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IL RICORDO

«Io, Wojtyła e la Verità da interrogare»

«Conobbi il professor Wojtyła e subito mi cambiò la tesi: “Lavora su Sartre per aiutare i marxisti a capire il loro errore antropologico e noi a prepararci ad affrontare la laicizzazione incalzante”. Aveva ragione perché sapeva leggere “storia” della persona umana alla luce dell’atto della creazione, del Principio, del logos. E parlava dicendo “sì, sì - No, no!”: sapeva che tutto ciò che è in sovrappiù proviene dal Maligno, dall’Antilogos, dall’Anticristo. Ci insegnava a porre domande sulla verità, rivelandoci la sua felicità. E non si vergognava di nulla perché tutto ciò che era in lui, virtù e difetti, lo orientavano a Dio. Da lui ho imparato che non si scherza impunemente con la verità e con il senso dell’uomo». A 100 anni dalla nascita il ricordo intimo di Giovanni Paolo II da parte del suo allievo Stanislaw Grygiel. E la sua eredità filosofica. 

Editoriali 18_05_2020

Quando ci volgiamo al 1920, l’anno della nascita di Karol Wojtyła, poi Papa Giovanni Paolo II, i miei pensieri tornano al giorno in cui per la prima volta ebbi l’occasione di parlare con lui. Ciò avvenne sul finire del 1958. Domandai all’allora giovane professore, appena nominato vescovo ausiliare di Cracovia, di accogliermi nel suo seminario per i dottorandi che egli dirigeva all’Università Cattolica di Lublino. Dopo una breve discussione, cambiò il mio progetto di scrivere la tesi sulla filosofia della dignità dell’uomo nelle opere di Albert Camus. Propose invece una comune meditazione sulla filosofia di Jean-Paul Sartre, dal momento che - diceva - questa filosofia avrebbe aiutato i marxisti a capire il loro errore antropologico, la negazione della libertà, e aiutato noi a prepararci ad affrontare la laicizzazione incalzante. Solo tanti anni dopo mi sono reso conto fino a qual punto il suo pensiero fosse unito alla realtà del momento presente, cosa che gli consentiva di raggiungere il futuro lontano e scorgervi le tenebre che si avvicinavano.

Egli leggeva la “storia” della persona umana alla luce dell’atto della creazione da cui essa scorre come un grande torrente fino ad ora (Il Padre “opera sempre” - cfr. Gv 5, 17). Di uomini così fatti  diciamo che sono mandati al mondo da Dio, che con testimonianza da loro resa alla verità della Sua creatura, preserva l’uomo dallo smarrire la via tracciata verso la casa paterna. Questa casa è la bellezza della verità e del bene affidati al lavoro di ogni uomo nell’unità con gli altri uomini. L’uomo lavora sulla verità e sul bene nella misura in cui entra nel lavoro degli altri e allo stesso tempo li lascia entrare nel lavoro al quale egli stesso è stato chiamato. Il professore Karol Wojtyła sapeva entrare nel lavoro degli altri e sapeva aprire agli altri il suo stesso lavoro. Egli era maestro evangelico, testimone cioè della verità e del bene, uno che apparteneva ad essi e che attraverso di essi riceveva da Dio il nome e la libertà, e perciò la dignità.

L’esperienza della stupidità e della malvagità dell’occupante tedesco e poi di quello sovietico aveva purificato nella persona del futuro Papa il senso della verità e del bene che si rivelano e si realizzano nel dono della bellezza in cui ogni uomo viene in questo mondo. Il disprezzo per questa bellezza da parte degli occupanti gli aveva fatto vedere la necessità di rendere alla bellezza dell’uomo la testimonianza nel pieno senso di questo termine. Nella lingua greca il testimone è martyros e il verbo martyromai parla non solo del rendere testimonianza alla verità ma anche del protestare contro la sua distruzione. L’uomo, se così posso dire, viene in questo mondo per rendere testimonianza alla verità fino a dare la vita per lei. La verità dell’uomo si è rivelata nella Persona di Cristo. Per conoscere questa verità non basta quindi parlare dell’uomo concreto, di come egli vive qui ed ora. La filosofia e ancora di più la teologia che oggi vengono limitate  al raccontare il presente sociologico e psicologico della persona umana, dei matrimoni e delle famiglie in cui essa dimora, tradiscono l’uomo e Dio. Li tradiscono di solito per le monete d’argento ricevute da qualche lacchè dell’Antilogos.

È soprattutto il marxismo ad averci introdotti in un così insidioso pensare dell’uomo. Il suo principio, che le nostre azioni (praxis) sono la conoscenza della verità e del bene, perché li creano, continua a devastare le menti e i cuori della cosiddetta élite del mondo occidentale, nonostante l’esperimento sovietico di formare la vita umana secondo questo principio si fosse infranto nel tragico scontro con i testimoni della verità e del bene, che alla menzogna e al male dicevano: “No!”.

Oggi, in occasione dell’anniversario della nascita di san Giovanni Paolo II, bisogna ritornare al suo parlare che sempre era: “Sì, sì - No, no!”. Questo Papa sapeva che tutto ciò che è in sovrappiù proviene dal Maligno, dall’Antilogos, dall’Anticristo. Perciò Egli richiamava ripetutamente al ritorno al Principio, cioè all’atto della creazione “dell’universo e della storia” (Redemptor hominis, 1), per leggere alla luce del Principio il mondo creato da Dio nel Suo Figlio, Logos, il mondo dato e affidato come compito all’uomo creato  maschio e femmina. L’Amore che è Dio crea l’uomo perché in questo lavoro diventi amore “a immagine e somiglianza” proprio dell’Amore che lo sta creando. Nella storia della creazione l’amore che fa l’uomo e la donna “una carne” rappresenta un paradigma secondo il quale occorre giudicare tutti gli amori e tutte le amicizie umane. Al punto che solo il linguaggio nato nell’amore che unisce l’uomo e la donna possiamo parlare dell’amore che ci unisce con Dio.

Il moderno Antilogos deve colpire questo amore, se vuole formare l’uomo e la società così da renderli disposti a seguire la sua ragione diabolicamente calcolante. Deve colpire anche la fede, intesa come l’affidamento della persona alla persona, e la speranza, che si identifica con il riporre fiducia nelle conseguenze della fede e dell’amore. Nel dono che sono la fede, la speranza e l’amore, si rivela e si realizza il dono della libertà. L’Antilogos deve colpire in definitiva la libertà e la dignità dell’uomo.

Nella persona che è presente a noi e che a noi si affida, che pone in noi la speranza e ci ama, si rivela la Verità da cercare affinché la diventiamo. Essa si rivela nel suo riflesso lasciato sulla persona così presente. Il giovane vescovo Karol Wojtyła era consapevole della soppravveniente crisi della persona e della società, cioè della crisi della fede, della speranza e dell’amore, della crisi della libertà. Questa crisi si annunciava con la sostituzione delle domande fondamentali sulla verità e sul bene con le domande sulle cose immediate, da essi lontane.

L’uomo lancia la domanda sulla verità alla Trascendenza che è la Persona, poiché solo Lei è in grado di rispondere o, meglio, di essere risposta ad una tale domanda. Lancia dunque la sua domanda nell’affidamento a questa Persona nella speranza e nell’amore che l’orientano proprio a Lei. La modernità distrugge questa domanda, deformando la fede, la speranza e l’amore, cioè deformando la libertà dell’uomo. Per chiudere l’uomo nel mondo delle domande sulle cose immediate, la modernità cerca di togliergli la capacità di leggere “il segno”, che è “l’universo e la storia” dell’amore a lui affidato come compito.

La modernità ha distolto perciò i pensieri e il cuore dell’uomo dal “centro dell’universo e della storia” (Redemptor hominis, 1), sicché il suo intellectus ha smesso di leggere ciò che avviene tra questo “centro” e lui stesso (il termine intellectus deriva dal verbo inter-legere che parla della lettura dell’evento della verità tra due realtà). Non sono rimasti che i numeri e le operazioni della ragione calcolante, cioè della ratio (dal verbo reor, ratum, calcolare). Il razionalismo matematico ordina a questa ragione di creare varie trascendenze e di credere che in esse avvengono “l’universo e la storia”. Ognuna di queste trascendenze è Antilogos in cui non c’è né il Principio, né la Fine. Di conseguenza l’universo e la storia vengono radicati nel vuoto.

La crisi della domanda sulla verità, cioè la crisi del ricevere il dono della fede, della speranza e dell’amore che sono dono della libertà, è un segno di come la filosofia e la teologia si staccano dalla realtà che avviene  tra il Principio e la Fine. Quanti filosofi e quanti teologi, infatti, pensano ancora in modo escatologico! E quanti di quelli che cercano ancora la verità vengono chiusi nelle riserve assegnate agli ultimi moicani dell’escatologia!

La mancanza delle domande escatologiche sulla verità spinge gli uomini ad entrare nella miseria della solitudine che consiste nel loro stare l’uno accanto l’altro ma senza essere presenti l’uno all’altro. Ognuno si trova in una stanza dove l’Antilogos ha chiuso tutte le porte. Proprio contro questo misterioso Antilogos che suscita orrore e paura Giovanni Paolo II aveva protestato (martyros) gridando: “Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!”. Aprite le porte ad un altro uomo! Salvezza della persona è sempre un’altra persona. Alla fine, lo è la Persona del Figlio in cui Dio crea ciascuno di noi.

Il professore Karol Wojtyła ci insegnava a conoscere l’uomo, insegnandoci a porre domande sulla verità della “storia” del suo amore: “Dove andare?”. Nello stesso tempo ci insegnava a cercare la risposta in un’altra persona. L’uomo ri-nasce in lei. La presenza di un’altra persona dà inizio ad una nuova vita in lui. L’altra persona è trascendenza, sulla quale rimane il riflesso della Trascendenza della Persona del Padre che ci illumina ed affascina, ed è su queste Divine altezze che ci aspettano l’Amore e la Libertà desiderati dal nostro “cuore inquieto”.

In tutto ciò che il professore Karol Wojtyła diceva si sentiva la verità dell’uomo creato nella differenza ontologica (il Creatore – il creato) e in quella sessuale (“Dio creò l’uomo maschio e femmina”). Queste due differenze formano l’antropologia adeguata e la teologia del corpo che nacquero nella contemplazione della bellezza della persona umana, la bellezza rimandante alla Bellezza che è soltanto Dio. Queste due differenze formano le domande di Karol Wojtyła sull’amore, sull’affidamento della persona alla persona, sulla loro speranza. Esse formano la sua comprensione della libertà, cioè la comprensione del dono dell’amore e della sua “storia”. Egli sentiva che eliminare queste differenze dalla visuale della persona umana avrebbe provocato il caos e la confusione nei pensieri e nei cuori delle persone e nella società. Approfittando del caos e della confusione l’Antilogos introduce oggi non solo nella società ma anche nella Chiesa i nuovi paradigmi della fede, dell’amore e della speranza e i nuovi paradigmi del parlare che eliminano il dire alla Verità del Logos: “Si!”, e il dire all’Antilogos: “No!”. Per l’Antilogos gli uomini devono essere antilogici.

La persona del professore Karol Wojtyła irradiava l’ordine interno. In lui si rivelava la felicità che lo penetrava e di cui Cristo parla nel Discorso della Montagna (cfr. Mt 5, 3-12). Senza questa beata felicità non c’è né una buona filosofia, né una buona teologia. Egli ci insegnava a porre domande sulla verità, rivelandoci la sua felicità. Non si vergognava di nulla, perché tutto ciò che era in lui,  virtù e difetti, lo orientava a Dio, pregando di mostrargli la Verità. In questo senso egli era un uomo umile, cioè un uomo che poteva indicare la direzione in cui bisogna andare in cerca della verità, senza mortificare quelli che vivevano e pensavano in un altro modo. Guardava tutti con uno sguardo sorridente. Proprio per questo egli era qualcuno che è più che un professore. Quando chiamava a vivere delle domande fondamentali sulla verità, cioè a pensare, chiamava a convertirsi al Principio della vita, Principio che è anche la sua Fine. Egli era maestro che insegnava a pensare bene, quindi a vivere bene.

Se dovessi rispondere alla domanda di che cosa sono debitore al professore Karol Wojtyła, risponderei: Gli devo soprattutto la convinzione e la sicurezza che la filosofia è un’azione dell’uomo così importante e così grave che chi la rende un gioco scherza con il fuoco pericoloso per sé stesso e per l’ambiente. Il fuoco tempra, ma trattato con spensieratezza lascia soltanto rovine e riduce tutto in cenere. Non si scherza impunemente con la verità e con il senso dell’uomo e dell’universo in cui gli è stato dato di vivere.