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EMERGENZA

Islam, la segregazione degli occidentali a casa loro

A Napoli gli islamici pregano in piazza del Plebiscito. Intanto emergono le drammatiche storie di ordinaria violenza sulle donne che mostrano un apartheid islamico: la segregazione degli occidentali a casa loro. In nome di Allah e della sharia'h vengono violati i diritti umani. 

Editoriali 21_05_2018

A Napoli gli immigrati marcano il territorio. Venerdì, dopo aver marciato per le strade della città per chiedere “rispetto per i loro diritti, umani e civili”, hanno deciso di occupare piazza Plebiscito per pregare. Si sono levati le scarpe e dando le spalle alla chiesa di san Francesco di Paola, hanno manifestato la loro presenza nella città di Napoli, e in Italia, per celebrare il primo venerdì di Ramadan. E hanno pensato bene di farlo nella piazza che è tra i luoghi storici per eccellenza della capitale del Regno delle Due Sicilie. Rinomata in tutto il mondo, meta di turismo di una delle città simbolo della cristianità, oggi anche teatro di preghiere islamiche. 

Ma è un po' tutta l'Italia testimone ferita e inerte di "tempi che cambiano", come piace dire a quelli che piacciono. E lo è soprattutto nel fine settimana appena trascorso che ci ha lasciato piccoli segnali d'allarme.

A Padova, nel comune di Fontaniva, per esempio, accade che nel decennio della cultura del dialogo, dei ponti di comprensione e di amore, una donna sia vittima di violenza feroce per essersi rifiutata di convivere con la seconda moglie di lui. Lui è Mohamed Abla, cinquantacinquenne islamico d'Algeria, residente in Italia, e massacra di botte lei, la prima moglie che non vuole firmare quel contratto che la costringerebbe ad accettare il secondo matrimonio del coniuge e tutta la serie di imposizioni dell'islam. 

La donna, riportata con la forza e la complicità della famiglia in Algeria, costretta a vivere in un garage, veniva picchiata fino a ricoveri in ospedale per questa ribellione. Mohamed doveva pur avere tutto il diritto di risposarsi ancora e ancora, e di tenerle tutte sotto lo stesso tetto. E' per questo che non poteva accettare tanta sfacciataggine nel sottrarsi, e quindi poteva anche capitare che urinasse addosso alla ribelle. 

"Mohamed Abla era molto bravo a picchiarla in posti nascosti dagli abiti, in modo che la gente non vedesse", ha sostenuto il pubblico ministero in tribunale in questi giorni nel chiedere la condanna a due anni di reclusione. 

Quasi contemporaneamente alla sentenza arriva la notizia di Farah, una diciottenne che vive a Verona e va al liceo. Quest'anno si è innamorata di un giovane italiano e nelle scorse settimane ha scoperto di essere incinta. Incinta di un italiano. E' allora che i genitori l'hanno portata in Pakistan e costretta ad abortire. Inammissibile che la ragazza dal ventre puro - il Pakistan è il "paese dei puri" - desse alla luce un bambino figlio di un "infedele". 

Sono state le sue compagne di classe a denunciare la macabra storia di un multiculturalismo che non cerca integrazione. Farah, come Sana, è la figlia di una segregazione culturale fatta di sangue, botte, omicidi d'onore, matrimoni forzati, d'islam, di sottomissione. 

Di chi è il corpo delle donne islamiche? Verrebbe da chiedere a qualche femminista che nel rispondere, però, dovrebbe piegarsi ad una strana contraddizione in termini. 

Del resto non si è mai vista una marcia per le donne vittime degli stupri di massa musulmani. Chi ha lanciato un hashtag per la signora di quarantaquattro anni che nei giorni scorsi ha vissuto la sua notte d'inferno a Roma? "Tranquilla siamo Bangladesh, siamo bravi noi", le hanno detto dei loschi individui, a bordo di una Panda messa male, per cercare di farla salire a bordo, "con le buone", sotto un cavalcavia dell' autostrada del Sole. 

Il rifiuto ovvio della donna, e poi in un amen, un calcio ed era dentro l'auto con un coltello alla gola. "Quella bestia mi mordeva le labbra, il volto, le braccia, dietro le spalle, sulle gambe, sembrava un leone famelico, puzzava di birra; io vomitavo, ma a lui non importava, bestemmiava, mi diceva: Vomita pure, tanto t'ammazzo. Mi metteva in mano un telefono per illuminare la scena, con un altro filmava lo stupro, lo metto su Facebook, rideva e io vomitavo ancora", ha raccontato alla stampa. Erano in quattro, tre la tenevano ferma mentre l'ultimo era la belva feroce sulla preda. 

"Sai quante ne abbiamo ammazzate", le hanno detto quando ha provato a ribellarsi una volta fatta scendere dall'auto a Guidonia. "Gli stranieri" come piace definirli così, genericamente, alle agenzie, l'hanno seviziata e poi abbandonata nel buio. Ma almeno le hanno lasciato il cellulare.

Le storie drammatiche di questo fine settimana italiano sono le storie che quotidianamente si inseguono sulla stampa internazionale, e che adesso si stanno imponendo sempre di più nei nostri quartieri. Oggi, l'Italia sta imparando a conoscere sempre più da vicino l'islam grazie all'immigrazione incontrollata. 

E l'islam ci sta insegnando che il multiculturalismo esiste, nel senso che sta nascendo, ed è la cronaca a dircelo, un apartheid islamico: la segregazione degli occidentali a casa loro. 

In nome di Allah e della sharia'h vengono violati i diritti umani. E le accuse di razzismo che è costretto a subire chi osa denunciare, non sono che una manifestazione isterica rispetto alla realtà.