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MARIO E ISIDORO

La beatificazione dei martiri della Birmania

Padre Mario Vergara missionario in Birmania e il catechista birmano Isidoro Ngei Ko Lat, saranno beatificati il prossimo 24 maggio nella Cattedrale di Aversa. Entrambi furono rapiti nel 1950 dai ribelli cariani e morirono da martiri.

Ecclesia 02_05_2014
Padre Vergara

Il pomeriggio del sabato 24 maggio 2014, nella Cattedrale di Aversa (Caserta) verranno beatificati il padre Mario Vergara e il suo catechista Isidoro Ngei Ko Lat, martirizzati all’alba del 25 maggio 1950 a Shadaw nella Birmania orientale (Myanmar). Padre Vergara è il 19° missionario del Pime morto martire e il quinto  che la Chiesa eleva alla gloria degli altari. In un tempo di gravi difficoltà per l’Istituto missionario, per la forte diminuzione delle vocazioni sacerdotali e laicali, il Signore ci concede questo nuovo Beato, anche lui testimone della tradizione di santità e di dedizione totale alla missione fino ai confini della terra, che caratterizza la storia del Pime.

La cerimonia della beatificazione sarà preceduta da un convegno storico il 15 maggio al pomeriggio a Frattamaggiore presso il cineteatro De Rosa; il 22 maggio sera veglia di preghiera a Frattaminore presso la Parrocchia di san Simeone, presieduta dal Superiore Generale del Pime, padre Ferruccio Brambillasca. Il sabato 24 maggio alle 17,30 nella Cattedrale di Aversa il card. Angelo Amato, prefetto della Congregazione dei Santi, presiederà la cerimonia della beatificazione di Mario Vergara e di Isidoro Ngei Ko Lat; il 25 maggio alle 18 Messa di ringraziamento nella basilica di San Sossio in Frattamaggiore, presieduta dal vescovo di Aversa mons. Angelo Spinillo. Infine, domenica 1 giugno nella casa del Pime a Ducenta (Caserta) si celebra il 69° congressino missionario; se qualcuno desidera ospitalità presso la comunità di Ducenta lo faccia sapere entro il 18 maggio.

Il catechista Isidoro Ngei Ko Lat è il primo birmano che è beatificato. Non sono molte le notizie riguardanti questo attivo collaboratore di padre Vergara, ma le lettere di padre Mario sono sufficienti per farci un’idea di quest’umile, ma splendida figura di apostolo laico: una vita donata, a servizio del Vangelo e dei fratelli, coronata dal martirio. Battezzato dal padre Domenico Pedrotti il 7 settembre 1918 a Taw Pon Athet dov’era nato, Isidoro appartiene a una famiglia di agricoltori, già convertita al cattolicesimo dal Beato padre Paolo Manna. Perde i genitori ancora adolescente e va a vivere con un fratellino presso una zia. Nel corso dell’Inchiesta diocesana nella Curia di Loikaw, una sua cugina, che viveva nello stesso villaggio, testimonia che sin da piccolo Isidoro frequentava i missionari e andava spesso con loro. Sorge così in lui il desiderio di diventare sacerdote ed entra nel seminario minore di Toungoo. Antichi compagni di seminario testimoniano sul suo zelo e la sua serietà. È un giovane semplice, onesto e umile. Rivela una squisita sensibilità religiosa e una spiccata attitudine allo studio.

Ma a causa della salute cagionevole - soffre di asma bronchiale - è costretto a rientrare in famiglia. Non può realizzare il suo sogno di diventare sacerdote, ma rimane in lui un grande desiderio di fare qualcosa per il Signore. Così decide di non sposarsi. Non è ancora catechista, ma è sempre pronto ad aiutare il catechista del villaggio. Nel suo villaggio di Dorokhò apre una scuola privata gratuita, in cui insegna ai bambini il birmano e l’inglese, impartisce lezioni di catechismo, musica e canzoni sacre. È in buoni rapporti con la gente e tutti gli vogliono bene.

Il primo incontro con padre Vergara, che era sempre a caccia di catechisti, avviene a Leikthò. È il 1948. Isidoro accoglie subito con gioia l’invito a svolgere il servizio di catechista a Shadaw. Rimane al fianco del missionario frattese fino al momento del martirio. Isidoro era anche interprete di padre Galastri che ancora non conosceva bene la lingua locale. La popolazione di Shadaw era composta da contadini analfabeti, la cui maggioranza era stata evangelizzata dai battisti, ostili ai cattolici. Isidoro, pur muovendosi tra mille difficoltà, collabora attivamente con padre Vergara nell’opera di elevazione culturale, sociale e religiosa di quella gente.

Già prima del 24 maggio 1950 si era registrata, in diverse circostanze, un’azione intimidatoria contro i missionari cattolici da parte di una fazione fanatica di ribelli battisti. Erano bande armate che facevano capo sul piano militare al comandante Richmond e sul piano politico-religioso al capodistretto Tiré. Anche i catechisti, agendo in stretto contatto con i missionari Vergara e Galastri, diventano bersaglio dell’intolleranza della soldataglia ribelle. È proprio a causa di uno di questi catechisti, Giacomo Còlei,  è incarcerato e si determina la vicenda che porterà al martirio di Isidoro e Vergara. Ambedue infatti, temendo per la vita di Còlei, decidono coraggiosamente di rischiare andando a incontrare il capodistretto per indurlo a liberare il prigioniero. Ma era probabilmente una trappola architettata per sopprimere gli apostoli del Vangelo. Questi, infatti, non trovano Tiré, ma devono vedersela con il comandante Richmond, in combutta con il capodistretto e partecipe dell’odio contro i missionari. Il resto della vicenda lo racconto più avanti per il martirio di padre Vergara.

I vescovi della Chiesa del Myanmar hanno definito la beatificazione del padre Vergara e del suo catechista «un grande incoraggiamento per l’intera comunità cattolica del Myanmar a vivere una fede più in conformità con il Vangelo e a testimoniarla in maniera coraggiosa ed eroica, sull’esempio del catechista Isidoro che non ha esitato a offrire la sua stessa vita per il Vangelo insieme con padre Vergara».

Padre Mario Vergara era nato a Frattamaggiore (Napoli), diocesi di Aversa, il 18 novembre 1910. Ordinato sacerdote nel Pime il 28 agosto 1934, a fine settembre parte per la Birmania, destinato alla diocesi di Toungoo. Nel 1935 gli è affidato il distretto di Citaciò sulle montagne e foreste dei Sokù, una delle tribù cariane. Attraversa tempi durissimi fra l’altro una grande carestia causata dalla moltiplicazione abnorme dei topi. Durante la II guerra mondiale, nel 1941 padre Vergara è internato, con tutti i missionari italiani, nei campi di concentramento inglesi in India. Tornerà in Birmania solo nel 1946 fortemente indebolito nel fisico e rischia la vita dopo l’asportazione di un rene.

Si offre generosamente al vescovo di Toungoo, mons. Alfredo Lanfranconi, per l’apertura di un nuovo distretto tra i Cariani rossi a est di Loikaw, verso il fiume Salween, con numerosi villaggi da evangelizzare. Privo di mezzi, osteggiato dai protestanti battisti, studia la lingua locale, si sobbarca a ogni genere di sacrifici, coprendo lunghe distanze a piedi, amando e curando tutti, cattolici, catecumeni, pagani. Dal 1948 è coadiuvato da un giovane confratello, padre Pietro Galastri, di Partina (Arezzo), che costruisce gli edifici utili alla missione: scuola, chiesa, orfanotrofio e dispensario. In seguito all’indipendenza dall’Inghilterra (1948), scoppiano disordini e la guerra civile tra i governativi e i ribelli cariani.

La guerriglia era sostenuta dai protestanti battisti, presenti tra  cariani da prima dei cattolici e avevano formato l’élite della tribù. I cariani volevano l’indipendenza dal governo di Rangoon formato dai birmani, il popolo buddista maggioritario in Birmania. Padre Vergara condanna la guerra e prende la difesa del popolo oppresso da una guerra che portava distruzioni e morti, senza alcuna possibilità di ottenere l’indipendenza e il riconoscimento internazionale. Attira l’odio dei ribelli per i soi interventi di pacificazione.

Il 24 maggio 1950 padre Vergara si reca al centro di Shadaw insieme al maestro catechista Isidoro per convincere il capodistretto Tire a liberare un altro catechista cattolico che era stato arrestato. Si trova invece di fronte il capo dei ribelli Richmond che, dopo di averlo sottoposto a un duro interrogatorio, ordina l’arresto del missionario e di Isidoro. Dopo un penoso tragitto notturno nella foresta, ambedue sono uccisi sulle rive del fiume Salween, all’alba del 25 maggio 1950, con fucilate udite dal villaggio vicino. I loro corpi, chiusi in sacchi, sono gettati nel fiume Salween e mai più ritrovati. Padre Pietro Galastri, catturato mentre pregava con gli orfanelli nella cappella della missione, dopo un giorno di sequestro è anche lui ucciso dai ribelli e gettato nel grande fiume. Anche padre Galastri, non meno generoso ed eroico del confratello, merita di essere essere beatificato.