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POLITICA

La Boldrini rischia di far rimpiangere anche Fini

Il presidente della Camera rifiuta l'invito alla visita di un nuovo stabilimento Fiat sfoderando la più anacronistica retorica vetero-operaista. Convinzione o calcolo di partito, resta il fatto che tradisce in modo sistematico il suo ruolo istituzionale.

Editoriali 07_07_2013
Laura Boldrini

Dopo le imbarazzanti dichiarazioni su Papa e immigrati e altre discutibili e inopportune esternazioni su femminismo e diritti civili, la presidente della Camera ne combina un’altra delle sue. Da tempo non abbiamo in Italia presidenti della Camera di alto profilo e in grado di volare alto rispetto ai particolarismi e agli interessi di bottega. Forse il punto più basso è stato toccato da Gianfranco Fini, ma l’attuale presidente lo sta quasi facendo rimpiangere. Quando si ricopre la terza carica dello Stato, tanto più in nome di un finto nuovismo e di una rivendicazione di autonomia rispetto ai giochi di potere e di palazzo, bisogna garantire imparzialità e diventare punti di riferimento per l’intera nazione, non per una sola parte, peraltro ben etichettabile ideologicamente.

Prima i fatti. Nei giorni scorsi Laura Boldrini aveva ricevuto a Montecitorio una delegazione di metalmeccanici, capeggiata da Maurizio Landini, leader della Fiom, sindacato di estrema sinistra, a margine di una manifestazione che aveva peraltro paralizzato per diverse ore la capitale senza una ragione precisa, visto che i motivi dell’ennesimo sciopero non erano assolutamente chiari (rivendicazioni di cosa?). La terza carica dello Stato aveva manifestato piena solidarietà al sindacato, con una frase che non avrebbe destato meraviglia se fosse stata pronunciata da un leader di un partito della sinistra massimalista: "Ringrazio tutti i lavoratori e la Fiom per aver pensato di includere anche questo incontro alla Camera nell'iniziativa romana. E' importante che le istituzioni siano vicine al mondo del lavoro".  

Non si è fatta attendere la reazione dell’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, che ha scritto direttamente alla Boldrini: "Ho avuto modo di leggere del suo interessamento ai problemi del lavoro in fabbrica, sia pure nell'ambito di un incontro con un sindacato che in Fiat ha una rappresentativita' molto limitata e non e' sottoscrittore di alcun contratto. Apprezzando molto la Sua attenzione ai temi del lavoro, mi farebbe piacere che Lei toccasse con mano la realtà industriale che la Fiat sta ricostruendo in Italia. Desidero quindi invitarla a visitare uno dei nostri impianti più moderni, per esempio quello di Pomigliano, oppure la Maserati di Grugliasco o meglio ancora a partecipare, il prossimo 9 luglio, alla cerimonia nella quale presenteremo i nuovi investimenti per lo stabilimento in Val di Sangro".

La risposta della terza carica dello Stato sta facendo molto discutere. Trincerandosi dietro “impegni istituzionali già in agenda”, la Boldrini ha declinato l’invito, rispondendo con una missiva che ha tutto il sapore di un manifesto imbevuto della più retrograda e antistorica cultura operaista, che tanto male ha fatto e continua a fare al Paese: "Lei, Dottor Marchionne, concorderà che le vecchie ricette hanno fallito e che ne servono di nuove. Affinche’ il nostro Paese possa tornare competitivo e’ necessario percorrere la via della ricerca, della cultura e dell’innovazione, tanto dei prodotti quanto dei processi. Una via che non e’ affatto in contraddizione con il dialogo sociale e con costruttive relazioni industriali: non sara’ certo nella gara al ribasso sui diritti e sul costo del lavoro che potremo avviare la ripresa". Sembra il ventriloquo di Landini. E aggiunge: "Per ogni fabbrica che chiude e per ogni impresa che trasferisce la produzione all'estero, centinaia di famiglie precipitano nel disagio sociale e il nostro sistema economico diventa più debole nella competizione internazionale". 

A questo punto sorge il dubbio che l’ex portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati non abbia compreso che il 9 luglio ad Atessa, in provincia di Chieti, non si celebrerà il funerale di un impianto Fiat, ma il rilancio di uno stabilimento che darà lavoro a migliaia di operai, grazie a nuovi investimenti produttivi (ottocento milioni di euro, che vanno ad aggiungersi agli oltre tre miliardi che la Fiat ha investito in Italia). Evidentemente per la Boldrini gli sforzi del mondo dell’impresa non sono così meritevoli di attenzione quanto i diritti dei lavoratori. 

Ma la verità è forse un’altra. L’ennesima caduta di stile della terza carica dello Stato, che assume di frequente posizioni estremamente di parte, anziché garantire equidistanza rispetto ai problemi del Paese e alle forze in campo sulle singole questioni, si spiega con pure esigenze elettoralistiche. Il Pd, con l’ascesa (provvisoria?) di Epifani alla segreteria, sta cercando di recuperare il consenso dei sindacati, in vista di eventuali elezioni politiche anticipate. Sel, anche attraverso la Boldrini, che ha sponsorizzato la sua elezione alla Presidenza della Camera, ha bisogno di fidelizzare Fiom e gli estremisti, al fine di impedirne una deriva grillina o astensionista.  Si spiega così l’atteggiamento da “due pesi e due misure” della terza carica dello Stato, che ancora una volta tradisce la neutralità insita nel suo ruolo per esternare in maniera inopportuna punti di vista per fortuna condivisi solo da una minima parte dei cittadini italiani.

*Docente di Diritto dell’informazione all’Università Cattolica di Milano