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STATISTICHE

Italia, paese di ricchi ma poveri di speranza

Le statistiche di Bankitalia e Istat ci danno l'immagine di un paese economicamente messo bene.

Attualità 27_12_2010
povertà
Ma gli italiani sono ricchi o poveri? E le disuguaglianze stanno crescendo con i ricchi che diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri? Due domande quasi rituali di fronte ai numeri e alla analisi sulla ricchezza che periodicamente vengono realizzate e diffuse dagli istituti di ricerca. L'ultimo caso è quello dello studio della Banca d'Italia pubblicato nei giorni scorsi, uno studio ampio e complesso che ha attirato l'attenzione soprattutto per un dato: il 10% delle famiglie possiede il 45% della ricchezza complessiva mentre dalla parte opposta il 45% delle famiglie deve accontentarsi del 10% della ricchezza.

Se ci si ferma a questi elementi tuttavia non si può certo dare un giudizio realistico e tanto meno si può giudicare il Paese come dominato dalle disuguaglianze. In ogni società aperta e dinamica il reddito non si può distribuire in modo uniforme e vi deve essere la possibilità di migliorare la propria posizione economica e quindi di distinguersi attraverso il merito, la competenza, la professionalità. Spetta alla politica insieme alla solidarietà sociale attuare una redistribuzione capace di compensare le disuguaglianze.

Vi sono peraltro molti elementi che emergono dallo studio di Via Nazionale: le famiglie italiane sono, per esempio, tra le più ricche del mondo grazie agli investimenti compiuti nel settore immobiliare. La ricchezza netta procapite è stimata in 138mila euro, pari a 7,64 volte il reddito disponibile, un livello superiore a quello di Gran Bretagna, Francia, Canada e Stati Uniti. In effetti l'80% delle famiglie italiane possiede la casa in cui vive e questo nonostante il fatto che il livello di indebitamento sia nettamente inferiore a quello degli altri paesi.

Queste statistiche tuttavia dicono poco sul livello della povertà in Italia per il quale bisogna guardare ad altre statistiche. Il numero dei poveri infatti viene stimato annualmente dall'Istat con una rilevazione che viene diffusa nel mese di luglio.

Dall'ultima analisi sono emersi due elementi: una sostanziale stabilità nel numero dei poveri negli ultimi anni e una riconferma delle profonde differenze territoriali con una povertà concentrata soprattutto nel Mezzogiorno.

L'Istat tiene conto di due diversi indici di povertà: quello sulla povertà relativa, calcolato sulla base di una soglia al di sotto del 50% del reddito medio e quindi riferita anche al contesto in cui si vive; e quello sulla povertà assoluta, deve sono collocate le famiglie i cui redditi reali non permettono l'acquisto di beni e servizi capace di far conseguire uno standard di vita minimamente accettabile. In pratica il primo indice risente delle variazioni del reddito complessivo mentre il secondo fa riferimento ai bisogni essenziali della singola famiglia.

Nell'ultima analisi, diffusa nel luglio scorso, è risultato così che nel 2009 l'indice di povertà relativa si collocava a quota 10,8% (e non è certo un livello basso), mentre quello della povertà assoluta al 4,7% senza particolari variazioni tuttavia nei confronti dell'anno precedente. Con il Mezzogiorno che ha confermato i già livelli elevati di povertà (22,7% per la relativa, 7,7% per l'assoluta).

Ma anche queste statistiche, pur se fortemente significative, vanno prese con cautela. Nel Sud per esempio è più forte l'incidenza del lavoro nero e del sommerso, e quindi di redditi che sfuggono alla rilevazione statistica. Allo stesso modo non si possono dimenticare i forti effetti dei legami familiari, per esempio il fatto che spesso i figli vivono nella casa acquistata dai genitori (e magari ancora a loro intestata).

Il giudizio di fondo sulla società italiana non può che essere allora quello di una società
sostanzialmente ricca, con un patrimonio delle famiglie in media più alto di quello degli altri maggiori paesi, con una forte propensione al risparmio, con una modesta incidenza degli investimenti finanziari. La povertà comunque esiste, richiede adeguate politiche di assistenza, ma è sostanzialmente stabile e non è tale da creare fenomeni diffusi di allarme sociale. La forte crisi economica e le politiche del Governo non sembrano peraltro avere inciso, né in positivo, né in negativo, sul livello complessivo di povertà.

Resta il fatto, ritornando alla domanda iniziale, che può essere fuorviante generalizzare: i dati quantitativi sono solo un'immagine della realtà sociale che è per sua natura multiforme e complessa. Più che le limitate disuguaglianze attuali dovrebbero preoccupare le mancanza di stimoli, di speranza, di coraggio per affrontare il futuro. Ma queste dimensioni non si misurano certo con le cifre delle statistiche.