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GAMBIA

Jammeh accetta l'esilio. E si porta via il tesoro

Il Gambia volta pagina. La lunga prova di forza che per oltre un mese ha fatto temere il peggio è finita. Yaya Jammeh, il presidente sconfitto alle elezioni del 1° dicembre 2016, ha lasciato il paese, dopo una forte pressione militare esercitata dai paesi dell'Ecowas. Ma prima di andare in esilio, ha pensato bene di portarsi dietro il suo tesoro.

Esteri 24_01_2017
Forze dell'Ecowas al confine del Gambia

Il Gambia volta pagina. La lunga prova di forza che per oltre un mese ha fatto temere il peggio è finita. Yahya Jammeh, il presidente sconfitto alle elezioni del 1° dicembre 2016, ha lasciato il paese. Il 20 gennaio, nelle stesse ore in cui Donald Trump giurava a Washington, Adama Barrow, neo eletto presidente del Gambia, prestava giuramento a sua volta, ma non nella capitale del suo paese, Banjul, bensì nell’ambasciata del Gambia a Dakar, in Senegal, dove si era messo al sicuro quando Jammeh aveva deciso di contestare il voto. 

In realtà Jammeh in un primo tempo aveva accettato l’esito del voto, dicendosi disposto a rispettare le regole democratiche e a cedere il potere conquistato 22 anni prima con un colpo di stato incruento. Poi però ci aveva ripensato, non senza qualche ragione visto che un primo parziale riconteggio dei voti aveva notevolmente ridimensionato il vantaggio su di lui di Barrow, l’avversario risultato vincente. Dalla sua parte Jammeh aveva i vertici militari e sembrava fosse riuscito a prendere tempo presentando un ricorso presso la Corte suprema, atteso non prima di maggio. Nel frattempo avrebbe conservato la carica, si era detto, e ne avrebbe approfittato per cercare il modo di restare al potere. Ma il suo piano è fallito. Subito si sono schierati contro di lui i paesi membri dell’Ecowas, l’organismo regionale che comprende 15 stati dell’Africa occidentale ed è dotato di una sua forza militare.

Dapprima i capi di stato dei paesi membri hanno concordato un intervento di mediazione. Poi, visti fallire i tentativi di ridurre Jammeh alla ragione, uno dopo l’altro hanno annunciato di essere disposti a intervenire militarmente e, per dimostrarlo, hanno incominciato a schierare truppe e mezzi militari alle frontiere del Gambia, pronti all’azione. Altri stati africani hanno preso le distanze da Jammeh con il passare dei giorni, l’Unione Africana ha diffuso una ferma condanna del suo comportamento e infine, il 20 gennaio, c’è stata la cerimonia di insediamento di Barrow, approvata e presenziata da capi di stato e di governo africani, svoltasi poche ore dopo la scadenza dell’ultimatum imposto dall’Ecowas a Jammeh: lasciare spontaneamente la carica o esservi costretto da un intervento militare sostenuto dalle Nazioni Unite. L’aspetto rilevante dell’intera vicenda è che a prendere l’iniziativa e a risolvere una situazione, che poteva degenerare in guerra civile, disordini e stragi, sono stati dei governi  e degli organismi africani. Le ex potenze coloniali, l’Unione Europea e le Nazioni Unite non sono intervenute direttamente, come invece è successo in occasione di altre crisi politiche, anche recenti: peraltro con risultati deludenti e in alcuni casi disastrosi.

La notizia della resa di Jammeh, concordata dopo un ultimo incontro con i capi di stato della Mauritania e della Guinea Conackry, è circolata il giorno stesso dell’insediamento di Barrow, rivelata alla Bbc da un consigliere del nuovo presidente. La conferma è arrivata il giorno successivo quando Jammeh ha parlato alla televisione di stato: “neanche una goccia di sangue deve essere sparsa – ha detto – ho deciso oggi di cedere il testimone della guida di questa grande nazione. La mia infinita gratitudine va a tutti i miei connazionali. Giuro davanti ad Allah e all’intero paese che tutti gli attuali problemi verranno risolti pacificamente”. 

Subito dopo Jammeh ha lasciato il Gambia, forse per sempre, abbandonando i suoi sostenitori – politici e militari – alla mercé del nuovo presidente e alle prese con le conseguenze sempre difficili della perdita di privilegi e peggio ancora, adesso che una nuova squadra di governo assume il controllo dell’apparato statale. Lui, Jammeh, i preparativi nell’eventualità di doversene andare li aveva fatti: pazienza perdere il potere, ma che l’esilio sia dorato. Due Rolls-Royce, una Bentley e altri beni di lusso hanno lasciato il Gambia nel fine settimana, a bordo di un aereo cargo diretto in Guinea Equatoriale; altre dieci macchine stanno aspettando all’aeroporto di essere imbarcate insieme al resto dei beni. In Guinea Equatoriale Jammeh ha consistenti interessi economici e può contare sulla protezione del presidente Teodoro Obiang Nguema, oltre al fatto che il paese non aderisce alla Corte penale internazionale e questo lo mette al sicuro anche da un mandato di cattura internazionale nel caso fosse chiamato a rispondere dei crimini commessi mentre era al potere. Con l’accordo che lo ha convinto a cedere la carica, Ecowas, Unione Africana e Nazioni Unite si sono impegnate formalmente a proteggere i suoi diritti in quanto cittadino, leader di partito ed ex capo di stato. Inoltre gli è stato assicurato che i suoi beni non gli verranno confiscati purché acquisiti legalmente. 

Una notizia in attesa di conferma, a questo proposito, è che prima di partire Jammeh pare abbia prelevato dalle casse dello stato più di 11 milioni di dollari, gli ultimi rimasti. I funzionari della Banca Centrale e del ministero delle finanze sostengono infatti che le casse dello stato sono praticamente vuote.