Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Francesca Saverio Cabrini a cura di Ermes Dovico
MEDIO ORIENTE

Israele si ferma per protesta. Netanyahu rinvia la riforma

Ascolta la versione audio dell'articolo

Il premier israeliano Netanyahu, convinto di portare a termine la riforma della magistratura (per introdurre un maggior controllo governativo sull'Alta Corte), licenzia il ministro della Difesa Yoav Gallant. Il Paese si paralizza per la protesta di massa. Allora Netanyahu ha fatto una parziale retromarcia: Gallant ripreso, riforma rinviata. 

Esteri 28_03_2023
Israele, la protesta a Tel Aviv

Benjamin Netanyahu prima licenzia il responsabile della Difesa, Yoav Gallant, per le critiche alla riforma della giustizia che il primo ministro voleva comunque portare avanti, nonostante la contrarietà del paese; poi convoca d'urgenza i capi dei partiti di estrema destra che lo appoggiano, infine decide di accantonare la proposta governativa che vedrebbe la magistratura dipendere completamente dalla politica. La situazione sembra essersi bloccata ieri pomeriggio dopo che Netanyahu ha avuto un lungo colloquio con esponenti della Casa Bianca comunicando che era sua intenzione fare marcia indietro anche sul licenziamento di Gallant. L’annuncio ufficiale nel tardo pomeriggio.

È questo, in sintesi, quello che è accaduto nel corso della notte, tra domenica e lunedì, in Israele a livello politico.

Ma andiamo con ordine. Yoav Gallant, dello stesso partito di Netanyahu, nel corso di un incontro privato col primo ministro, gli comunica che la riforma della giustizia che ha in mente, rappresenta una minaccia alla sicurezza dello stesso popolo israeliano. Il ministro della Difesa lo informa che i soldati appartenenti alla riserva iniziano a disertare e il malumore si sta estendendo anche tra i soldati in servizio attivo. «La crescente spaccatura nella nostra società - ha detto Gallant - sta penetrando nell'IDF, le forze di difesa israeliane, e nelle agenzie di sicurezza. Ciò rappresenta una minaccia chiara, immediata e tangibile alla sicurezza dello Stato». Anziché tenere in considerazione l'avvertimento di Gallant, Netanyahu ha usato il pugno di ferro, decidendo di licenziarlo in tronco, nella speranza di bloccare le contestazioni all'interno del governo e insieme mandare un messaggio chiaro alle proteste della piazza: lui non ha intenzione di indietreggiare in merito alla riforma giudiziaria. 

Ma così non è stato. Appena si è diffusa la notizia del licenziamento di Gallant le strade, le piazze, da Kiryat Shmona nel nord del paese a Eilat sul mar Rosso, la gente ha iniziato a manifestare contro il governo. I dimostranti, dopo aver occupato l'autostrada, si sono avviati verso la Knesset, il parlamento monocamerale di Israele, nelle cui vicinanze si trova anche l'abitazione del primo ministro. Ma questa volta, oltre a chiedere il blocco della proposta governativa si invocano anche le dimissioni di Netanyahu. «Fermare il progetto di revisione della giustizia non interromperà le proteste - ha detto Ehud Barak, ex primo ministro e uno tra i più autorevoli critici di Netanyahu -. Abbiamo superato il punto di non ritorno». Lunedì scorso il presidente Issac Herzog ha reso pubblico un invito all’esecutivo: «Faccio appello al Primo Ministro, ai membri del governo e ai membri della coalizione. L'intera nazione è assalita da una profonda preoccupazione. La nostra sicurezza, l’economia, la stessa società, tutto è minacciato». E rivolgendosi direttamente a Netanyahu ha detto: «L'intero popolo di Israele ti sta guardando. L'intero popolo ebraico ti sta guardando. Il mondo intero ti sta guardando».

Il quadro politico per Netanyahu si sta complicando, anche perché i capi dei partiti del raggruppamento di maggioranza hanno espresso chiaramente l'opinione che la riforma della giustizia deve essere portata a termine, pena altrimenti, come dichiarato dal ministro della Sicurezza Itamar Ben Gvir, il ritiro dalla coalizione. Della stessa opinione sono i ministri della Giustizia, Yariv Levin, e delle Finanze, Bezalel Smotrich.

Ieri mattina il paese si è fermato. Uno sciopero generale, proclamato dai sindacati, ha bloccato tutte le attività, università e scuole, uffici pubblici, mezzi di trasporto e aeroporto, ospedali, parchi e centri commerciali: tutti i dipendenti hanno incrociato le braccia. Alla protesta, per la prima volta, hanno partecipato anche gli amministratori delegati degli istituti di credito più importanti d’Israele: Mizrahi Tefahot, Bank Leumi, Bank Hapoalim, Discount Bank e International Bank: «Fermate questo caos, fermate la revisione della giustizia e avviate oggi stesso dei negoziati». Anche i sindaci si sono uniti alle manifestazioni di protesta. Haim Bibas, membro anziano del partito Likud, sindaco della città di Modiin e presidente della Federazione dei comuni ha dichiarato: «Chiediamo al presidente del Consiglio di fermare immediatamente la proposta di riforma e annullare il licenziamento del ministro della Difesa, con il quale abbiamo rapporti di lavoro nel campo della sicurezza delle città e del fronte interno». La Casa Bianca, attraverso il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale, Adrienne Watson, ha rimarcato di continuare a sollecitare con energia i leader israeliani a trovare un compromesso il prima possibile. «Crediamo - ha aggiunto - che sia l’unica strada percorribile per Israele e per tutti i suoi cittadini». Poco prima il Console generale israeliano a New York, Asaf Zamir, aveva rassegnato le dimissioni dal proprio incarico per incompatibilità con la linea politica del Governo.

Dal canto suo, il presidente del partito di centro-destra Israel Beitenu, Avigdor Lieberman, ha invitato i membri del Likud a sostenere l'istituzione di un nuovo governo non guidato da Netanyahu. «Nessun dittatore è in grado di resistere a una protesta pubblica così ampia e giusta che comprende tutti i settori della vita sociale della popolazione - ha scritto su Twitter -. Mi auguro che Netanyahu si dimetta da presidente del Consiglio. In caso contrario, chiedo ai miei amici del Likud, a beneficio dello Stato di Israele, di estrometterlo e formare una nuova coalizione composta da partiti sionisti, con il primo ministro proveniente dai ranghi del Likud».