Italia fanalino di coda nel supporto alla famiglia
La Fondazione Novae Terrae e il Centro studi familgiari della Cattolica di Milano hanno elaborato un indicatore per dire come viene supportata la famiglia in 46 paesi del mondo. E il nostro Paese è al 39esimo posto. Servirebbe una politica fiscale equa ma bisogna potenziare anche le reti sociali. E le Unioni civili peggiorano la situazione.
Un indicatore per dire come viene supportata la famiglia in 46 paesi del mondo, oggi che la cultura dominante vuole eliminarne la specificità. A spiegare i risultati dell'analisi da cui è emerso l'Indice Globale Indipendente sulla Famiglia (Igif), fortemente voluto dalla Fondazione Novae Terrae in collaborazione con il Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell'Università Cattolica di Milano, sono Giovanna Rossi, Direttore del Centro e professore ordinario di Sociologia della Famiglia presso l'ateneo milanese e Maria Letizia Bosoni, ricercatrice presso la facoltà di Scienze della Formazione.
Come e perché è nata la ricerca?
L'idea di costruire un indice nasce dal desiderio di capire se e come viene supportata la famiglia nel mondo. Appena abbiamo iniziato il lavoro ci è stato subito chiaro un nodo cruciale: occorre definire la famiglia, dato che oggi si tende a eliminarne la specificità rispetto alle altre forme relazionali. Infatti, quando oggi si parla di famiglia, si usa – il più delle volte – il plurale “famiglie”: un linguaggio che rivela che non c’è più identità di vedute circa le caratteristiche peculiari di un vincolo “familiare”. Questo progetto ha quindi un duplice scopo: analizzare a livello internazionale le caratteristiche della famiglia per cogliere se la rilevanza delle relazioni familiari stia effettivamente cambiando, e verificare quanto la famiglia sia supportata da risorse adeguate. L’Indice Globale Indipendente sulla Famiglia (IGIF) intende offrire una misura di quanto la famiglia, non una famiglia generica, ma basata sul matrimonio tra i coniugi e la presenza di figli, sia effettivamente supportata nel mondo.
Cosa ha da dire questo studio al relativismo culturale che considera famiglia ogni aggregazione sociale che si ritenga tale?
La tesi di fondo che guida l’elaborazione di questo indice è che la famiglia, nonostante i mutamenti in atto, non perda la sua unicità, rimanendo un'istituzione fondamentale con una identità specifica. Non si deve indicare la famiglia come un aggregato di persone che vivono insieme o condividono una casa, bensì un legame tra i generi - maschile e femminile - nella coppia, e tra le generazioni, che condividendo un destino comune è proiettato vero il futuro . Questo comporta il riconoscimento di obbligazioni e responsabilità reciproche tra i membri, non semplicemente inferiti dal criterio della coabitazione.
Su che dati avete lavorato?
Siamo partiti da indicatori statistici presenti nei data base internazionali, considerati come le dimensioni più rilevanti e a più elevata comparabilità. Questi indicatori si riferiscono sia alla dimensione strutturale della famiglia (ovvero come essa è costituita e da chi), sia alle risorse che supportano lo svolgimento del suo compito fondamentale, ovvero la cura, e le risorse più propriamente relazionali (vale a dire reti formali - come le associazioni di famiglie - e reti informali). Ci siamo avvalsi della collaborazione di altri partner, centri di ricerca e fondazioni per accedere a dati in alcuni paesi non presenti nei data base internazionali come Eurostat. E così siamo giunti ad un set di 19 indicatori che rispondono adeguatamente ai requisiti di comparabilità e disponibilità per 46 paesi: Australia; Austria; Belgio; Bulgaria; Canada; Cile; Croazia; Cipro; Repubblica Ceca; Danimarca; Estonia; Finlandia; Francia; Germania; Grecia; Ungheria; Islanda; Irlanda; Israele; Italia; Giappone; Corea; Lettonia; Lituania; Lussemburgo; Macedonia; Malta; Messico; Paesi Bassi; Nuova Zelanda; Norvegia; Polonia; Portogallo; Romania; Russia; Slovacchia; Slovenia; Spagna; Svezia; Svizzera; Turchia; Regno Unito; Stati Uniti; Perù; Malawi; Serbia.
Abbiamo voluto approfondire alcune aspetti rilevanti, quali la solidarietà intergenerazionale (con il contributo della dott.sa Vera Lomazzi) e sul diritto di famiglia (con il contributo del dott. Carlo Rusconi), aspetti rilevanti su cui tuttavia è difficile una comparazione a livello globale.
Quali sono gli indicatori principali?
C'è una dimensione strutturale: da chi è costituita la famiglia (genitori e numero di figli) e con quale tipo di formalizzazione del legame (matrimonio vs divorzio). Ci sono poi le risorse che supportano la famiglia nello svolgimento dei suoi compiti base: risorse economiche a disposizione del nucleo domestico come l’accesso al lavoro senza discriminazioni e le risorse disponibili nel contesto, come l’offerta di servizi di cura per l’infanzia e politiche familiari. L’ultima dimensione è quella delle risorse più propriamente sociali derivanti dalle reti.
Cosa avete scoperto?
Innanzitutto che il nostro paese occupa il 39° posto nella graduatoria con un indice di 0.49. Nei primi posti troviamo invece alcuni paesi dell’Europa del Nord, con in testa Danimarca, Nuova Zelanda, Svezia, seguiti da Israele, Germania, Svizzera. Un numero non indifferente di paesi si colloca in una posizione intermedia con punteggi dell’indice compresi tra 0,60 e 0,50. Noi siamo sotto questa soglia dello 0.50, insieme all'Irlanda, la Romania, la Serbia. Agli ultimi posti con valori attorno allo 0,35 si collocano Croazia e Macedonia. Ma la vera scoperta cui giunge questo indice è che pur in presenza di elevati livelli di risorse economiche e/o contestuali per il supporto ai compiti di cura, la dimensione strutturale in termini di presenza di figli e di stabilità del legame coniugale rimane pressoché bassa: è questo il caso della Danimarca, Nuova Zelanda, Svezia, Germania. Il vantaggio dell'indice è quello di avere indicatori disgregati, per cui possiamo vedere che, sebbene facendo la media degli indicatori la Danimarca sia al primo posto, per quanto riguarda la struttura familiare il livello è molto basso. Al contrario, ci sono paesi dove si registrano livelli bassi sia nella struttura sia nelle risorse (economiche e contestuali), ad eccezione di quelle sociali che generalmente si attestano su livelli decisamente accettabili. È il caso dell’Italia, ma anche della Grecia, del Messico, della Romania, della Serbia, della Polonia, della Slovacchia, della Croazia e della Macedonia.
Che cos'hanno da dire questi risultati alla politica?
Innanzitutto questi dati ci dicono che occorrono politiche familiari - intendendo la famiglia come un soggetto naturale e societario, non privato. Pertanto occorre investire in prima battuta su questi aspetti: Equità fiscale ed economica; politiche abitative per la famiglia; lavoro di cura familiare: servizi per la prima infanzia, congedi, tempi di cura e interventi sulla disabilità e non autosufficienza; pari opportunità e conciliazione tra famiglia e lavoro; privato sociale, terzo settore e reti associative familiari; servizi consultoriali e di informazione (consultori, mediazione familiare, centri per le famiglie); immigrazione (sostegni alle famiglie immigrate); alleanze locali per la famiglia; monitoraggio delle politiche familiari.
Ma i vostri dati dicono che le risorse economiche e i servizi sono necessari ma non sufficienti.
Questo ci spinge ad ipotizzare che il sostegno alla famiglia debba puntare su risorse “altre”, a carattere reticolare ed associativo, in grado di valorizzare le dimensioni più propriamente sociali della famiglia. Sopratutto il problema prima che politico è culturale. Ad esempio servirebbe una politica fiscale equa per la famiglia, ma se lo Stato, legalizzando le unioni civili, fa di tutta l'erba un fascio, la famiglia naturale, fondata sull'unione stabile e generativa di un uomo e una donna, sarà colpita. Al di là di tutte le politiche che si possono attuare. E questo va a discapito di tutti i cittadini perché è solo all'interno della specificità della famiglia che la società può fiorire.