Khelif-Carini: violenza in mondovisione truccata da sport
Ascolta la versione audio dell'articolo
A Parigi ieri è andato in scena un disastro annunciato. La pugile Angela Carini ha abbandonato il ring dopo una quarantina di secondi: troppo pericoloso il divario tra una donna e un uomo. Ormai questa è una piaga che si può fermare solo se le ragazze si rifiutano di gareggiare. Scandalosa cronaca della Rai.
Le premesse per un disastro (l’ennesimo, di queste sciagurate olimpiadi), c’erano tutte. Parliamo dell’incontro tra Imane Khelif e Angela Carini.
Il/la pugile (o pugila?) algerino che si dichiara femmina ha dalla sua «le carte» (i livelli di testosterone ammessi dal CIO per combattere contro delle ragazze), l’opinione pubblica, i media. Del resto, fa parte o no di una minoranza discriminata? Ha diritto o no a tutte le agevolazioni possibili per risarcirlo/a? Siamo nel 2024 o nel buio medioevo? Vogliamo o no lasciarci alle spalle questi vecchi costrutti sociali come solidità ossea, velocità, testosterone… tutte cose che la scienza ha dimostrato assolutamente irrilevanti?
E poi, il messaggio coraggioso, bellissimo, strappalacrime di Angela Carini (una ragazza di 25 anni) su Instagram: «Mio padre mi ha sempre detto di battermi con onore, con lealtà e soprattutto di affidarmi sempre a Dio. Sono cresciuta così, l’ultima volta che salii sul ring olimpico mio padre era in fin di vita. Oggi ripercorro quel cammino, oggi sono qui, ma lui è con me e io non ho paura di nulla. Sono qui per me stessa, sono qui per mio padre e mi batterò come un guerriero fino alla fine come mi ha insegnato lui». Soltanto i soliti omofobi, i soliti politici strumentalizzatori possono chiedere che l’incontro sia annullato. Anche le femministe, che per tutto l’anno tengono alta l’allerta per la violenza contro le donne, tacciono.
Questa violenza, in mondovisione e truccata da sport, va bene. Quindi, l’incontro si deve fare. Sicura la sconfitta, probabile il massacro, con una giovane e bella ragazza che rischia, se non la vita, danni permanenti. Eh, ma i diritti…
L’incontro c’è stato ed è durato pochi secondi. Carini, dopo aver ricevuto alcuni colpi, è andata all’angolo per farsi sistemare il caschetto. Il motivo è tecnicamente strano; ma chiaro, osservando lo sguardo che la ragazza ha rivolto al suo allenatore Emanuele Renzini. Ecco, se avete occasione, fate caso all’espressione della nostra pugile. Comunque, è tornata al centro del ring; per poco. Poi ha fatto ritorno all’angolo e ha detto qualcosa all’angolo. Incontro (grazie a Dio) finito.
I commentatori - gli stessi che al suono del gong hanno ridacchiato «si scateni l’inferno» - hanno chiosato: «questo è molto… molto probabilmente… non so. Penso la soluzione migliore sia andarglielo a chiedere». Già, chissà cosa è successo. «Sembra più un abbandono contestato». Intanto le telecamere inquadravano la ragazza che insisteva: «Fa malissimo!». Continuano i due: «Di tutti i finali, questo è l’ultimo che ci potevamo aspettare». Avanti: «Ma non riesco a capire, questa è una cosa abbastanza… sembra essere una presa di posizione, di contestazione, che non comprendo, non comprendo. [La ragazza] sta facendo polemica con Renzini, non so cosa si stiano dicendo ma non è una bella figura, no. Assolutamente, assolutamente». La ragazza, davanti a tutti, scoppia in lacrime. E i due: «Adesso il pianto sembra ancora più strano. No, io mi dissocio. Andiamo avanti. Andiamo avanti senza poter argomentare ovviamente quello che è accaduto...». Nessuna empatia, per la ragazza: solo riprovazione e indignazione.
Sul sito RaiPlay leggo il commento: «Dopo pochi minuti dall'inizio del match fra Angela Carini e Imane Khelif, accade l'inatteso: l'azzurra si ferma. Si capiranno più tardi le motivazioni della scelta».
Cosa possiamo trarre da questo brutto episodio? Angela Carini ha fatto bene a presentarsi sul ring, ha mostrato coraggio? Spiace dirlo, ma no. Questo non lo chiamerei coraggio, ma temerarietà. Non avrebbe dovuto presentarsi, così come non dovrebbero farlo le altre ragazze che dovranno affrontare Khelif. Capisco gli anni di preparazione, sudore, dolore che Angela Carini ha dovuto sopportare; capisco anche la soddisfazione postuma per il padre che l’ha seguita con apprensione nel cammino verso Parigi; ma no. L’unico modo per fermare questa piaga di atleti biologicamente uomini che monopolizzano gli sport (anche di combattimento) femminili può finire solo se le ragazze si rifiutano di gareggiare. Del resto, lo spirito sportivo prevede che ci si affronti «ad armi pari».
Quello che mi ha stupito è stato Emanuele Renzini, l’allenatore. Gli è stata affidata una ragazza di 25 anni orfana di padre: non si è nemmeno posto il problema di tutelarla? Non ha pensato di assumersi la responsabilità di annullare l’incontro, preservando Angela Carini da questo episodio che le resterà addosso tutta la vita?
Bene, direi che dalla cloaca della modernità, almeno per oggi, è tutto. E può solo peggiorare. Bisognerà rassegnarsi: con il crollo del muro di Berlino non è finito solo il mondo sovietico. È finito anche il mondo greco-romano-cristiano nel quale siamo cresciuti e che non ci rassegniamo a considerare morto. Non possiamo fermarlo, certamente. Quello che possiamo fare, come diceva Solženicyn negli anni Settanta, è rifiutarci di partecipare personalmente alla menzogna e all’ipocrisia. Non in mio nome.
Trans contro donna, fermate quell'incontro di boxe
Oggi la pugile italiana Angela Carini dovrà salire sul ring contro Imane Khelif, presunto transgender, squalificato ai mondiali ma ammesso alle Olimpiadi: non è solo un problema di equa competizione, si mette a rischio la vita delle atlete.
Trans e sport, il Cio non segue la scienza
Il Comitato olimpico internazionale ha annunciato nuove linee guida per la partecipazione degli atleti transgender alle competizioni femminili. Uno schiaffo alla realtà, una ennesima violenza e discriminazione contro le donne. Liberalizzata senza alcun vincolo la partecipazione di maschi nelle competizioni femminili.
Trans nell’atletica, i nati maschi restano più forti
Una ricerca pubblicata sul British Journal of Sports Medicine e condotta su 75 soggetti transgender, dei quali 29 uomini «diventati» donne, ha trovato che anche dopo un anno dal trattamento ormonale volto a ridurre il testosterone i maschi continuano a conservare in media un consistente vantaggio competitivo nello sport. Ulteriore segno che la natura non cambia con l'ideologia.