La censura, se silenzia Trump, è "resistenza"
Donald Trump accusa Google. Sul motore di ricerca più usato al mondo, sostiene il presidente Usa, il 96% dei risultati su “Trump news” proviene da media di sinistra. Accuse infondate? Non troppo. Da anni, associazioni come Media Matters, d'accordo con Google e Facebook, lottano contro le fake news... censurando solo una parte. “Internet e i social media, come Google e Facebook, non ospiteranno più fake news"
Donald Trump accusa Google. Sul motore di ricerca più usato al mondo, sostiene il presidente Usa, il 96% dei risultati su “Trump news” proviene da media di sinistra. “Una situazione molto pericolosa perché mostra solo i punti di vista e le notizie dei Fake News Media. La fake Cnn è importante. I media repubblicani conservatori e i media corretti sono esclusi – ha denunciato Trump in un tweet – Google e altri stanno sopprimendo le voci dei conservatori e nascondendo informazioni e notizie che sono buone. Stanno controllando quello che possiamo e non possiamo vedere. Questa è una situazione molto grave e sarà affrontata!”.
La denuncia parrebbe un’assurdità, perché Google è un motore di ricerca, i criteri di ricerca sono definiti da algoritmi (dunque da formule matematiche) ed è difficile pensare a una cospirazione sul Web. Difficile, ma non impossibile: l’accusa del presidente parrebbe infondata, ma c’è qualcuno che realmente, sta lavorando assiduamente per cambiare il panorama del Web, a quanto pare con il pieno consenso e appoggio di Google e Facebook.
Troviamo un piano di questo genere in un documento “confidenziale”, che però è stato ottenuto e pubblicato da Washington Free Beacon nel gennaio del 2017, poco prima dell’insediamento del nuovo presidente repubblicano. Il documento, rivolto a un pubblico di donatori, è del giornalista David Brock, ex reporter conservatore poi convertito alla causa progressista e fondatore di Media Matters, un’associazione non profit che monitora la propaganda conservatrice e repubblicana, denunciando fake news e… non solo. L’associazione, con un budget di 13 milioni di dollari e finanziatori molto ricchi, fra cui l’immancabile George Soros (direttamente o tramite sue associazioni, sempre nella galassia progressista), è diventata una piccola potenza, la risposta progressista al conservatore Media Research Center. Il documento, che si intitola “Democracy Matter” è già un classico nella letteratura politica americana ed espone un piano di quattro anni per ribaltare i risultati alle prossime elezioni presidenziali nel 2020. Tutti fanno propaganda politica ed una strategia di comunicazione per tornare a vincere è parte legittima del dibattito in ogni democrazia matura. Su questo nulla di strano.
Quel che preoccupa sono i toni estremamente sopra le righe con cui viene esposta questa strategia, a partire dall’introduzione: “Trump ha l’autorità legale. Ma noi abbiamo l’autorità morale e la responsabilità morale di opporci a lui”. Nei punti principali della strategia per tornare a vincere si legge che “Noi resisteremo alla normalizzazione imposta da Trump, ogni suo conflitto di interessi, ogni suo atto di consociativismo, ogni sua mossa verso l’autoritarismo, ogni suo tentativo di sovvertire il nostro ordine democratico e i suoi principi, ogni sua violazione dalle norme della politica estera e interna”… Insomma parrebbe proprio che gli Usa siano finiti sotto una dittatura e che i democratici siano i nuovi resistenti, pronti a combattere sulle montagne per difendere l’ordine democratico. Un po’ come in Italia, insomma, dove è sempre “resistenza”. E un po’ come nel Pci di Berlinguer, la sinistra si ritiene investita di una “autorità morale” superiore da contrapporre alla “autorità legale”, cioè un presidente democraticamente eletto. Stupisce anche che nella strategia sia scritto a chiare lettere: “Trump sarà sconfitto, o con un impeachment (sic!) o alle urne nel 2020”. Cioè, cacciarlo dalla Casa Bianca con le buone o con le cattive entro il 2020.
Cosa c’entra tutto questo con le accuse di Trump a Google e ai media faziosi? Nel documento David Brock spiega che la sua associazione ha elaborato metodi e tecnologie per “predire dove e attraverso quali percorsi si fa strada la disinformazione e cosa occorre per neutralizzarla”. “Con i suoi 12 anni di archivi, MM dà a questo sistema un calcio di inizio bello forte”. “I produttori e diffusori di fake news dipendono interamente da Facebook per spargere le loro menzogne e da Google per raccogliere fondi pubblicitari. Media Matters ha le conoscenze giuste per risolvere il problema. Dopo che Facebook ha risposto positivamente alla nostra campagna, riconoscendo il problema delle fake news e dicendosi d’accordo sul fare qualcosa per risolverlo, noi abbiamo avviato un dialogo. Da queste conversazioni è risultato evidente che Facebook avesse bisogno di noi per comprendere pienamente il problema e trovare una soluzione. Inoltre è risultato chiaro che noi disponevamo di informazioni e conoscenze che loro non avevano e che sono state molto utili per renderli pienamente consapevoli del problema. Ad esempio, Media Matters disponeva di una mappa dettagliata delle pagine Facebook di destra, che sono i maggiori veicoli di fake news (corsivo nostro, ndr) così come di uno schema completo della catena alimentare delle fake news e di come si muovono all’interno dell’ecosistema di Facebook”.
E Google? C’è anche qualcosa che riguarda il motore di ricerca più usato al mondo: “Similmente – si legge subito dopo la parte che riguarda Facebook – dopo che Google ha rivisto i suoi termini di servizio per vietare ai siti delle cosiddette fake news di accedere ai suoi network pubblicitari, è stata Media Matters a identificare 40 dei peggiori siti di fake news a cui applicare queste misure”.
Lo scopo è enunciato chiaramente qualche paragrafo dopo: “Internet e i social media, come Google e Facebook, non ospiteranno più, acriticamente e senza subirne le conseguenze, i siti di propaganda e di fake news. Le compagnie dei social network si impegneranno con noi per affrontare la loro promozione dell’industria delle fake news. Facebook correggerà il suo modello per fermare il flusso di dannose fake news nelle pagine della sua piattaforma. Google taglierà fuori dalle loro fonti di finanziamento pubblicitario i siti che accompagnano queste pagine”.