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EDITORIALE

Isis, il terrorismo corre sul Web

I terroristi che hanno colpito a Parigi si sono coordinati grazie a Internet, usando comuni programmi di messaggistica che fanno proprio della crittografia il loro punto di forza. Il Web è poi diventato il principale campo di battaglia per la propaganda dell'Isis. Invece di demonizzare la rete, si devono scrivere nuove regole per una nuova guerra.

Editoriali 23_11_2015
Un Internet café di Atmeh dominato dalle bandiere jihadiste

Il 13 novembre come l’11 settembre? Le affinità tra gli attentati di Parigi e gli attacchi alle Torri Gemelle, di 14 anni fa, sono oggetto di animati dibattiti tra opinionisti, addetti ai lavori, politologi internazionali, esperti di intelligence. Oggi, come allora, il mondo si sente minacciato. Oggi, più di allora, l’informazione, soprattutto quella che viaggia in Rete, sta giocando un ruolo rilevante.

E’ stato appurato che la distruzione delle Torri Gemelle fu ideata da terroristi che non si conoscevano neppure tra di loro ma che condividevano informazioni, piani d’azione, strategie di attacco attraverso Internet. Si scambiavano dettagli, punti di vista, si confrontavano, usavano in Rete linguaggi in codice e così facendo potevano agire indisturbati, sfuggendo ai controlli dell’intelligence.

Ciò che è accaduto a Parigi non sembra sfuggire a tale impostazione, anzi. I terroristi islamici hanno usato internet per organizzare gli attacchi al cuore della capitale francese, si sono parlati su Skype, con linguaggi cifrati, hanno fatto ricorso ad app sofisticate che garantiscono l’autodistruzione dei messaggi, e perfino alla playstation. D’altronde, le applicazioni di messaggistica istantanea fanno ormai della crittografia il loro punto di forza, nel senso che rendono quasi impossibile l’intrusione di utenti pericolosi e l’accesso ai dati veicolati attraverso di esse.

Altro aspetto dell’internettizzazione degli attentati di Parigi riguarda i risvolti propagandistici. Siti e social network sono stati i luoghi dei proclami, delle minacce, delle rivendicazioni, delle testimonianze, dei video dimostrativi e terrificanti. I tweet di propaganda dei membri e dei fiancheggiatori dello Stato islamico, poi cancellati perché incitavano all’odio, hanno comunque fatto il giro del mondo in tempo reale e seminato panico e sgomento.La Rete è servita quindi ai terroristi per amplificare la portata globale della loro strategia e per allarmare l’intero pianeta.

Ma anche i giornalisti hanno redatto i primi report dei tragici fatti francesi attraverso la Rete. Le ricostruzioni giornalistiche dell’ultima settimana sono sempre accessibili in internet e consentono a chiunque di rivivere il clima di terrore che serpeggia in Europa dal 13 novembre in poi.

Tutto questo deve fare riflettere sulle potenzialità e le insidie della Rete, che da una parte rappresenta un formidabile e impareggiabile strumento di democrazia partecipativa ma, dall’altra, rischia di diventare un’arma diabolica nelle mani di chi vuole distruggere l’occidente.

La vera sfida che il mondo civilizzato ha di fronte a sé non può però essere quella di chiedere ulteriori sacrifici alle libertà individuali in Rete in nome di una emergenza permanente, di un allarmismo avvolgente, di una psicosi dilagante. Se l’intelligence francese non è stata in grado di interpretare gli innumerevoli segnali di un attacco imminente, che pure si registravano da tempo, non è certamente colpa della Rete. Gli errori di sottovalutazione commessi da chi dovrebbe essere preposto a garantire la sicurezza non possono scaricarsi sulla qualità della vita delle persone, compromettendola. E’ importante, semmai, investire di più in cybersicurezza, come già stanno facendo alcuni Stati europei, primo fra tutti l’Inghilterra, che ha stanziato nei giorni scorsi una somma ingente per le start up che sviluppano soluzioni e strumenti per ridurre al minimo i rischi della Rete e il suo utilizzo per finalità criminali e terroristiche. 

I servizi segreti britannici hanno quindi deciso di moltiplicare gli sforzi nel campo della cyberintelligence per contrastare l'accresciuta minaccia da parte dello Stato islamico di attacchi alle infrastrutture sensibili come i sistemi informativi degli ospedali, le reti elettriche e i sistemi di controllo del traffico aereo. La Gran Bretagna aumenterà del 15% gli staff dei servizi di intelligence. La spesa pubblica nazionale destinata alla cybersecurity raddoppierà, entro il 2020, raggiungendo quota 1,9 miliardi di sterline.

La scelta del governo inglese segna una svolta: le minacce cyber vengono considerate alla stregua di quelle della armi da fuoco, degli esplosivi e delle armi bianche. Lo scopo è quello di impedire che il web, già usato dagli estremisti islamici per la propaganda e la pianificazione degli attacchi, possa diventare il braccio armato per il compimento degli attacchi stessi.

E allora, anziché la demonizzazione di Internet, non sarebbe il caso di attivare un tavolo di concertazione europea che metta al primo posto una strategia di cybersecurity unitaria e condivisa e provi a sconfiggere i terroristi sul terreno della tecnologia, oltre che su quello militare?