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Dottrina sociale
a cura di Stefano Fontana

La questione

La censura, quando è lecita e quando non lo è

È lecito e perfino doveroso limitare la libertà di espressione quando questa non rispetta i principi della morale naturale, non lo è più quando essa contraddice la versione politicamente corretta, del potere di turno. Un esempio: il caso Dawkins-Facebook.

Dottrina sociale 13_08_2024

Facebook ha oscurato il profilo del filosofo Richard Dawkins, il quale su X era intervenuto sulla questione del gender alle Olimpiadi di Parigi, sostenendo che le identità sessuate sono solo due. Questo tipo di censura è inaccettabile, ma lo è solo perché toglie la libertà di parola ad una persona? Questi casi di censura nelle piattaforme digitali pongono la questione più generale della censura in quanto tale: quando e a quali condizioni qualcuno può impedire ad un altro di esprimere la propria opinione? Ora, sulla base del solo principio della moderna libertà di opinione fatta propria dalla democrazia liberale il problema non è risolvibile.

I social sono realtà private che si danno il proprio codice di comportamento e la propria “etica” interna. Stabiliscono quali sono le parole che non possono essere postate e quali sono i temi vietati e quelli permessi. La loro “etica aziendale” è una loro costruzione artificiale e anzi spesso vietano proprio di dire la verità, come nel caso di Dawkins riportato sopra. Il fatto di essere entità private non impedisce loro di fare politica, di creare costume e di plasmare mentalità. Se giuridicamente sono private, la loro attività è comunque senz’altro pubblica, anche se non statale. La critica che si dovrebbe muovere loro, allora, consiste nel denunciare la mancanza di un fondamento oggettivo e universale della loro “etica comunicativa”, e di sostituirlo con un codice artificiale variabile a loro uso e consumo. Spesso ciò significa ad uso e consumo dei centri di potere, di cui essi stessi fanno parte. È lecito e perfino doveroso limitare la libertà di espressione quando questa non rispetta i principi della morale naturale, non lo è più quando essa contraddice la versione politicamente corretta, o quella del potere di turno, o quella più conveniente per motivi estrinseci. Senza riferimento ad un criterio naturale, il potere di censura diventa arbitrario. Per questo la democrazia liberale non riesce a incarnarlo.

Troviamo la conferma anche spostandoci al piano politico. Anche qui riscontriamo due cambiamenti: si è cessato di esercitare la censura su tematiche che in passato si riteneva che la meritassero, e si attua una nuova censura su atteggiamenti e idee che in passato invece venivano promosse e sostenute. Ciò che ieri era censurato ora non lo è più, anzi viene censurato l’opposto. La bestemmia veniva punita, il buon costume difeso, l’ostentazione della volgarità era trattenuta, quanto poteva danneggiare l’immagine pubblica della famiglia era biasimato. La naturalità dei rapporti veniva protetta dalla censura, cosa che oggi si fa nei confronti della innaturalità. Anche qui abbiamo l’esistenza di un soggetto politico (lo Stato) che si comporta in fondo come un privato, ossia sciolto da doveri di rispettare un bene comune oggettivo e universale. Non solo Facebook si rifà ad un codice proprio di natura artificiale, ma anche l’autorità politica che, infatti, alle Olimpiadi di Parigi non ha censurato nulla, anzi ha promosso il vilipendio alla religione e l’ostentata esaltazione di atteggiamenti innaturali. Anche in politica allora non ci si deve limitare a difendere la libertà di opinione, perché questa può esercitarsi bene o male, in modo giusto o ingiusto. Bisogna rifarsi ad un criterio oggettivo della moralità delle opinioni quale solo la legge morale naturale può essere.

Stefano Fontana