Jihad in Russia. Va in crisi il modello multi-etnico
Un autobus viene fatto esplodere a Volgograd da una terrorista suicida venuta dal musulmano Daghestan. La strage avviene in un periodo già molto teso fra i russi e i cittadini e immigrati islamici. Rischia di saltare tutto il (fragile) modello di Mosca.
Un autobus carico di studenti esplode all’improvviso. Sei ragazzi perdono la vita, altri 40 passeggeri sono feriti. Una scena che purtroppo era diventata un’abitudine nelle città israeliane, il 21 ottobre scorso viene replicata in Russia, a Volgograd. Una terrorista suicida era lì, in mezzo ai passeggeri. Stando ai testimoni sopravvissuti, pareva presa dal panico, si faceva largo fra uomini e ragazzi accalcati, perché, diceva lei, non riusciva a scendere alla sua fermata. Finché non ha rivelato le sue vere intenzioni, facendo esplodere la sua cintura esplosiva da mezzo chilo di Tnt, imbottita di chiodi e pezzi di metallo, per uccidere e dilaniare più gente possibile. Stessi metodi del terrorismo islamico, anche se l’obiettivo non è a Gerusalemme o Tel Aviv, ma nella città sul Volga, resa celebre (quando si chiamava Stalingrado, nel 1942) dalla storica vittoria contro i tedeschi.
L’Fsb, il servizio segreto russo, ha identificato la carnefice in Naida Asiyalova, russa musulmana del Daghestan, regione ribelle del Caucaso settentrionale, moglie di un uomo ricercato dalla polizia per attività terroristiche. Secondo gli investigatori, potrebbe anche essere stato lui a prepararle la cintura esplosiva, per l’ultimo suo viaggio verso la “guerra santa”.
Questo attentato ha terrorizzato i russi oltre ogni limite, perché avviene lontano dalle zone di guerriglia del Caucaso settentrionale, dove continua lo stillicidio di omicidi e imboscate al ritmo di uno ogni due settimane. Nella Russia propriamente detta, invece, erano anni che non si vedeva un atto di terrore così sanguinoso. Un bruttissimo presagio per le Olimpiadi 2014 di Sochi, che inizieranno a breve, proprio vicino all’occhio del ciclone caucasico. La prima reazione popolare all’attentato è consistita in un assalto alla moschea di Volgograd, frequentata dalla minoranza musulmana locale. Due bombe molotov sono state scagliate contro l’edificio, il 21 ottobre notte. Pochi danni, nessuna vittima, ma intanto il segnale è stato lanciato. Ma è tutto l’impianto multi-etnico e multi-religioso della grande Federazione Russa che sta mostrando la corda, in questo tragico mese di ottobre.
Il 10 ottobre, a Mosca, nel quartiere di Birijuljovo, un uomo russo, Igor Shcherbakov, è stato pugnalato e ucciso da un cittadino caucasico. L’assassino è stato poi identificato dalla polizia, dopo cinque giorni di indagini: è un immigrato azero. Nel frattempo, però, il 13 ottobre, a indagini ancora in corso, residenti russi del quartiere moscovita hanno lanciato un violento pogrom contro tutti gli immigrati e i musulmani, distruggendo negozi, auto e picchiando chi capitava. Fra il 14 e il 16 ottobre, una serie di manifestazioni violente contro la popolazione asiatica, caucasica e musulmana sono avvenute anche in altre città e in particolare a San Pietroburgo, dove la polizia ha arrestato un nazionalista Nikolai Bondarik. Contemporaneamente, però, le forze dell’ordine hanno anche lanciato una campagna a tappeto di controlli su tutti i negozi gestiti da caucasici, soprattutto nella capitale.
Nonostante le due guerre cecene e le decine di migliaia di morti (5000 soldati, 16mila miliziani e 50mila civili, solo nella Seconda Guerra Cecena fra il 1999 e il 2010), cresce la voglia di separazione. Questa volta non è tanto il Caucaso settentrionale islamico (Daghestan, Inguscezia e Cecenia) che vuol secedere dalla Russia, ma quest’ultima che vuole disfarsi, una volta per tutte, delle regioni ribelli e poi chiudere le frontiere. L’oppositore di Putin, Alexei Navalnij, ha lanciato negli anni scorsi la campagna “Basta nutrire il Caucaso”, per sospendere la pioggia di aiuti alle autorità locali. Dopo questi scontri religiosi e l’attentato di Volgograd, Navalnij ribadisce la sua volontà di istituire un rigido regime di visti per gli immigrati dal Caucaso e dall’Asia Centrale. Lo scrittore e autore di bestseller russi Mikhail Veller, a Radio Eco Mosca, dice chiaramente che Caucaso e Russia devono essere separati, perché sono troppo diversi per tradizione, religione e mentalità. Il suo è un parere sempre più diffuso.
Uno studio demografico effettuato dal governo finlandese nel 2009, prevede che, con il trend attuale, i musulmani diventeranno maggioranza della Russia entro il 2050. Già per il 2020 è possibile che più del 50% dei coscritti nell’esercito di leva sarà costituito da islamici. La voglia dei russi cristiani ortodossi di separarsi dalle regioni musulmane nasce soprattutto dal timore di diventare minoranza nella propria terra, la stessa ragione che spinge gli ebrei israeliani a caldeggiare per la soluzione dei “due popoli in due Stati” nel Medio Oriente. Il problema, però, è che il terrorismo jihadista non conosce confini, né fisici né religiosi. Uccide musulmani, più ancora che cristiani. E colpisce anche in quei Paesi, come gli Stati Uniti, dove le percentuali di popolazione islamica sono minime.