a fare quello che abbiamo sempre fatto... Mi riunirò come i nostri fedeli…qualsiasi cosa sia necessaria la faremo».
Ma anche in Kentucky è avvenuto qualcosa di simile: quando la città di Louisville aveva optato per la chiusura delle chiese, la Christian Church si era decisa a sottoporre al giudizio della corte il divieto, ottenendo (prima che il processo si concludesse) la riapertura dell'edificio. Di fronte all’azione legale il sindaco cittadino, Greg Fischer, aveva riaperto al culto mantenendo le distanze e all’aperto.
Altre chiese negli Stati Uniti hanno subito discriminazioni simili. In California tre di queste hanno denunciato il governatore Gavin Newsom per aver imposto la chiusura, mentre con la fase due del lockdown, e il persistere della misura, circa 1200 pastori californiani hanno dichiarato che riprenderanno comunque i servizi viste le riaperture di molte altre attività.
Anche in Minnessota, dove il governatore, Tim Walz, non ha revocato l’ordine di esercizio del culto per un massimo di 10 persone, i vescovi cattolici, insieme alle chiese luterane, hanno annunciato che il 26 maggio riprenderanno in ogni caso le funzioni. In una lettera inviata ai fedeli scrivono di aver informato il governatore che «in assenza di una data o di altre garanzie sul fatto che le chiese potranno riaprire presto, dobbiamo procedere con l’esercizio della nostra attività religiosa».
Ma a ribellarsi sono stati anche 300 leader religiosi che una decina di giorni fa hanno firmato una lettera inviata al presidente Trump, in cui spiegano i propri timori per la persecuzione in atto e per quella che la fede potrebbe subire date le infinite norme di sicurezza: «Siamo preoccupati che alcune persone, e i loro avvocati, prendano certe linee guida nazionali per accusare le organizzazioni religiose… perché non hanno seguito una singola raccomandazione sepolta fra una una serie di protocolli».
Le cause e i tentativi di tenere chiusi i luoghi di culto cristiani, insieme alle norme che prevedono sanzioni per i sacerdoti o pastori dei luoghi di culto in cui avvengano dei contagi, hanno quindi portato Trump a sottolineare, durante la conferenza stampa di lunedì scorso, che «ho visto una grande disparità di trattamenti nel nostro paese… vorrei capire come mai si scagliano contro le chiese cristiane, ma non contro le moschee ad esempio. Con ciò non voglio che (le autorità, ndr) si scaglino contro le moschee, ma voglio capire quale sia la loro inclinazione… i nostri politici sembrano trattare le varie fedi in modo molto diverso. E sembrano pensare - e non so cosa sia successo nel nostro Paese, ma la fede cristiana è trattata in modo molto diverso rispetto ad un tempo». Poi riferendosi agli ultimi episodi di cronaca ha concluso: «Penso che (la fede cristiana) sia stata trattata in modo molto ingiusto».
Due giorni dopo queste parole, il capo della sezione dei diritti civili del Dipartimento di giustizia, Eric S. Dreiband, ha inviato una lettera al governatore della California spiegando che con l’apertura delle attività lavorative costringere le chiese a rimanere chiuse è discriminatorio e che «non vi è alcuna eccezione pandemica alla Costituzione degli Stati Uniti e alla sua Carta dei diritti».
Al di là o meno della vittoria politica di questa “resistenza”, resta la fede di tanti cristiani che, mentre alcuni si lasciano portare via come se nulla fosse la libertà più cara, quella religiosa, preferiscono la persecuzione alla resa. Mostrando appunto la luce da seguire, necessaria a sopportare le tenebre.