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La banda larga a macchia di leopardo, un freno allo sviluppo

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Le aziende telematiche investono sui centri urbani, mentre la connessione arranca in troppe aree del Paese. Inutile parlare di servizi online finché la "democrazia della Rete" resta un miraggio.

Attualità 26_09_2024
STARLINK - IMAGOECONOMICA

Nell’ambito tecnologico il 2024 sarà certamente ricordato per l’esplosione del dibattito pubblico sull’Intelligenza Artificiale (AI). È comprensibile, visto che nel dicembre scorso le istituzioni dell’Unione europea hanno trovato l’accordo sul testo del nuovo regolamento sull’AI, che è stato approvato definitivamente a luglio.
Si tratta di un insieme di regole che dovrebbero assicurare un equilibrio tra la tutela dei diritti degli utenti e le sacrosante ragioni di business delle imprese. Tra il dire e il fare, però, c’è di mezzo il mare.

Come per tutte le altre trasformazioni tecnologiche, anche per l’AI si pone un tema di connessioni, che in molte aree del Paese sono ancora scarse e non consentono quella che si chiama democratizzazione della Rete, cioè accesso universale alla dimensione digitale da parte di tutti gli individui, a prescindere dalla loro localizzazione geografica.
I fondi del Pnrr, che in larga parte sono stati destinati anche al potenziamento delle infrastrutture di Rete, non vengono ancora spesi per queste finalità, al punto che la situazione delle connessioni in alcuni territori italiani è perfino peggiorata. E allora che senso ha parlare di banda larga e ultralarga, di connessioni veloci, di erogazione omogenea di servizi online se poi mancano le autostrade lungo le quali far viaggiare i dati e le informazioni?

Ci sono alcune ridenti località montane nelle vicinanze dei grandi capoluoghi con velocità in download di appena 1,5 Mbps e 0,50 in upload, sia col 4g che col 5g. Si invoca l’espansione della telemedicina, tanto per citare una delle applicazioni più preziose dell’innovazione tecnologica, ma ci sono alcuni cittadini che risiedono in comuni con connessioni scadenti e che non riescono a ricevere neppure una ricetta medica via mail.
Per non parlare delle videocall, delle riunioni online che offrono l’opportunità di ottimizzare i tempi e di non recarsi fisicamente in posti lontani perdendo intere giornate di viaggio. Peccato che una parte importante di popolazione italiana residente in zone svantaggiate sul piano delle connessioni non riesca a collegarsi e a partecipare. Le celle si saturano in fretta e non reggono il peso di un traffico di dati sempre più elevato. In più i cavi sono obsoleti e dunque le infrastrutture molto spesso sono inadeguate.

Esiste un’enorme disparità di trattamento tra grossi centri urbani e località nelle quali le aziende di telecomunicazioni non hanno convenienza a investire. C’è poi la favoletta dei treni che consentirebbero di lavorare tranquillamente con il wi-fi, ma perfino sul frecciarossa Milano-Roma la linea telefonica è ballerina e non consente conversazioni professionali affidabili.
Si comprendono le ragioni dei grandi operatori, che realizzano economie di scala solo nei grandi centri urbani e non possono permettersi investimenti in infrastrutture di Rete in realtà che non garantiscono adeguata remunerazione. Ma proprio per questo ci vorrebbe un’operazione verità da parte del Governo, che anziché costituire comitati, sottocomitati, commissioni, gruppi di lavoro e task force di presunti esperti, dovrebbe incentivare adeguatamente le imprese tecnologiche a investire perché solo così si potrà raggiungere un adeguato livello di digitalizzazione di tutto il Paese, per consentire a fasce di popolazione disagiate di accedere comodamente ai servizi online.

Quando si ha a che fare con i servizi essenziali per i cittadini la logica del ritorno economico, pur comprensibile nel mondo imprenditoriale, non può diventare l’unica bussola orientatrice e deve miscelarsi con le politiche pubbliche inclusive, solidali e volte a garantire l’uguaglianza sostanziale nell’accesso ai servizi.
Fa rabbia sentire gli operatori di Rete parlare di copertura del servizio pari al 95% del territorio quando in alcune periferie non si riesce neppure a terminare una telefonata. Altro che smart working o videocall.
Ormai le connessioni sono un bene primario come l’elettricità, il gas, l’acqua ma la politica continua a non rendersene conto.

Di recente è arrivato il definitivo via libera, da parte del Consiglio UE, al “Gigabit Infrastructure Act” (GIA), ovvero la legge europea sulla banda larga che si propone di accelerare lo sviluppo di reti ad alta capacità e velocità, nonché di ridurre i prezzi per i consumatori. Ma prima che questa normativa produca effetti rigeneranti nel nostro Paese ce ne vorrà. Intanto i lavori per cablare in fibra alcune zone del nostro Paese continuano a subire ritardi fortemente penalizzanti per lo sviluppo della società digitale. E molti cantieri non sono ancora partiti.

Inutile quindi avventurarsi in annunci roboanti come quelli fatti da tutti i governi degli ultimi anni, compreso l’attuale. Senza un cambio di rotta sul fronte delle connessioni, i servizi di Rete continueranno ad avere utenti di serie A e utenti di serie B e la democrazia della Rete resterà solo un miraggio.