Iraq allo sbando, l'Isis torna ad essere forte
Con l'Iraq nel caos politico più completo, le milizie dell'Isis stanno tornando a colpire nel Nord del Paese, contando ancora sulla complicità di una popolazione sunnita che si sente emarginata da un governo sciita. L'annuncio del ritiro Usa non facilita.
Lo Stato islamico torna in auge nel Nord dell’Iraq approfittando del caos in cui versa il Paese arabo attraversato da massicce rivolte popolari che contestano l’inaffidabilità e la corruzione dilagante nella classe dirigente scita dell’Iraq post Saddam Hussein.
Due anni dopo aver perso Mosul, capitale dell’Isis in Iraq, la milizia jihadista è tornata a combattere con forze organizzate anche se per ora si limita ad attacchi “mordi e fuggi” e ad attentati senza disporre della capacità di conquistare e mantenere sotto il suo controllo centri urbani e province. A evidenziare uno sviluppo militare evidente già da tempo è stata un’inchiesta della BBC che ha valutato la situazione sul campo confrontandosi con diversi esperti militari e di intelligence.
"I miliziani sono ora più abili e più pericolosi di al-Qaeda", afferma Lahur Talabany, un alto funzionario dell'antiterrorismo curdo. "Hanno tecniche migliori, tattiche migliori e molti più soldi a loro disposizione", spiega. "Sono in grado di acquistare veicoli, armi, scorte di cibo e attrezzature. Tecnologicamente sono più esperti ed è più difficile stanarli". Dopo un anno di riorganizzazione è emerso un diverso tipo di Isis, che non punta per ora a controllare porzioni di territorio iracheno ma opera con attacchi di guerriglia, come le milizie qaediste che combatterono gli statunitensi dopo la caduta di Saddam Hussein e l’invasione anglo-americana del Paese. Le unità combattenti del redivivo IS avrebbero parte dei loro santuari in rifugi sotterranei nelle montagne irachene di Hamrin, una lunga catena montuosa ricca di grotte e molto difficile da controllare per l'esercito iracheno, complice anche il congruo travaso di forze dall’area di contrasto con i jihadisti nelle grandi città per garantire l’ordine pubblico.
Il caos politico e sociale a Baghdad e in tutto il Paese si unisce all’emarginazione mai risolta della comunità sunnita del Nord e dell’Ovest: quella stessa popolazione che sostenne al-Qaeda in Mesopotamia di Musayb al-Zarqawi e poi lo Stato Islamico di Abu Bakr al-Baghdadi e che oggi certo non si riconosce nel fallito Stato iracheno a guida scita e da molti giudicato troppo appiattito sull’Iran.
Secondo l'intelligence curda al momento l'Isis può contare su circa 5 mila combattenti e su altrettanti fiancheggiatori. Numeri difficili da confermare o smentire, forse insufficienti per scatenare una nuova guerra, ma certo idonei a mettere in difficoltà i governativi facendo perdere loro il controllo del territorio. Del resto quanto sia grave la situazione della sicurezza in Iraq lo dimostra anche la rinuncia della comunità cristiana a celebrare la Messa della notte di Natale, cancellata da ogni chiesa di Baghdad.
Per il cardinale Louis Raphael Sako, patriarca caldeo della capitale irachena e presidente dei vescovi cattolici del Paese. "in molti ci hanno sconsigliato di evitare le celebrazioni notturne e di spostarle nella giornata. Cosa che abbiamo deciso di fare per scongiurare possibili attacchi. C'è una confusione totale, è una cosa assurda” ha spiegato Sako. “Le persone che protestano nelle piazze vogliono ottenere una vita degna: lavoro, servizi, libertà. La classe politica attuale lavora solo per i propri interessi e non ha fatto nulla in questo senso. Non sappiamo dove vada a finire il denaro pubblico, l'elettricità in tutto il Paese è molto debole, in molti casa manca l'acqua e la situazione di scuole ed ospedali non è buona”. Sako ritiene che la scarsa sicurezza della capitale sia da attribuire all’assenza del governo mentre le milizie “possono fare tutto ciò che vogliono”.
Ad aggravare la situazione della sicurezza e a incoraggiare l’impressione che l’Iraq sia abbandonato a sé stesso contribuiscono anche le notizie di un imminente ridimensionamento delle truppe statunitensi presenti nel Paese arabo per fornire assistenza nella lotta contro il Califfato. Il New York Times ha reso noto un piano dell’Amministrazione Trump, a cui il Pentagono sta per dare esecuzione, che prevede una forte riduzione dei 200 mila militari USA oggi schierati all’estero con ritiri di truppe da Afghanistan, Africa, America Latina e Medio Oriente. Proprio in quest’ultimo scacchiere Washington si appresterebbe a dimezzare da gennaio i circa 5mila militari schierati in Iraq.
Lo stesso errore che dieci anni or sono caratterizzò le scelte dell’Amministrazione Obama (anch’essa alla ricerca di un secondo mandato) con l’affrettato ritiro delle truppe dall’Iraq che favorì la successiva rivincita dei jihadisti che nel 2014 penetrarono nel nord ovest dell’Iraq sotto le bandiere dello Stato Islamico.