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EDITORIALE

Italia depressa, non ci salverà il Senato

Indicatori economici tutti negativi, e aumentano i malati di depressione, circa 2 milioni e mezzo di italiani. Mentre il governo Renzi annuncia riforme istituzionali, come quella del Senato, sul fronte economico appare incapace di cambiare passo. E prepara la prossima, ennesima, stangata.

Editoriali 13_07_2014
Italia mangiata

Lunedì approderà in aula il testo di riforma del Senato. I frondisti del Pd e di Forza Italia preannunciano battaglia, i grillini gridano al “golpe”, considerato che i loro emendamenti sono stati ignorati, Renzi si dice sicuro del risultato finale, considerata l’ampia convergenza sulla bozza definitiva. Anche Lega e Forza Italia, oltre alle forze che sostengono il governo, voteranno a favore, al di là dei malpancisti. Ove non si raggiungesse la maggioranza qualificata, prevista dalla Costituzione, potrebbero aprirsi le strade del referendum, che il premier dice di non temere. L’eventuale consultazione popolare si svolgerebbe in primavera. Nel frattempo, i democratici vinceranno le elezioni regionali d’autunno e quelle di primavera e quindi il consenso al governo resterà blindato.

Ma al di là delle riforme (dopo il Senato toccherà all’Italicum), come sta il “paziente Italia”? Gli ultimi dati sull’economia confermano che Renzi sta mostrando una cartolina del Belpaese assolutamente distante dalla realtà. La produzione industriale è calata drasticamente, il debito pubblico aumenta (ha superato i 2.100 miliardi di euro e il 135% del Pil), il made in Italy si depaupera ogni giorno che passa (è di ieri la notizia dell’acquisizione di Indesit, storico marchio industriale marchigiano, da parte degli americani di Whirlpool), gli ottanta euro non hanno smosso di un millimetro il livello dei consumi degli italiani, i mercati danno segni di nervosismo, e, riflesso sociologico assai preoccupante, in Italia aumentano i depressi (oltre due milioni e mezzo).

Se l’economia si deprime, gli italiani si deprimono, perché non intravvedono un orizzonte di speranza. La percentuale di depressi, in forte aumento, si lega proprio alle incertezze finanziarie e occupazionali. Ci sono tantissimi cinquantenni che, espulsi dal mercato del lavoro a causa di cessioni e ristrutturazioni aziendali, non riescono a ricollocarsi e si accingono ad entrare nell’esercito dei “nuovi poveri”.

Tutto questo riporta la discussione politica al nodo cruciale: quello della crescita economica. In che modo si può far ripartire l’economia senza intaccare il patto sociale e intergenerazionale, sempre più precario? Bisogna attirare investimenti stranieri, detassare gli utili reinvestiti dalle aziende in nuovi insediamenti produttivi, smantellare l’apparato burocratico che frena ogni innovazione.

Ce la farà questo governo, che per ora sembra puntare più sull’“effetto annuncio” che non su concrete politiche di rilancio dell’economia?

Renzi sta addossando le colpe di certe inerzie della macchina economica sull’elefantiasi burocratica dei ministeri, in particolare di quello guidato da Padoan. C’è del vero nelle rimostranze del premier, perché l’inamovibilità di certi dirigenti statali è il vero tallone d’Achille della ripresa produttiva del Paese. Per paura di dover rinunciare a rendite garantite da decenni, alcuni “grand commis” remano contro ogni ipotesi di cambiamento organizzativo e impediscono ai processi decisionali di scrollarsi di dosso le ipoteche paralizzanti di certe labirintiche procedure. I ministri a volte sono impossibilitati a compiere scelte coraggiose perché sanno di non poter contare sui loro staff e collaboratori, ipersindacalizzati e legati a un vecchio e improduttivo modello di organizzazione dell’apparato statale.

Proprio per questo Renzi dovrebbe andare cauto con le promesse messianiche e i proclami riformatori. Sarà difficile invertire la rotta senza un cambio sistemico che lui da solo non potrà mai garantire. Lui e i suoi fedelissimi sembrano in questo momento chiusi in una torre d’avorio impermeabile e a volte imperscrutabile, ma chissà se avranno fiato a sufficienza per dare seguito alle promesse fatte.

Il “fattore C” ("carisma", ndr) di cui parla Berlusconi a proposito di Renzi sta consentendo a quest’ultimo di fare tanti gol a porta vuota, senza una vera opposizione e senza grandi avversari, ma quanto durerà questo stato di grazia? Se ora che tutto sembra giocare a favore del premier la ripartenza dell’economia neppure s’intravvede, cosa succederà quando le nubi inizieranno ad addensarsi sul cielo di Palazzo Chigi?

La “dittatura dello spread” ha spazzato via il governo Berlusconi, il “new deal” preannunciato dall’avvento di Monti si è rivelato una chimera, ora Renzi, grazie all’appoggio dei fondi americani e di una generale ridefinizione dei rapporti di forza in Europa, sta veleggiando senza grossi ostacoli. Gli speculatori sembrano essersi dimenticati dell’Italia, ma chissà fino a quando. Non appena torneranno ad aggredire il sistema Italia troveranno terreno fertile, se al di là delle riforme istituzionali come quella (discutibile) del Senato, non verranno concessi aiuti concreti alle imprese e al sistema produttivo, non si interverrà con incisività sui rapporti tra le aziende e il mondo del lavoro, se non si introdurranno criteri di flessibilità nella gestione dei profili contrattuali e negoziali, se non si varerà quella riforma della giustizia civile che rende poco allettante il mercato italiano per gli investitori stranieri.

Per ora Renzi e Padoan la escludono, ma a settembre appare molto probabile una manovra aggiuntiva tutta lacrime e sangue (si vocifera di un fabbisogno di 20-25 miliardi di euro entro fine anno per rispettare i parametri europei), che andrà ad aggiungersi agli aumenti (talvolta silenziosi e subdoli, ma non per questo meno onerosi) delle tassazioni sugli immobili, sui risparmi, sui redditi da lavoro autonomo, sui consumi. È così che si può immaginare di far nascere una Terza Repubblica? Consentiteci di dubitarne.