Israele, sipario sugli immobili contesi. Cristiani preoccupati
La Corte Suprema ha confermato il passaggio all’organizzazione radicale ebraica Ateret Cohanim di tre prestigiosi immobili, situati a Gerusalemme, un tempo di proprietà del Patriarcato greco-ortodosso. Una sentenza a cui guardano con preoccupazione i capi delle Chiese di Gerusalemme, i quali temono che si voglia indebolire la presenza cristiana nella Città Santa.
Dopo molti anni, cala il sipario sulla contesa di tre immobili tra il Patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme e l’organizzazione radicale ebraica Ateret Cohanim. Il gruppo religioso-sionista ha come scopo quello di popolare la Città Vecchia con residenti di religione ebraica, attraverso l’acquisto di case di proprietari non ebrei o con locazioni a lungo termine per le proprietà contese, tramite società di comodo.
Oggetto del contendere tre prestigiosi immobili appartenenti al Patriarcato ortodosso e situati nella Città Vecchia di Gerusalemme. Da pochissimi giorni, questi edifici sono di proprietà israeliana. A deciderlo sono stati i giudici della Corte Suprema. Non si tratta di una novità, visto e considerato che quasi sempre, esclusi rarissimi casi, i giudici del massimo organismo giudiziario confermano le sentenze pronunciate dai giudici di grado inferiore.
Hanno firmato la sentenza Daphne Barak Erez, David Mintz e Shaul Shohat che sostengono di non aver trovato “nessun errore” nel precedente verdetto emesso dal Tribunale distrettuale di Gerusalemme, che nel 2020 aveva respinto una richiesta del Patriarcato greco-ortodosso di riaprire il processo, sulla base di nuove prove che dimostravano, in modo evidente, il comportamento non corretto messo in atto da Ateret Cohanim per entrare in possesso degli immobili contesi. Si tratta degli hotel Imperial e Petra, situati nelle vicinanze della Porta di Giaffa, sicuramente uno degli accessi più importanti di Gerusalemme e porta d’ingresso del quartiere cristiano della Città Vecchia. La terza proprietà contesa, sempre situata nello stesso quartiere, è nota come Muzamiya House.
I palestinesi guardano a Gerusalemme Est, compresa nella Città Vecchia, come la capitale del loro futuro Stato e ritengono la crescente presenza ebraica come una minaccia pericolosa. Tra i cristiani della Città Santa serpeggia scoraggiamento e sfiducia, dopo che la Corte Suprema ha respinto il ricorso del Patriarcato, temendo che sia iniziata la corsa ad impossessarsi anche dei loro immobili. «Sono segnali evidenti. Tutti possono fare un’analisi obiettiva di quello che sta accadendo in Israele e, in particolare a Gerusalemme - ha detto l’avvocato del Patriarcato greco-ortodosso, Asaad Mazawi al-Khamis -. Agli ebrei non è più sufficiente cacciare dalle loro abitazioni i musulmani o allontanare i beduini dalle loro terre, ora hanno iniziato a cacciare dal cuore di Gerusalemme i cristiani. Purtroppo, un gruppo di estremisti vuole appropriarsi, usando tutti gli strumenti in loro possesso, delle proprietà delle Chiese, e vogliono cambiare la geografia della popolazione della Città Vecchia, invadendo le aree abitate dai cristiani».
A nulla sono valse le proteste, dopo la prima sentenza, da parte dei capi delle Chiese di Gerusalemme. È dunque evidente che esiste un chiaro e sistematico progetto per compromettere l’integrità della Città Santa, suddivisa storicamente in quattro quartieri (musulmano, ebraico, cristiano e armeno) e, insieme, indebolire la presenza cristiana.
Tra i cristiani, come accennato, la decisione della Corte Suprema israeliana è stata accolta con grande preoccupazione e in questo clima di apprensione non possono che stringersi attorno ai loro Patriarchi. Che il ruolo dei cristiani in Terra Santa sia indispensabile e fondamentale lo dimostra il fatto, che proprio in questi giorni, la Chiesa latina ha festeggiato a Betlemme i cinquant’anni di Effetà, l’istituto voluto da san Paolo VI dopo il suo viaggio apostolico del 1964, il primo di un papa in Terra Santa. È un’opera educativa, inaugurata nel 1971, affidata alle suore dorotee, e impegnata nell’assistenza e nella riabilitazione dei bambini sordomuti della Palestina.
Fu suor Irma Zorzanello, superiora generale della Congregazione delle Suore Maestre di Santa Dorotea Figlie dei Sacri Cuori, dette Dorotee di Vicenza, presenti in Terra Santa dal 1927, a scrivere a papa Montini, offrendo un terreno di proprietà della Congregazione con un edificio allora in costruzione, situato all’inizio dell’attuale Via Paolo VI a Betlemme. Il pontefice, accettando l’offerta, restituì, però, la proprietà alle suore chiedendo che fossero loro ad assistere i bambini non udenti. E fu così. Oggi Effetà è un’eccellenza nel campo della rieducazione audiofonica e acustica per Israele e Palestina. Attualmente accoglie circa 180 bambini e ragazzi, dalla scuola materna alle superiori, e offre a ciascuno di loro un programma educativo completo. Ai molti ragazzi, provenienti da sperduti villaggi palestinesi, grazie alla professionalità e all’umanità delle suore dorotee e del personale specializzato che collabora con loro, è oggi assicurato un futuro dignitoso nella società.