Isis circondato a Sirte, ma in Libia si aprono nuovi fronti
L’intera Libia sta tornando ad esplodere in mille conflitti locali e scontri tra interessi tribali e confronti tra laici e islamici. L’apertura di nuovi fronti bellici ha spinto nei giorni scorsi l’inviato Onu per la Libia, Martin Kobler, a lanciare un nuovo appello all’unità per combattere le milizie dell’Isis e il terrorismo.
A Sirte le milizie dell’Isis resistono combattendo metro per metro e casa per casa contro le forze di Misurata fedeli al governo di salvezza nazionale di Fayez al-Sarraj ma l’intera Libia sta tornando ad esplodere in mille conflitti locali e scontri tra interessi tribali e confronti tra laici e islamici.
"Non è una guerra normale perché l'Isis usa i kamikaze e i cecchini che combattono fino alla morte", afferma il miliziano Baha al-Mahrog al portale Libya Herald, rimasto ferito il 16 giugno in un attacco suicida. Dal lancio dell'operazione “Bunyan Marsous”, l’offensiva contro l’Isis a Sirte, - scrive Libya Herald - i morti sono 170, mentre i feriti oltre 700 tra le fila delle forze di Misurata. "Quelli che stanno peggio hanno ferite alla testa, altri hanno subito amputazioni", rivela Said al Mihishi, medico e combattente.
Ma le strutture sanitarie di Misurata sono al collasso. "Abbiamo una carenza di anestetici e antibiotici - afferma il medico Mohamed al Ajnaf - e ci servono infermieri". Drammatiche anche le condizioni all'ospedale da campo a 13 chilometri a ovest di Sirte. "Abbiamo 12 medici, ma la maggior parte di loro sono studenti. Abbiamo perso un sacco di materiale quando l'Isis ci ha bombardato il 12 giugno", spiega il medico Mustafa Shkorfo. Un consigliere della Municipalità di Tripoli, Ahmed Wali, ha chiesto all’Italia di prendersi carico di almeno 15-20 feriti gravissimi nella battaglia di Sirte. “E’ importante. Abbiamo bisogno di aiuti immediati e spero che il vostro Paese possa aiutarci in queste ore”. L’Aeronautica Militare italiana ha già evacuato in più occasioni feriti in combattimento dalla Libia per curarli nel nostro Paese.
Abdullah Sliman, miliziano lui ferito spiga che "i nostri combattenti ora hanno più paura perché l'Isis non mollerà fino alla morte”. La resistenza dei jihadisti si è rivelata quindi molto più coriacea del previsto. La tattica è quella già vista in Iraq a Tikrit e Fallujah: far penetrare il nemico in città e poi colpirlo con imboscate, autobomba, trappole esplosive. L’aeronautica di Misurata ha chiesto ai civili di lasciare la città di Sirte in vista di pesanti bombardamenti aerei contro i quartieri dove sono asserragliati gli uomini dello Stato islamico. Secondo fonti del governo di al-Sarraj le milizie di Misurata proseguono i bombardamenti con l’artiglieria pesante contro le zone in mano allo Stato islamico, colpendo in modo preciso i magazzini di munizioni e le sedi del gruppo grazie alle informazioni fornite dall’intelligence, probabilmente droni e personale anglo-americano che affiancano da tempo le milizie di Misurata.
A preoccupare la comunità internazionale non è solo la ferrea resistenza posta dai veterani dello Stato Islamico ma l’esplodere di nuovi focolai di guerra tra le diverse milizie libiche. Quelle di Misurata hanno sofferto solo ieri 60 morti tra i caduti di Sirte e quelli nell’esplosione di un deposito di munizioni a Qaraboulli, 60 chilometri da Tripoli, in scontri con milizie locali ancora da chiarire. A Bengasi prosegue anche l'offensiva dei militari legati al governo laico di Tobruk e guidati dal generale Khalifa Haftar. Progressi vengono segnalati nell'area a ovest della città con la conquista del campo Al Dusham, della strada di Al-Hadira Al-Gomroukeya e dei siti strategici di Kanfouda. Lo ha reso noto il responsabile dell'ufficio stampa del comando generale delle forze armate, Khalifa El-Ebeidy, aggiungendo che le forze terrestri sono supportate dall'aviazione per colpire l'Isis.
I raid dei Mig di Tobruk avrebbero colpito anche una base delle Guardie Petrolifere (Pdf) di Ibrahin Jadran, un tempo allato di Tobruk ma oggi schierato con il governo di al-Sarraj che a lui ha affidato le operazioni contr lo Stato Islamico sul fronte di Agedaia, a ovest di Sirte. Il raid degli aerei di Haftar, che accusa le guardie petrolifere di complicità con le Brigate di Difesa di Bengasi, è stato condannato da Tripoli. Le bombe hanno colpito la caserma al-Sham, che si trova ad ovest della città e che appartiene alle guardie petrolifere, senza provocare vittime e Haftar ha invece detto di aver colpito i “terroristi”, riferendosi alle Brigate di Difesa di Bengasi che si trovano a sud di Agedabia guidate da Ziyad Belaim e composte da miliziani qaedisti e fratelli musulmani ritiratisi da Bengasi e considerati "terroristi" anche dal governo di al-Sarraj.
L’obiettivo delle forze di Haftar sembra essere la conquista di Agedabia per consolidare il fronte che, dopo la sconfitta dello Stato Islamico a Sirte, riporterà prevedibilmente il confronto tra le forze fedeli ad al-Sarraj sostenute da Misurata, Fratelli Musulmani e Salafiti e quelle del governo laico di Tobruk. Lo scontro era già in atto e proprio nella cosiddetta “mezzaluna petrolifera” prima che l’ONU varasse il governo di al-Sarraj, quando a Tripoli governava l’esecutivo islamico di Khalifa Ghwell che non è ancora scomparso ma sostiene le Brigate di Difesa di Bengasi insieme al Gran Muftì libico Sadiq Al-Gharyan, che ha chiesto ai “rivoluzionari” di puntare su Bengasi per “combattere Haftar e i suoi soldati”, colpevoli di aver “riportato nel Paese il regime di Gheddafi e i suoi simboli”.
Intervenendo al programma tv “L’islam e la vita” sull’emittente satellitare al Tanathuj, al Gharyan ha invitato “i rivoluzionari di puntare su Bengasi, dopo la battaglia di Sirte, non per attaccare la popolazione, ma gli aggressori, per combattere Haftar e i suoi soldati”. A Tobruk il presidente della Camera dei rappresentanti libica, Aguila Saleh, ha annunciato domenica scorsa lo stato di emergenza da Ben Giauad a Tobruk, dichiarando "zona militare" tutta la fascia costiera della Cirenaica. La decisione sembra preannunciare un battaglia con le milizie islamiche e le guardie petrolifere di Jadran, il cui fratello, Salam, è peraltro il sindaco di Agrdabia ed è considerato molto vicino ad al Barghuthi, ministro della Difesa del governo di al Sarraj a Tripoli.
Di fatto il conflitto in Libia sta nuovamente parcellizzandosi e gli interessi perseguiti dalle diverse milizie sono quelli tribali, i clan o addirittura di famiglia. Paradossalmente una sc o fitta dell’Isis farebbe venire meno l’unico debole collante che tiene insieme almeno alcune milizie Una situazione che rischia di complicare il già difficile compito del governo di unità nazionale di Fayez al-Sarraj, sostenuto dalla comunità internazionale ma in difficoltà negli ultimi giorni anche per le proteste della popolazione per mancanza di elettricità e acqua in diverse parti del Paese, tra cui Tripoli e Bengasi. Insediatisi dopo aver promesso denaro e opere pubbliche a tutti, al-Sarraj è ora chiamato a mantenere almeno parte delle promesse, impresa ardua perché da un lato non dispone di un suo esercito nazionale né ha il controllo del territorio.
L’apertura di nuovi fronti bellici ha spinto nei giorni scorsi l’inviato Onu per la Libia, Martin Kobler, a lanciare un nuovo appello all’unità: “E’ fondamentale avere un comando unificato delle forze armate sotto la guida suprema guida del Consiglio presidenziale del governo libico di unità. Solo una Libia unita e ben equipaggiata può combattere milizie e terrorismo”. Chiacchiere a parte il rischio di fallimento del governo voluto dall’Onu è sotto gli occhi di tutti, forse anche di Turchia e Qatar, gli sponsor principali di al-Sarraj da cui Roma si attendeva invano lo stop ai flussi di immigrati illegali diretti in Italia.