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ISLAM

Iraq, al Sadr si ritira e scoppia il conflitto fra sciiti

Le guerre civili nel Medio Oriente scoppiano per cause che poi spesso vengono dimenticate. Così in Iraq, l'estremista sciita Al Sadr, protagonista dell'insurrezione anti-americana, ha vinto le elezioni del 2021, ma non ha accettato gli accordi per condividere il potere con gli altri partiti sciiti. L'annuncio del suo ritiro ha scatenato la guerriglia urbana. 

Esteri 31_08_2022
Brigate della Pace

Le guerre civili, nel Medio Oriente, scoppiano per cause che poi spesso vengono dimenticate. Non è detto che in Iraq scoppi di nuovo la guerra civile, ma i disordini che sono avvenuti ieri a Baghdad e hanno lasciato sul terreno almeno 17 morti hanno una causa ben precisa: uno scontro per il potere, fra fazioni musulmane sciite. Non si tratta dunque di una guerra di religione (fra sciiti e sunniti) e neppure etnica (fra arabi e curdi), come l’Iraq ci ha abituati in questi venti anni. E almeno stavolta i jihadisti sunniti (Al Qaeda e Isis) non c’entrano.

Le elezioni si sono tenute lo scorso ottobre, dando la vittoria al partito sciita di Al Sadr, imam filo-iraniano ed estremista, alla testa di una delle più potenti milizie armate del Paese. Al Sadr, per chi ricorda la guerra in Iraq e la prima insorgenza contro le forze internazionali, era il più estremista di tutti. Figlio del più noto imam (e dissidente politico) Mohammed Sadeq al Sadr, dopo la deposizione di Saddam Hussein nel 2003, iniziò la sua ascesa politica con l’intento di farne una repubblica islamica. «Saddam era un piccolo serpente, ma l’America è il grande serpente», aveva dichiarato ad un attonito intervistatore statunitense già nel 2003. Nel caos del dopoguerra, aveva reclutato migliaia di uomini, organizzati nella Armata del Mahdi, il 5 aprile 2004 proclamò il jihad contro gli americani e le forze della Coalizione. Mise a ferro e fuoco il Sud dell’Iraq e anche i quartieri sciiti della stessa capitale Baghdad, soprattutto Sadr City ribattezzata così in onore di suo padre. Dove le sue milizie dominavano, la sharia veniva imposta nella sua versione più rigida e severa, comprese le punizioni corporali più crudeli come il taglio della mano o l’esportazione degli occhi.

La prima insurrezione mahdista venne repressa in un mese, ma la guerriglia proseguì fino al 2007, quando al Sadr, fuggendo all’arresto, si recò in Iran dove proseguì i suoi studi islamici. Le sue milizie, in Iraq, continuarono a condurre attentati e azioni di guerriglia, cercando la cooperazione anche di estremisti sunniti. Sadr rientrò in Iraq solo nel 2011, all’indomani del ritiro del contingente internazionale voluto da Obama. Divenuto eroe dell’insorgenza sciita, incominciò a dominare la politica con il suo gruppo politico, il Blocco Al Ahrar. Nel febbraio del 2014, tuttavia, annunciò il suo primo ritiro dalla politica e la chiusura di tutte le sedi del suo partito. Ma venne richiamato bruscamente all’azione, quando l’Isis creò nel Nord dell’Iraq il territorio del Califfato, dopo aver sbaragliato l’esercito regolare a Mosul. Sadr, a questo punto, creò nuove milizie, chiamate “Brigate della Pace”, senza ironia, per proteggere le comunità sciite dal nuovo nemico. Nella sua seconda carriera politica, iniziata subito dopo la cacciata dell’Isis, Sadr si è reinventato come “leader nazionalista”, meno religioso nei toni, alleato con partiti sunniti e comunisti. Fu protagonista indiscusso delle grandi manifestazioni contro la corruzione nel 2016.

Sempre critico nei confronti della maggioranza sciita, sempre violentemente anti-americano e fedele alleato del regime dell’Iran, al Sadr è stato il vincitore indiscusso delle elezioni del 2021, in ottobre. Ma non ha mai concluso le trattative con gli altri partiti sciiti, per formare un governo di coalizione.

Dopo quasi 11 mesi di stallo, alla fine, per protesta, al Sadr ha annunciato le sue nuove dimissioni, il suo secondo ritiro dalla politica, in un’atmosfera già avvelenata. Da settimane, infatti, i suoi sostenitori (anche armati) erano accampati di fronte al parlamento, a Baghdad, chiedendo elezioni anticipate. L’annuncio del leader religioso ha scatenato la rabbia dei manifestanti e dei miliziani delle sue “Brigate della Pace”.

Centinaia di manifestanti, urlando slogan aggressivi, si sono mossi in piccoli gruppi per attaccare i contro-manifestanti fedeli al governo. Più tardi nel pomeriggio, dentro la Green Zone (che include tutte le sedi istituzionali) le Brigate della Pace hanno attaccato le forze di sicurezza regolari e le milizie sciite rivali che intendevano disperdere le manifestazioni. Sono state impiegate anche armi pesanti e il bilancio delle vittime è salito ad almeno 17 morti e un centinaio di feriti. Per evitare lo scoppio di una guerra civile, l’esercito ha imposto il coprifuoco, ma per gettare acqua sul fuoco, il primo ministro Mustafa al Kadhimi non ha ordinato all’esercito di intervenire, né ha mobilitato le milizie armate governative (la Forza di Mobilitazione Popolare) per disperdere le forze sadriste.