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L'UDIENZA DEL PAPA

La casa di Nazaret, una scuola di preghiera

«La Santa Famiglia è icona della Chiesa domestica. (...) Se non si impara a pregare in famiglia, sarà poi difficile colmare questo vuoto.

Attualità 29_12_2011
papa

All’udienza generale del 28 dicembre Benedetto XVI è tornato sul tema del Natale. Non si tratta, ha detto il Papa, d’interrompere la sua «scuola della preghiera» del mercoledì per parlare delle festività in corso, ma di continuare questa scuola riflettendo «su come la preghiera faccia parte della vita della Santa Famiglia di Nazaret. La casa di Nazaret, infatti, è una scuola di preghiera, dove si impara ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato profondo della manifestazione del Figlio di Dio, traendo esempio da Maria, Giuseppe e Gesù».


Il Pontefice ha rievocato il discorso del servo di Dio Paolo VI (1897-1978) nella sua visita a Nazaret del 5 gennaio 1964. Alla scuola della Santa Famiglia, affermava in tale occasione Papa Montini, noi «comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo». E aggiungeva: «In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh! silenzio di Nazaret, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri».


Elementi utili per la scuola della preghiera, ha proseguito il Pontefice, si ricavano pure dai racconti evangelici dell’infanzia di Gesù. Anzitutto, dall’episodio della presentazione di Gesù al tempio. Il Vangelo di Luca riferisce che Maria e Giuseppe, «quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme, per presentarlo al Signore» (2,22). Si tratta di un gesto profondamente radicato nella tradizione ebraica. «Come ogni famiglia ebrea osservante della legge, i genitori di Gesù si recano al tempio per consacrare a Dio il primogenito e per offrire il sacrificio. Mossi dalla fedeltà alle prescrizioni, partono da Betlemme e si recano a Gerusalemme con Gesù che ha appena quaranta giorni; invece di un agnello di un anno presentano l’offerta delle famiglie semplici, cioè due colombi». Così, «quello della Santa Famiglia è il pellegrinaggio della fede, dell’offerta dei doni, simbolo della preghiera, e dell’incontro con il Signore, che Maria e Giuseppe già vedono nel figlio Gesù».


Ma soprattutto «la contemplazione di Cristo ha in Maria il suo modello insuperabile. Il volto del Figlio le appartiene a titolo speciale, poiché è nel suo grembo che si è formato, prendendo da lei anche un’umana somiglianza. Alla contemplazione di Gesù nessuno si è dedicato con altrettanta assiduità di Maria». Questa speciale contemplazione si rivela «già al momento dell’Annunciazione, quando Lo concepisce per opera dello Spirito Santo; nei mesi successivi ne avverte a poco a poco la presenza, fino al giorno della nascita, quando i suoi occhi possono fissare con tenerezza materna il volto del figlio, mentre lo avvolge in fasce e lo depone nella mangiatoia».


Davvero «i ricordi di Gesù, fissati nella sua mente e nel suo cuore, hanno segnato ogni istante dell’esistenza di Maria. Ella vive con gli occhi su Cristo e fa tesoro di ogni sua parola. San Luca dice: “Da parte sua [Maria] custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2, 19), e così descrive l’atteggiamento di Maria davanti al Mistero dell’Incarnazione, atteggiamento che si prolungherà in tutta la sua esistenza: custodire le cose meditandole nel cuore». Questa citazione è particolarmente importante perché Luca è l’evangelista mariano per eccellenza, «che ci fa conoscere il cuore di Maria, la sua fede (cfr 1,45), la sua speranza e obbedienza (cfr 1,38), soprattutto la sua interiorità e preghiera (cfr 1,46-56), la sua libera adesione a Cristo (cfr 1,55). E tutto questo procede dal dono dello Spirito Santo che scende su di lei (cfr 1,35), come scenderà sugli Apostoli secondo la promessa di Cristo (cfr At 1,8)».


Dai testi di san Luca la Madonna emerge come «modello di ogni credente che conserva e confronta le parole e le azioni di Gesù, un confronto che è sempre un progredire nella conoscenza di Gesù». Seguiamo questo modello soprattutto quando recitiamo il Rosario. «Sulla scia del beato Papa Giovanni Paolo II [1920-2005] (cfr Lett. ap. Rosarium Virginis Mariae) possiamo dire che la preghiera del Rosario trae il suo modello proprio da Maria, poiché consiste nel contemplare i misteri di Cristo in unione spirituale con la Madre del Signore».


Nel Rosario entriamo veramente in contatto con la Madonna. E «la capacità di Maria di vivere dello sguardo di Dio è, per così dire, contagiosa. Il primo a farne l’esperienza è stato san Giuseppe. Il suo amore umile e sincero per la sua promessa sposa e la decisione di unire la sua vita a quella di Maria ha attirato e introdotto anche lui, che già era un “uomo giusto” (Mt 1,19), in una singolare intimità con Dio». In occasione delle festività di Natale, vale la pena di riflettere più di quanto non facciamo di solito sul ruolo di san Giuseppe. «Infatti, con Maria e poi, soprattutto, con Gesù, egli incomincia un nuovo modo di relazionarsi a Dio, di accoglierlo nella propria vita, di entrare nel suo progetto di salvezza, compiendo la sua volontà. Dopo aver seguito con fiducia l’indicazione dell’Angelo – “non temere di prendere con te Maria, tua sposa” (Mt 1,20) – egli ha preso con sé Maria e ha condiviso la sua vita con lei; ha veramente donato tutto se stesso a Maria e a Gesù, e questo l’ha condotto verso la perfezione della risposta alla vocazione ricevuta».


«Il Vangelo, come sappiamo – ci ricorda il Papa – non ha conservato alcuna parola di Giuseppe: la sua è una presenza silenziosa, ma fedele, costante, operosa. Possiamo immaginare che anche lui, come la sua sposa e in intima consonanza con lei, abbia vissuto gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza di Gesù gustando, per così dire, la sua presenza nella loro famiglia. Giuseppe ha compiuto pienamente il suo ruolo paterno, sotto ogni aspetto. Sicuramente ha educato Gesù alla preghiera, insieme con Maria. Lui, in particolare, lo avrà portato con sé alla sinagoga, nei riti del sabato, come pure a Gerusalemme, per le grandi feste del popolo d’Israele. Giuseppe, secondo la tradizione ebraica, avrà guidato la preghiera domestica sia nella quotidianità – al mattino, alla sera, ai pasti –, sia nelle principali ricorrenze religiose».


Nel Rosario scopriamo un altro episodio che vede la Santa Famiglia di Nazaret «raccolta insieme in un evento di preghiera». Afferma san Luca di Gesù: «I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa» (2,41-42). Tutti i credenti sanno che «il pellegrinaggio è un’espressione religiosa che si nutre di preghiera e, al tempo stesso, la alimenta». Qui «si tratta di quello pasquale, e l’Evangelista ci fa osservare che la famiglia di Gesù lo vive ogni anno, per partecipare ai riti nella Città santa. La famiglia ebrea, come quella cristiana, prega nell’intimità domestica, ma prega anche insieme alla comunità, riconoscendosi parte del Popolo di Dio in cammino e il pellegrinaggio esprime proprio questo essere in cammino del Popolo di Dio. La Pasqua è il centro e il culmine di tutto questo, e coinvolge la dimensione familiare e quella del culto liturgico e pubblico».


Ascoltiamo proprio in questa occasione le prime parole di Gesù riferite dai Vangeli: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo essere in ciò che è del Padre mio?» (2,49). Con queste parole Gesù, rimasto a disputare con i dottori nel Tempio mentre i genitori lo cercano angosciati, «indica chi è il vero Padre, chi è la vera casa, che Egli non fatto niente di strano, di disobbediente. È rimasto dove deve essere il Figlio, cioè presso il Padre, e ha sottolineato chi è il suo Padre». La parola «Padre» comincia qui a emergere nei Vangeli come parola decisiva. Questa parola «è la chiave al mistero di Cristo, che è il Figlio, e apre anche la chiave al mistero nostro di cristiani, che siamo figli nel Figlio». Ed è anche scuola della preghiera: «Gesù ci insegna come essere figli, proprio nell’essere col Padre nella preghiera. Il mistero cristologico, il mistero dell’esistenza cristiana è intimamente collegato, fondato sulla preghiera. Gesù insegnerà un giorno ai suoi discepoli a pregare, dicendo loro: quando pregate dite “Padre”. E, naturalmente, non ditelo solo con una parola, ditelo con la vostra esistenza, imparate sempre più a dire con la vostra esistenza: “Padre”; e così sarete veri figli nel Figlio, veri cristiani».


È anche importante «notare la risonanza che può aver avuto nei cuori di Maria e Giuseppe sentire dalla bocca di Gesù quella parola “Padre”, e rivelare, sottolineare chi è il Padre, e sentire dalla sua bocca questa parola con la consapevolezza del Figlio Unigenito, che proprio per questo ha voluto rimanere per tre giorni nel tempio, che è la “casa del Padre”». A partire da questo episodio – non secondario, tanto che è entrato fra i misteri del Rosario – «possiamo immaginare, la vita nella Santa Famiglia fu ancora più ricolma di preghiera, perché dal cuore di Gesù fanciullo – e poi adolescente e giovane – non cesserà più di diffondersi e di riflettersi nei cuori di Maria e di Giuseppe questo senso profondo della relazione con Dio Padre».


Tutti questi episodi c’insegnano la stessa cosa; che «la Santa Famiglia è icona della Chiesa domestica, chiamata a pregare insieme. La famiglia è Chiesa domestica e deve essere la prima scuola di preghiera. Nella famiglia i bambini, fin dalla più tenera età, possono imparare a percepire il senso di Dio, grazie all’insegnamento e all’esempio dei genitori: vivere in un’atmosfera segnata dalla presenza di Dio. Un’educazione autenticamente cristiana non può prescindere dall’esperienza della preghiera. Se non si impara a pregare in famiglia, sarà poi difficile riuscire a colmare questo vuoto». Il tempo di Natale sia occasione perché le famiglie riscoprano la bellezza del pregare insieme.