Istruzione, un bubbone che scoppia ogni anno
Un altro anno scolastico è ai nastri di partenza, ma la sensazione è che anche questa volta il mondo dell’istruzione vivrà una prolungata condizione di disagio e di incertezza. Anche il nuovo ministro Bussetti eredita i problemi del governo precedente (stavolta la Buona Scuola di Renzi) e decenni di anti-meritocrazia
Un altro anno scolastico è ai nastri di partenza, ma la sensazione è che anche questa volta il mondo dell’istruzione vivrà una prolungata condizione di disagio e di incertezza. Il 5 settembre partirà Bolzano e, progressivamente, tutte le regioni italiane. Il canovaccio è però sempre lo stesso. Ogni volta che cambia il governo c’è un nuovo ministro dell’istruzione che annuncia cambiamenti epocali e riforme mirabolanti, salvo fare marcia indietro di fronte al fuoco di sbarramento degli addetti ai lavori, insegnanti in primis.
L’attuale titolare del dicastero di viale Trastevere, Marco Bussetti, indicato dalla Lega, non ha voluto essere da meno dei suoi predecessori e ha già rilasciato numerose interviste per raccontare la scuola che verrà. Ancora una volta, quindi, la scuola si conferma lo specchio di un Paese che non sa programmare il suo futuro e che fa della discontinuità sbandierata ai quattro venti una categoria valoriale acritica e imprescindibile, cioè da declinare a qualunque costo. Non c’è mai il tempo di testare una novità che subito ne spunta un’altra per superare la precedente. In questo modo tutto appare provvisorio e diventa impossibile imputare a Tizio o a Caio i successi o i fallimenti di un qualsiasi modello organizzativo, in quanto bisognoso di andare a regime nell’arco di vari anni e non valutabile nell’immediato.
Dopo aver sacrificato per decenni ogni concetto di meritocrazia sull’altare di una omologazione perbenista e di un appiattimento verso il basso, ora il mondo della scuola si trova ripiegato su se stesso, distante dalle aspettative di docenti e alunni, e assolutamente privo di quella competitività necessaria per assicurare alle nuove generazioni un adeguato inserimento nel mondo del lavoro.
Non esiste da decenni una visione nitida e illuminata di scuola. Abbiamo sempre assistito a una sistematica successione di azioni di smontaggio e rimontaggio di pezzi di mondo dell’istruzione, in funzione delle campagne propagandistiche orchestrate dai singoli governi per imbellettare riforme spesso dannose e anacronistiche. Sono trascorsi ormai quasi vent’anni dal 1999, quando l’allora Ministro Luigi Berlinguer introdusse l’autonomia scolastica, mai attuata del tutto, e rese permanenti le graduatorie dei precari, che si sarebbero dovute smaltire, negli annunci dell’epoca, entro pochissimi anni. Venne inaugurato in quell’occasione il doppio canale di reclutamento (50% concorsi, 50% graduatorie).
Ma la riforma che fa più scena è sempre quella dell’esame di maturità, che turba il sonno degli studenti dell’ultimo anno. Bussetti ha annunciato novità entro la fine di questo mese, grazie al lavoro del personale tecnico-amministrativo del suo dicastero. Le emergenze, però, sembrano altre. La “buona scuola” di Matteo Renzi, che Bussetti ha già annunciato di voler rottamare, è diventata legge nel 2015. Avrebbe dovuto superare il precariato, ma in realtà quella si è rivelata una delle tante promesse al vento dell’era renziana. Ha introdotto la chiamata diretta degli insegnanti da parte dei presidi e ha reso obbligatoria l’alternanza scuola-lavoro. Negli ultimi due anni, però, la sua applicazione ha prodotto un valzer di 200.000 insegnanti, con inevitabili scompensi nell’attività didattica e migliaia di studenti privati dei loro docenti per mesi, addirittura, in alcuni casi, fino a Natale. Al caos insegnanti si aggiunge quest’anno il boom di reggenze, ben 1.700. Una scuola su 4 non avrà un preside, mentre il concorso per 2.425 dirigenti è appena partito.
Destinata a esplodere a breve anche la polemica sugli adempimenti per i vaccini (autocertificazione). Sempre sullo sfondo l’emergenza dell’edilizia scolastica, con edifici fatiscenti e bisognosi di profondi interventi di ristrutturazione, per i quali non sempre si rivelano reperibili risorse sufficienti. Tutti questi innumerevoli elementi di criticità concorrono a disegnare un quadro a tinte fosche per la scuola italiana, imbrigliata più che mai nelle maglie di una burocrazia opprimente, che svilisce il merito, disarma financo le volontà più tenaci e allarga il fossato tra un mondo delle professioni sempre più esigente e di respiro internazionale e un pianeta istruzione anemico e in affanno.