Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Interviste rivelatrici

«Io sò io...». Zuppi teme il confronto e risponde a slogan

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Intervista in ginocchio del Corriere al presidente della Cei. Benedizioni alle coppie gay? «Facciamoli entrare, poi vedremo di spiegare le regole»; «I nemici di Papa Francesco sono gnostici»; «La Chiesa sta cambiando». Parole slogan, senza analisi, di un marchese del Grillo in carriera.

Editoriali 27_12_2023

Secondo il cardinale Matteo Zuppi il Vangelo non è un distillato di verità. Chissà che cosa avrà voluto dire con questa frase nel corso dell’intervista rilasciata ad Aldo Cazzullo sul Corriere il giorno di Natale. Forse che non bisogna leggerlo come un insieme di regole sganciate dalla vita? O forse che più importante della verità è l’umanità delle persone? Strano modo di ragionare quello del presidente della Cei, che affida pensieri e concetti importanti ad un giornalista di costume che inizia sempre le sue interviste a chiunque, cantanti, attori o personaggi del jet set con la stessa domanda: «Il primo ricordo che ha da bambino?».

L’intervista affronta tutte le questioni drammatiche che sta vivendo la Chiesa oggi e lo fa con uno stile da rotocalco dove l’analisi e la complessità si perdono a favore delle frasi ad effetto, che catturano l’empatia. Finisce che argomenti scottanti e dibattuti, che stanno davvero frantumando il corpo episcopale vengano liquidati con grande semplicità come una guerra tra tradizionalisti e innovatori. Vescovi in tutto il mondo stanno prendendo posizione contro quel documento, un fatto che non si verificava da tempo nella Chiesa. Ma per lui non esistono. Non ne parla, nè l'intervistatore glielo chiede. Per lui esiste solo lui. «Io sò io...e voi non siete un...».

Troppo poco, troppo facile. Ma è lui che, nonostante voglia apparire liquido, nelle sue risposte appare invece molto più dogmatico e schematico di quanto si possa pensare. Perché lo schema mentale che segue Zuppi è quello degli anni ’70, schema che buon per lui ora è al potere nella Chiesa. Uno schema che vede tradizionalisti da una parte e progressisti dall’altra. Di qua il futuro radioso, di là il passato limaccioso. Fine dell'analisi. Il suo pensiero non riesce ad un uscire da questo loop, nel quale però è chiaro da che parte sta: dalla parte di quelli che vogliono rivoluzionare, nonostante per tutta la vita, dentro quella «Chiesa che deve cambiare», lui sia stato più che bene e abbia fatto la sua bella cariera.

Esige che lo si chiami “don” Matteo, perché chiamarlo “eminenza” suona da Chiesa pre conciliare, vuole apparire moderno e progressista, vicino, aperto e liquido, ma quel che ne esce, invece, è piuttosto il ritratto di un ecclesiastico borghese e con tutti i piedi piantati da sempre nei gangli della Chiesa istituzionale. Nei suoi pensieri non c'è il ragionamento, ma il cliché, lo stereotipo manicheo secondo il quale non c'è verità da imporre, ma io comunque la verità ce l'ho. 

I genitori? Il padre era direttore dell’Osservatore Romano, lo picchiava con la cinghia, ma – sentite questa - «lo faceva per dovere di mentalità, in realtà era buonissimo». Insomma: un buon cinghiatore. E la madre? Era nipote del cardinale Confalonieri che «era l’opposto del nepotista: “Non voglio parenti in Vaticano” diceva». Niente male, sapesse oggi che il nipote acquisito è finito ad essere l’ambasciatore ombra della Santa Sede e il capo dei vescovi italiani! 

Anche la scelta del pauperismo, quella che una volta si chiamava “l’opzione per i poveri”, dal suo racconto sembra essere proprio quella del classico figlio della borghesia romana che, volendo fare la rivoluzione, inizia a occuparsi dei poveri come categoria sociale da sbandierare (lo facevano i comunisti, i cattocomunisti e i carrieristi, tipo Giuda), ottenendo così di farsi chiamare "don" anche adesso che è cardinale perché deve conservare l’etichetta di “prete di strada”, unico titolo richiesto per fare carriera in Vaticano. Ha fatto così con la Comunità di Sant’Egidio e fa lo stesso anche per la categoria dei migranti. Un prete di strada, ma con autista e segretaria.

Ovviamente c’è la difesa a spada tratta di Luca Casarini, del quale arriva addirittura a dire che bisogna dargli fiducia perché «lui è cambiato, fa cose per la vita» perché tutti quelli che salvano profughi in mare non sono complici degli scafisti. Peccato che quelli che si riversano sulle nostre coste non siano profughi, ma clandestini. Disperati ingannati e indotti a partire, alimentati da un mercato di sfruttatori che la Chiesa di Zuppi fa finta di non vedere per evidente comodità. Ma questo, Cazzullo - principe degli intervistatori in ginocchio - non glielo ricorda.

Nell’intervista Zuppi, con il suo fare pacioso e la sua bonomia da amico della porta accanto ne ha per tutti, ovviamente con la falsa umiltà di chi sa di essere in realtà la ripresentazione del Marchese del Grillo, del quale ha ereditato – per origini romane e lignaggio – le movenze. «Io sò io, e voi non siete un…».

«La Chiesa sta cambiando rapidamente»; «Il Vangelo non è un distillato di verità». «Alcuni avversari del Papa (Chi? Quali? Dove? ndr) mi ricordano gli gnostici, che riducevano Dio a entità e la fede a un salotto intelligente, senza esperienza umana». E sull’ultimo affondo, quel Fiducia supplicans che autorizza le benedizioni delle coppie omosessuali? «Il problema è pastorale. Certe cose le puoi dire dopo che hai fatto sentire di nuovo a casa. Così sarà possibile imparare le regole — bellissime — di una casa da cui ci si era allontanati, che si pensa non capisca e che non viene capita». Che tradotto vuol dire: “La vostra unione va bene, non posso dire che è peccato perché prima devo farvi entrare dentro. Dopo che siete entrati però, imparerete le regole”. Ma quali?

Solo Zuppi può mandare frecciate al suo predecessore, il cardinale Caffarra, definito un «sant’uomo», ma «rigoroso», che equivale al rigido di bergogliano conio. Secondo “don Matteo” il povero Caffarra «era preoccupato che la gente non capisse con chiarezza il messaggio, e quindi voleva che il Papa dicesse come si fa, indicare le regole». Ma ecco dove sbagliava: «La regola c’è, ma Papa Francesco si raccomanda di renderla efficace nella diversità delle situazioni». Quindi? Non si sa. In quanto a Caffarra, pace all'anima sua. Intanto si aprono processi.

Come quello dei preti sposati: «I preti sposati li abbiamo già. Sono i cattolici orientali, in Romania, in Ucraina, anche qui nel nostro Paese: a Rossano in Calabria, a Piana degli Albanesi in Sicilia. Sulla questione dei “viri probati”, emersa durante il Sinodo sull’Amazzonia, il Papa ha ricordato che è lo Spirito ad agire, non la pressione dell’opinione pubblica». E perciò, sì o no? Boh, però intanto fa brodo nella zuppa di Zuppi.

Ecco il suo successo, apparente. Si fa intervistare con leggerezza, non affronta di petto nessuna delle critiche che sempre più autorevoli intellettuali, vescovi, teologi e persino cardinali (vedi Burke e Muller) stanno rivolgendo a questo pontificato. Ma li liquida sprezzantemente con epiteti: "rigorosi", "gnostici" etc... Però il perché lui abbia ragione e gli altri no, non lo dice. Troppo difficile. Ma lui è lui...e tutti gli altri non sono un...