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PRESTO IN PARLAMENTO

Irlanda, un altro passo verso l'aborto libero

La Citizens’ Assembly vota per chiedere al Parlamento di modificare l'VIII emendamento che tutela la vita ai nascituri. E lo fa spingendosi sempre oltre: nessuna restrizione sulle condizioni per legittimarlo (giustificate ben 13 situazioni) nè sull'età gestazionale. Sullo sfondo l'ipotesi di un referendum nel 2018. 

Vita e bioetica 01_05_2017
In attesa che si pronunci il Parlamento, l’Irlanda, da più di 30 anni ai primissimi posti al mondo per salute materna, compie un altro passo verso l’omologazione al pensiero dominante in Occidente, che spaccia per libertà e progresso la possibilità di uccidere i bambini in grembo. La Citizens’ Assembly, l’organo consultivo composto da 99 cittadini scelti secondo criteri di rappresentatività da una società di sondaggi e presieduto dal giudice della Corte Suprema Mary Laffoy, ha votato a larga maggioranza (87%) chiedendo di modificare l’Ottavo Emendamento della Costituzione, che dalla sua introduzione nel 1983 garantisce sia la tutela del diritto alla vita dei nascituri che della madre.
 
In un secondo scrutinio è stata respinta la proposta estrema di abolire del tutto la norma costituzionale, mentre in un terzo il 55% dei votanti ha chiesto che l’Ottavo Emendamento venga cambiato in modo da autorizzare il parlamento a legiferare sull’"interruzione di gravidanza" (in ossequio alla neolingua, il quesito evitava il termine aborto) e sui diritti per le gestanti e i non nati.
 
Che l’intenzione sia svuotare quella che è oggi una necessaria protezione giuridica per il diritto alla vita del nascituro, risulta ancora più chiaro dagli esiti di un quarto scrutinio, in cui la maggioranza dell’Assembly ha espresso il suo consenso per ben tredici situazioni legittimanti l’aborto, dal rischio per la salute fisica e mentale della donna allo stupro, dalle anomalie fetali alle condizioni socioeconomiche. Anzi, con il tredicesimo e più radicale di questi quesiti, complessivamente il 60% ha votato perché non vi sia nessuna restrizione alle ragioni che consentono di accedere all’aborto legale.
 
In particolare, ognuno di questi tredici quesiti era articolato in modo da poter esprimere un parere distinto in base all’epoca gestazionale (“fino a dodici settimane”, “fino a ventidue settimane”, “senza restrizioni relative all’età gestazionale”), a dimostrazione dell’inganno di fondo che i promotori dell’aborto sono riusciti a diffondere anche in Irlanda, oscurando quanto la natura e la scienza ci testimoniano, ossia che la vita - dall’istante del concepimento al parto - è biologicamente un continuum.
 
Se in un ordinamento si introduce l’idea che sia ammissibile sopprimere un feto di tre mesi, non si vede quale motivazione logica si potrà poi opporre alla non uccisione di un feto di 4-5-6 mesi e oltre (per inciso, il 5% dell’Assembly ha chiesto l’aborto senza restrizioni fino a un giorno prima della nascita), tant’è che in tutti i Paesi con leggi abortiste ci sono forti pressioni per spingere sempre più in là il termine entro il quale si può uccidere legalmente il bambino in grembo, senza contare gli innumerevoli attacchi all’obiezione di coscienza, che sperimentiamo da anni anche in Italia. E acquistano sempre più seguito certi bioeticisti, i quali - con cinismo, ma con un’argomentazione che sul piano logico non fa una grinza - sostengono che in tutti i casi in cui è consentito l’aborto vada consentito l’omicidio dei già nati. Ecco perché sono verissime le parole di santa Teresa di Calcutta, che definì l’aborto “il più grande distruttore di pace nel mondo”.
 
L’Irlanda è ancora in tempo per fermare questa deriva, ma è chiaro che il percorso intrapreso non rassicura e non sarà semplice arrestarlo, visto che la cultura pro-life dovrà fronteggiare non solo i movimenti abortisti interni che hanno il sostegno dei maggiori media, ma anche istituzioni e gruppi internazionali che sostengono politicamente e finanziariamente la campagna per introdurre l’aborto.
 
Alla luce di questa serie di votazioni, l’Assembly scriverà un rapporto e lo invierà entro giugno al parlamento, dove sarà analizzato da un’apposita commissione. Anche se i parlamentari non saranno vincolati a rispettare le indicazioni del rapporto, tutte le forze politiche considerano ormai scontato lo svolgimento di un referendum nel 2018, con un quesito che verrà formulato dalla commissione sulla base di quanto emerso all’Assembly.
 
Si tratta di una procedura quasi identica a quella che nel 2015 ha portato al riconoscimento del “matrimonio gay” nella Costituzione irlandese. Il Paese nordeuropeo si ritrova con dei politici eletti che, invece di assumersi direttamente le proprie responsabilità (nel caso concreto, difendendo una norma costituzionale che ha salvato migliaia di bambini), le cedono temporaneamente, per convenienza, a cittadini scelti in modo casuale da una società di sondaggi, in una parvenza di ‘buona’ democrazia che finisce per condannare l’innocente, mettendo ai voti e negoziando ciò che negoziabile non è: il diritto alla vita.
Il tutto avviene in un contesto di informazione asimmetrica, dove le bugie dell’autodeterminazione come modello di civiltà vengono amplificate quotidianamente, mentre non trovano spazio le voci dei genitori e dei bambini - molti dei quali oggi adulti - salvati anche grazie a una norma giusta.