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lo scontro in medio oriente

Israele anticipa l'attacco di Hezbollah, non ci sarà una tregua

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Improvviso attacco preventivo da parte dell’aviazione ebraica impedisce che i lanciamissili programmati dagli Hezbollah potessero colpire degli obiettivi a Tel Aviv. Hamas fa fallire la trattativa per una tregua di 72 ore. Nel frattempo la Cisgiordania si sta infiammando, nell’indifferenza più assoluta del governo israeliano.

Esteri 26_08_2024

È stato un risveglio di tensione, quello di ieri mattina, tra il nord di Israele e il sud del Libano. Un improvviso attacco preventivo da parte dell’aviazione ebraica ha impedito che i lanciamissili programmati dagli Hezbollah per le 5 del mattino (ora israeliana), potessero colpire degli obiettivi a Tel Aviv. Attacco che gli aerei israeliani sono riusciti a sventare. Cento veivoli con la Stella di Davide sono decollati dagli aeroporti militari con un unico obiettivo: colpire e distruggere i lanciarazzi nel sud del Libano.

Tra i bersagli dell’organizzazione terroristica sostenuta dall’Iran, c’era la sede del Ministero della Difesa a Tel Aviv e il quartier generale dell’Unità 8200, una struttura tra le più efficienti nello spionaggio di informazioni e codici cifrati nella guerra cibernetica. Nonostante l’azione preventiva dal Libano sono partiti 320 razzi verso la Galilea, la maggior parte dei quali sono stati distrutti dal sistema difensivo israeliano. Un marinaio è stato ucciso su una motovedetta della Marina israeliana dalle schegge provocate dall’abbattimento di un drone e altri due sono rimasti feriti.

Da parte sua Hezbollah ha reso noto, in un comunicato, che la rappresaglia in risposta all’assassinio del suo alto ufficiale, Fuad Shukr, avvenuto a Beirut il 30 luglio scorso, è  stata rinviata per questioni politiche, in modo particolare per non ostacolare i negoziati in corso al Cairo. «Siamo determinati a fare di tutto per difendere il nostro Paese, per riportare gli abitanti del nord in sicurezza nelle loro case e per continuare a far valere una semplice regola: se qualcuno ci fa del male, noi rispondiamo facendogli del male», ha dichiarato il premier israeliano Benyamin Netanyahu, parlando al Gabinetto di sicurezza. 

Il gruppo terroristico sostenuto dall'Iran, in una nota, ha sottolineato che le dichiarazioni israeliane di un'azione preventiva e della neutralizzazione dell'attacco della resistenza di Hezbollah sono affermazioni vuote». E il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah ha aggiunto: «L’obiettivo principale dell’operazione condotta oggi dai miliziani contro Israele era la base di Gillot dove si trova l’unità 8200».

Nonostante il clima di tensione con il Libano, il vertice in programma per ieri, domenica 25 agosto, al Cairo si è svolto ugualmente. Nella capitale egiziana sono arrivati sia il capo della Cia, William Burns, che l'inviato degli Stati Uniti in Medio Oriente, Brett McGurk, in qualità di delegati del presidente Joe Biden, per usare tutte le loro abilità diplomatiche e convincere Israele e Hamas ad accettare l'ultima proposta Usa per un cessate il fuoco. In Egitto, oltre alla delegazione israeliana, era arrivata anche una rappresentanza di Hamas, guidata dall'alto funzionario Khalil al-Hayya, che però non ha partecipato agli incontri. Gli egiziani hanno presentato ad Hamas una proposta riguardante il corridoio di Filadelfia e il valico di Rafah, nella speranza di risolvere la questione prima del vertice. Ad Israele, sempre gli egiziani, avrebbero chieso di rinunciare al controllo del valico di frontiera di Rafah durante i primi giorni di un eventuale cessate il fuoco.

Ma vani sono risultati i tentativi delle parti mediatrici. A nulla sono valse le insistenze degli americani, egiziani e qatarioti. Hamas ha bocciato la proposta in quanto diversa da quella concordata in precedenza. «Non accetteremo modifiche rispetto all'ipotesi di accordo dello scorso 2 luglio e tanto meno le nuove proposte che sconvolgerebbero l'accordo già raggiunto», ha dichiarato l'alto funzionario di Hamas, Osama Hamdan. Dunque, un nulla di fatto. I punti più ostici sarebbero le richieste avanzate da Israele riguardanti sia il corridoio Filadelfia, che il valico di Rafah.

Mentre al Cairo si discute e a Gerusalemme e Tel Aviv si protesta, nella Striscia si continua a morire. Oggi è il 325° giorno di guerra: secondo Hamas il bilancio delle vittime è salito a 40.405, mentre i feriti sono oltre 93.468.

In Israele, sabato scorso, è esplosa nuovamente la rabbia tra i cittadini e la contrarietà, ormai sempre più diffusa, ha raggiunto il massimo della delusione e della sfiducia nei confronti del governo. I familiari degli ostaggi, ancora in mano ai terroristi di Hamas, vanno allo scontro frontale con il governo, accusandolo d’incapacità nel non saper riportare a casa dei prigionieri. Oltre alle manifestazioni di piazza che si susseguono in continuazione e che stanno mettendo sotto accusa il primo ministro, un'altra clamorosa protesta si profila all'orizzonte: i familiari degli ostaggi e la maggioranza degli abitanti dei kibbuz e delle varie comunità israeliane, che vivono nelle vicinanze di Gaza, hanno annunciato che non parteciperanno alla manifestazione che sta organizzando il governo per la ricorrenza del primo anniversario del devastante attacco di Hamas.

Un duro attacco al primo ministro arriva, anche, dal leader dell'opposizione Yair Lapid: «Netanyahu deve andarsene - ha sottolineato Lapid - il primo ministro avrebbe dovuto dimettersi l'8 ottobre, perché tutti i segnali, tutte le bandiere rosse, tutti gli avvertimenti erano evidenti perché lui li vedesse. Netanyahu era stato informato dei pericoli incombenti. Ma li ha ignorati».

Nel frattempo la Cisgiordania si sta infiammando, nell’indifferenza più assoluta del governo israeliano. Basti, come esempio, raccontare quanto è accaduto a Khirbet Zanouta ad opera dei coloni. Duecentocinquanta persone, la maggior parte legate da parentela, risiedevano in quel luogo, un villaggio beduino a venti chilometri da Hebron. Da tempo questa gente viveva nella paura, nel terrore di essere attaccata dai coloni. Ma quello che temevano è accaduto. Lo scorso mese di ottobre, dopo quel tragico e ingiustificato attacco di Hamas, gli abitanti di Khirbet Zanouta sono stati cacciati dal loro villaggio, dopo essere stati minacciati, pestati a sangue e le loro abitazioni date alle fiamme. Rasa al suolo anche l'unica scuola costruita con i fondi dell'Unione Europea.

A Tel Aviv, i vertici del governo e dell'esercito, hanno mantenuto i fatti sotto silenzio. Come se nulla fosse accaduto. Solo la Corte Suprema, dopo varie segnalazioni, tra l’altro di semplici cittadini, ha imposto all'esercito di garantire la sicurezza agli abitanti di Khirbet Zanouta. Poche ore dopo il rientro dei beduini in quello che era rimasto delle loro abitazioni, i coloni sono ritornati a minacciare i residenti: «Se resterete qui, verremo di notte e vi uccideremo». E l'esercito? I militari se n’erano già andati, impegnati in altri luoghi della Cisgiordania. Non c'è pace per i duecentocinquanta palestinesi di questa piccola comunità beduina.

Ma le incursioni, le azioni punitive e l’aggressività dei coloni, che agiscono indisturbati in tutta la Cisgiordania, iniziano a creare qualche allarme. È il caso del capo dello Shin Bet, Robert Bar che ha scritto una lettera al primo ministro Netanyahu, al ministro della Difesa, Yoav Gallant, e agli altri ministri, tranne che a Ben Gvir, responsabile della Sicurezza nazionale e leader di Otzma Yehudit, il partito dell’estrema destra ultraortodossa. «Il fenomeno dei "giovani delle colline" (così sono chiamati i coloni) è diventato da tempo un focolaio di violenza contro i palestinesi. Il danno arrecato allo Stato di Israele è indescrivibile, Israele è delegittimata, addirittura tra i nostri più grandi alleati, e attaccare il personale delle IDF che sta già lottando per tenere il passo a tutte le sue missioni e che non era destinato ad affrontare questo, è inaccettabile - si legge nella missiva scritta da Bar -. Attacchi vendicativi che stanno innescando un altro fronte di guerra, mettendo più attori nel ciclo del terrore; una china scivolosa verso il sentimento di mancanza di governo; un altro ostacolo alla creazione di alleanze locali di cui abbiamo bisogno contro l'asse sciita; e soprattutto, una macchia enorme per l'ebraismo e per tutti noi», ha concluso Bar.  

La polizia israeliana, sotto la guida dell'estremista di destra Ben Gvir, è stata ripetutamente accusata di chiudere un occhio sulle azioni dei coloni, e questo, per la maggioranza degli israeliani, è inaccettabile. Bar ha ammonito che se verrà mantenuta questa tolleranza, si arriverà a spargimenti di sangue che renderanno irriconoscibile il volto dello Stato di Israele. «Sono convinto - ha proseguito - che abbiamo bisogno di una dichiarazione esplicita che questo è sbagliato e pericoloso. Abbiamo bisogno di uno sforzo interministeriale per arginare il fenomeno. Sono convinto che questo debba essere uno degli obiettivi principali del governo prima che sia troppo tardi».

Immediata la risposta di Ben Gvir. Nel corso della riunione del Gabinetto di sicurezza, il ministro ha chiesto a Netanyahu le dimissioni di Robert Bar, responsabile, a suo dire, degli insuccessi che hanno portato al massacro di Hamas del 7 ottobre. Il ministro della Sicurezza nazionale ha anche accusato Bar di un fallimento nell'intelligence e di aver costantemente chiuso un occhio davanti al terrorismo e al nemico che ha pianificato omicidi di massa per anni.



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