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DUE POPOLI DUE STATI?

Israele: voto parlamentare contro lo Stato di Palestina

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La Knesset, il parlamento israeliano, ha votato a gran maggioranza contro il progetto di Stato indipendente palestinese. La soluzione "due popoli in due Stati" pare ormai impossibile.

Esteri 20_07_2024
Netanyahu alla Knesset (La Presse)

Sessantotto voti favorevoli, nove contrari. È questo il risultato della votazione alla Knesset, il parlamento monocamerale dello Stato d'Israele, nel corso della discussione sulla nascita dello Stato della Palestina. Una maggioranza schiacciante che si è espressa in modo netto contro l’ipotesi della formazione di uno Stato autonomo palestinese. È stato un voto trasversale. Uno Stato palestinese, per i parlamentari israeliani, costituisce una minaccia esistenziale per Israele e per i suoi cittadini. La risoluzione è stata co-sponsorizzata dai partiti della coalizione del Primo Ministro Benjamin Netanyahu e dai partiti di estrema destra dell'opposizione, ricevendo il sostegno del partito centrista di Unità Nazionale di Benny Gantz. Il raggruppamento di centro-sinistra, Yesh Atid, del leader dell'opposizione Yair Lapid, ha abbandonato l'aula per evitare di sostenere la proposta, nonostante si fosse espresso a favore della soluzione "due popoli, due Stati". Gli unici ad opporsi alla risoluzione sono stati i partiti: Labor, Ra'am e Hadash-Ta'al.

«La Knesset si oppone fermamente alla creazione di uno Stato palestinese a ovest della Giordania. La creazione di uno Stato palestinese indipendente nel cuore della Terra di Israele rappresenta un pericolo esistenziale per Israele e per i suoi cittadini e perpetuerà il conflitto israelo-palestinese destabilizzando l'intera regione», si legge nella risoluzione. Un voto, dunque, che giunge a pochi giorni dalla visita ufficiale che Netanyahu effettuerà negli Stati Uniti, che prevede un colloquio, tra l'altro, con il presidente Joe Biden, sostenitore della tesi "due popoli, due Stati". Il condizionale è d'obbligo visto che il presidente degli Stati Uniti è stato contagiato dal Covid. Mercoledì prossimo, 24 luglio, invece, Netanyahu parlerà al Congresso. Nel frattempo, lo staff del primo ministro israeliano è al lavoro per organizzare un incontro o una telefonata con Trump. La votazione del parlamento israeliano avrebbe irritato ulteriormente i Democratici americani, a disagio nell'avere come amico un governo, quello israeliano, che rifiuta la soluzione "due popoli, due Stati".

Nabil Abu Rudeineh, portavoce del presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese, ha dichiarato in risposta al voto che non c'è pace o sicurezza per nessuno senza la creazione di uno Stato palestinese, con Gerusalemme Est come capitale, sottolineando che numerosi paesi membri delle Nazioni Unite lo hanno già riconosciuto. Hussein al-Sheikh, segretario generale del Comitato esecutivo dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina e uno dei principali collaboratori di Abu Mazen ha esortato i paesi che esitano a riconoscere uno Stato palestinese a farlo “immediatamente” per proteggere la soluzione dei "due popoli, due Stati" e ha invitato gli Stati arabi a «rispondere in modo appropriato» alla risoluzione approvata dalla Knesset.

“Due popoli, due Stati”, ma è ancora possibile questa soluzione del “Piano di partizione” della Palestina mandataria britannica, approvato nel 1947 dall'Onu? Esso, infatti, prevedeva la nascita di uno Stato ebraico accanto a uno arabo-palestinese, e contemplava uno statuto speciale per l'area di Gerusalemme. Dopo l'orribile strage del 7 ottobre dello scorso anno compiuta dai miliziani di Hamas contro cittadini israeliani, sia civili che militari, e dopo ben 287 giorni di guerra, tornare a parlare di questa soluzione è la più grande sconfitta che possa subire uno Stato che occupa la terra di un altro popolo. Si può, dunque, parlare di "due popoli, due Stati" quando per vendicare 1200 morti israeliani sono state uccise oltre 39mila palestinesi?

Secondo la Palestina, che ha la sua capitale a Ramallah, ed esercita poteri limitati in alcune zone della Cisgiordania occupata, 146 Stati dei 193 paesi membri delle Nazioni Unite al momento hanno riconosciuto lo Stato di Palestina (l'Italia non è fra questi). L'elenco comprende molti paesi mediorientali, africani e asiatici, ma non gli Stati Uniti, il Canada, la maggior parte dell'Europa occidentale, l'Australia, il Giappone e la Corea del Sud. Lo scorso mese di aprile gli Stati Uniti hanno usato il loro veto, al Consiglio di Sicurezza dell'Onu, per impedire la richiesta palestinese di diventare uno Stato membro a pieno titolo delle Nazioni Unite.

La risoluzione “due popoli, due Stati", con la guerra in corso è sempre più lontana e impraticabile. La fine di un conflitto che va avanti ormai da troppo tempo è più che mai auspicabile, ma non deve passare per forza dai due Stati. Quindici milioni di abitanti (Israele e Palestina) dovrebbero condividere una stretta fascia di terra, delimitata ad oriente dal deserto giordano e a sud dalla penisola del Sinai (Egitto). Il territorio palestinese è, però, costantemente minacciato dagli insediamenti dei coloni, che in pochi anni, con il consenso del governo, hanno costruito aree urbanizzate che ospitano alcune centinaia di migliaia di coloni. Forse, alla luce di quanto sta accadendo, una federazione tra Giordania e Cisgiordania da una parte con una politica estera in mano al governo federale di Amman, Gaza indipendente magari sotto la giurisdizione congiunta Giordania-Onu, potrebbe essere una delle soluzioni per riappacificare due popoli in lotta da oltre 75 anni. Il tutto ripartendo dai confini del 1967.

Nel frattempo, a Gaza la guerra non si ferma. Nella Striscia si continua a morire, mentre, per la prima volta, un drone lanciato dagli Houthi ha ucciso una persona e ferite dieci, a Tel Aviv, nelle vicinanze dell'ambasciata americana. «I vertici della sicurezza stanno lavorando per rafforzare tutti i sistemi di difesa aerea, e reagirà contro chiunque danneggi lo Stato di Israele o diriga il terrore contro di esso». Lo ha affermato il ministro della Difesa israeliano, Yoav Galant, al termine di una riunione con il capo di Stato maggiore, Herzi Halevi, dopo l'attacco del drone contro la capitale israeliana.