La Bibbia illuminata dal Magistero
Il 12 aprile Papa Francesco ha ricevuto in udienza in occasione della loro annuale Plenaria i membri della Pontificia Commissione Biblica, cui ha rivolto quello che possiamo considerare il suo primo discorso rivolto a teologi e non ai fedeli in generale.
Il 12 aprile Papa Francesco ha ricevuto in udienza in occasione della loro annuale Plenaria i membri della Pontificia Commissione Biblica, cui ha rivolto quello che possiamo considerare il suo primo discorso rivolto a teologi e non ai fedeli in generale. Il discorso si è posto, in modo molto rigoroso, sulla linea degli interventi in tema biblico di Benedetto XVI, culminati nell'esortazione apostolica post-sinodale «Verbum Domini» del 2010.
Da questo testo il nuovo Pontefice ha ripreso due idee centrali: che l'esegeta cattolico deve interpretare la Bibbia privilegiando il Magistero rispetto alle sue idee soggettive, e che l'attività scientifica del teologo non può mai essere disgiunta da una seria vita spirituale.
Il tema trattato è stato quello dell'ispirazione e della verità della Bibbia: e il fatto che il discorso fosse indirizzato a teologi di professione non esclude la sua rilevanza per tutti i fedeli.
«Si tratta - ha detto il Papa - di un tema che riguarda non soltanto il singolo credente, ma la Chiesa intera, poiché la vita e la missione della Chiesa si fondano sulla Parola di Dio, la quale è anima della teologia e, insieme, ispiratrice di tutta l'esistenza cristiana».
Fedele al suo stile - che spesso parte da verità che dovrebbero essere ovvie, ma che nel clima culturale confuso di oggi non lo sono più - Papa Francesco ha anzitutto ricordato che «le Sacre Scritture sono la testimonianza in forma scritta della Parola divina, il memoriale canonico che attesta l'evento della Rivelazione».
Questa verità aiuta a liberarsi da ogni tentazione di ridurre la fede alla sola Scrittura, facendo erroneamente del cristianesimo una «religione del libro».
«La Parola di Dio, dunque, precede ed eccede la Bibbia. È per questo che la nostra fede non ha al centro soltanto un libro, ma una storia di salvezza e soprattutto una Persona, Gesù Cristo, Parola di Dio fatta carne». E «proprio perché l'orizzonte della Parola divina abbraccia e si estende oltre la Scrittura, per comprenderla adeguatamente è necessaria la costante presenza dello Spirito Santo che "guida a tutta la verità" (Gv 16,13)».
Non basta leggere la Sacra Scrittura da storici, come se fosse un libro qualunque. «Occorre collocarsi nella corrente della grande Tradizione che, sotto l'assistenza dello Spirito Santo e la guida del Magistero, ha riconosciuto gli scritti canonici come Parola rivolta da Dio al suo popolo e non ha mai cessato di meditarli e di scoprirne le inesauribili ricchezze».
Dunque la Bibbia va letta alla luce del Magistero, che ci dice dove si trova la Tradizione vivente. Papa Francesco cita il Concilio Vaticano II, che «lo ha ribadito con grande chiarezza» nella Costituzione dogmatica Dei Verbum: «Tutto quanto concerne il modo di interpretare la Scrittura è sottoposto in ultima istanza al giudizio della Chiesa, la quale adempie il divino mandato e ministero di conservare e interpretare la parola di Dio» (n. 12).
Al cuore di quel documento del Concilio, ha affermato il Pontefice, sta l'idea che «esiste un’inscindibile unità tra Sacra Scrittura e Tradizione, poiché entrambe provengono da una stessa fonte». Così afferma la «Dei Verbum»: «La sacra Tradizione e la Sacra Scrittura sono strettamente congiunte e comunicanti tra loro. Ambedue infatti, scaturendo dalla stessa divina sorgente, formano, in un certo qual modo, una cosa sola e tendono allo stesso fine. Infatti, la Sacra Scrittura è Parola di Dio in quanto è messa per iscritto sotto l'ispirazione dello Spirito Santo; invece la sacra Tradizione trasmette integralmente la Parola di Dio, affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli Apostoli, ai loro successori, affinché questi, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano. In questo modo la Chiesa attinge la sua certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Sacra Scrittura. Perciò l'una e l'altra devono essere accettate e venerate con pari sentimento di pietà e di riverenza» (n. 9).
Come deve comportarsi allora il teologo o l'esegeta fedele al Magistero? Il Papa risponde che «dev’essere attento a percepire la Parola di Dio presente nei testi biblici collocandoli all'interno della stessa fede della Chiesa. L'interpretazione delle Sacre Scritture non può essere soltanto uno sforzo scientifico individuale, ma dev’essere sempre confrontata, inserita e autenticata dalla tradizione vivente della Chiesa. Questa norma è decisiva per precisare il corretto e reciproco rapporto tra l'esegesi e il Magistero della Chiesa. I testi ispirati da Dio sono stati affidati alla Comunità dei credenti, alla Chiesa di Cristo, per alimentare la fede e guidare la vita di carità» e non ai singoli teologi e alle loro opinioni soggettive, per quanto scientificamente fondate.
«Il rispetto di questa natura profonda delle Scritture - insiste il Pontefice - condiziona la stessa validità e l’efficacia dell'ermeneutica biblica. Ciò comporta l'insufficienza di ogni interpretazione soggettiva o semplicemente limitata a un’analisi incapace di accogliere in sé quel senso globale che nel corso dei secoli ha costituito la Tradizione», che il Magistero a sua volta ci indica e ci consente d'identificare.
L'esegeta, infine, dovrà collegare la propria attività scientifica a una sua personale vita spirituale. «La Vergine Maria, modello di docilità e obbedienza alla Parola di Dio - ha augurato il Papa ai teologi e agli esegeti - vi insegni ad accogliere pienamente la ricchezza inesauribile della Sacra Scrittura non soltanto attraverso la ricerca intellettuale, ma nella preghiera e in tutta la vostra vita di credenti, soprattutto in quest’Anno della fede, affinché il vostro lavoro contribuisca a far risplendere la luce della Sacra Scrittura nel cuore dei fedeli».