Kate Moss, Baricco e la bellezza
Si può considerare lo scrittore e saggista Alessandro Baricco un narcisista e un istrione, ma è certo che quando lancia un tema cominciano a dibatterne tutti i grandi giornali e migliaia di persone, perfino dal barbiere.
Si può considerare lo scrittore e saggista Alessandro Baricco un narcisista e un istrione, ma è certo che quando lancia un tema cominciano a dibatterne tutti i grandi giornali e migliaia di persone, perfino dal barbiere. Così poco tempo fa - nonostante la crisi economica, le elezioni e la guerra in Mali - tutti hanno cominciato a parlare dell'affollatissima lezione romana di Baricco sulla modella inglese Kate Moss, che compirà quarant'anni l'anno prossimo. Da cui, in effetti, si possono ricavare indicazioni interessanti.
Il trucco di Baricco consiste nel presentare come assolutamente originale una tesi che, in realtà, tanto nuova non è. Si tratta del cosiddetto «mutamento dei paradigmi». La teoria - Baricco si dimentica di ricordarlo - origina dal filosofo della scienza Thomas Kuhn (1922-1996), che nel 1962 la espose nel suo libro «La struttura delle rivoluzioni scientifiche». La scienza, sosteneva Kuhn, è dominata da un certo «paradigma», in base al quale gli scienziati giudicano quali teorie scientifiche sono attendibili e quali non lo sono. Ma ogni tanto - molto raramente - qualche genio propone una teoria che secondo il paradigma dominante dovrebbe essere ritenuta inattendibile, ma che nello stesso tempo alla maggioranza degli scienziati sembra intuitivamente vera. A questo punto gli scienziati possono scegliere: o buttano via la teoria, o cambiano paradigma. Di solito, cambiano paradigma, e così nascono le rivoluzioni scientifiche. L'esempio di Kuhn è la teoria della relatività di Albert Einstein (1879-1955). Secondo il paradigma dominante, che era quello di Isaac Newton (1642-1727), la teoria di Einstein avrebbe dovuto essere rigettata. Ma - intuitivamente - la comunità scientifica "sapeva" che rigettare la teoria della relatività sarebbe stato un errore. Dunque, anziché mettere da parte la teoria di Einstein perché contrastava con il paradigma, mise da parte il paradigma e ne creò uno nuovo. Si passò dal paradigma newtoniano a quello einsteiniano: una tipica rivoluzione scientifica, secondo Kuhn.
Con grande sorpresa di Kuhn, nel 1968 il suo libro ispirò prima i «sessantottini» e poi il New Age. L'idea del cambiamento di paradigma fu applicata prima alla politica e poi alla religione. Si disse che idee politiche e religiose che in base ai vecchi paradigmi avrebbero dovuto essere rifiutate a molti giovani erano apparse intuitivamente come vere. E così i giovani del Sessantotto e del New Age, anziché rinunciare alle nuove idee, avevano buttato via i vecchi paradigmi e avevano iniziato a costruire uno nuovo. Kuhn si affrettò a spiegare che la sua ipotesi valeva solo per la scienza, e che le trasposizioni politico-religiose erano arbitrarie. Ma nessuno gli diede retta.
L'operazione di Baricco - in questo, effettivamente, innovativa - consiste nell'estendere la teoria del cambiamento di paradigma a tutti i campi della vita umana, compresi alcuni apparentemente frivoli.
Così ci spiega che quando nel 1968 l'atleta americano Dick Fosbury vinse la medaglia d'oro nel salto in alto alle Olimpiadi saltando all'indietro e cadendo sulla schiena, il suo stile contraddiceva assolutamente il paradigma atletico vincente. Ma i saltatori intuivano che Fosbury aveva ragione, perché saltava più in alto degli altri. Così smisero di criticare Fosbury e cambiarono il paradigma del salto in alto. Oggi quasi tutti saltano "alla Fosbury".
Quando debuttò - prosegue Baricco - la soprano Maria Callas (1923-1977) per il paradigma del bel canto dell'epoca appariva addirittura stonata. Ma ebbe talmente successo che cambiò il paradigma musicale, e nella generazione successiva tutte cercavano d'imitare la Callas.
Un passo in più, e Baricco applica la teoria del cambiamento di paradigma nientemeno che alla bellezza femminile. Fino al 1990 circa - ci dice - la bella modella o attrice doveva essere alta, formosa, preferibilmente bionda, muoversi in modo aggraziato e non avere atteggiamenti o movimenti volgari. Il tipo di questa bellezza era la modella tedesca Claudia Schiffer.
A un certo punto nelle sfilate di moda irruppe Kate Moss, che veniva da un quartiere malfamato di Londra, era relativamente bassa (1,72), bruna, meno formosa di altre modelle, fumava a catena, sniffava cocaina e si presentava in modo ostentatamente volgare. Secondo il paradigma dominante, Kate Moss avrebbe dovuto essere considerata brutta. Ma il pubblico - e, si potrebbe aggiungere, alcuni artisti che andavano per la maggiore che la ritrassero in opere poi vendute per milioni di euro, dal pittore nipote del fondatore della psicoanalisi Lucian Freud (1922- 2011) allo scultore Marc Quinn - intuirono >che Kate Moss, a suo modo, era bellissima. Piuttosto che rinunciare a questa bellezza, cambiò il paradigma della bellezza femminile. E in poche settimane le bellezze alla Claudia Schiffer si ritrovarono invecchiate e superate.
Nelle idee di Baricco ci sono molti spunti interessanti. Certamente i paradigmi cambiano, ogni tanto in modo radicale e rivoluzionario. Ed è anche vero che il canone della bellezza femminile che ogni epoca si dà non è un elemento irrilevante per comprendere la sua mentalità. Occorre però intendersi. Non tutti i cambiamenti di paradigma sono positivi. È quello che cercava di spiegare Kuhn: i mutamenti di paradigma nella scienza normalmente hanno assicurato un progresso. Ma non è affatto garantito che cambiare i paradigmi in campi come la politica, la religione o l'arte garantisca un progresso. Potrebbe darsi che, anziché andare avanti, si vada indietro, a meno di adottare un'ideologia del progresso che non ha nulla di «scientifico» o di ragionevole.
Se un cambiamento di paradigma sia positivo o negativo è qualcosa che va valutato caso per caso. Il paradigma Fosbury aiuta gli atleti a saltare più in alto. Può darsi che la Callas abbia aggiunto al canto sonorità nuove.
Ma i cambiamenti di paradigma in campo artistico - almeno per chi crede, com Benedetto XVI, che esista una bellezza oggettiva - spesso hanno portato a una paradossale esaltazione del brutto e del volgare. Si può riconoscere che la bellezza femminile, in quanto non deriva solo dal corpo ma anche dall'acconciatura, dai movimenti, dai vestiti sia a suo modo un'opera d'arte. L'idea risale al pittore e poeta preraffaellita Dante Gabriel Rossetti (1828- 1882), il quale causò a sua volta un cambiamento del paradigma prevalente in materia imponendo il modello di Jane Morris (1839-1914), una donna che forse la generazione precedente avrebbe considerato non particolarmente avvenente e che in seguito fu esaltata come una delle più grandi bellezze della storia.
Ma, se questo è vero, vale anche qui l'insegnamento del Papa secondo cui la bellezza è oggettiva: tollera certo variazioni infinite, ma deve sempre ispirare al vero e al buono e non si può semplicemente rovesciare il tavolo chiamando il brutto bello e viceversa. Da questo punto di vista la rivoluzione di Kate Moss di cui parla Baricco - che forse inizia ben prima di Kate Moss, intorno al fatidico 1968 - è parte di quella «rivoluzione antropologica» di cui parla Benedetto XVI e su cui il giudizio non può che essere negativo.
Una «bellezza» triste, malata, impastata di droghe, volgare non può essere vera bellezza, così come l'arte che la ritrae - tipico il fin troppo famoso ritratto di Kate Moss di Lucian Freud - è un'arte della provocazione e del brutto, che anziché avvicinarci alla vera bellezza ce ne allontana. L'unica consolazione è che oggi si avverte una certa reazione a questi modelli post-sessantottini.
Se non alla Venere di Sandro Botticelli (1445-1510), un modello di bellezza fondato sulla grazia e la proporzione che ha resistito nei secoli, torniamo almeno a Jane Morris: bellezza tutta moderna, misteriosa e con una vena di tristezza, ma almeno elegante e tutt'altro che volgare.