Io, Sentinella, aggredita da squadristi gay
Bologna, Rovereto, Torino, Milano, Napoli... Persone pacifiche, silenziose, con libri in mano, insultate e aggredite da gruppi di arrabbiati che volevano impedire loro di manifestare, di esistere. Domenica abbiamo potuto vedere quel che accadrebbe se una legge sull'omofobia fosse approvata.
Bologna, Rovereto, Torino, Milano, Napoli… in molte delle città in cui hanno vegliato le Sentinelle in Piedi, gli scorsi 4 e 5 ottobre, queste sono state oggetto di insulti e provocazioni, in alcuni casi vere e proprie aggressioni da parte di attivisti gay, partecipanti ai centri sociali, talora appartenenti a Rifondazione Comunista o a Sel o anarchici. Ci sono stati alcuni feriti, per fortuna lievi, è stato dato fuoco a del materiale, c’è stato un clima di intimidazione generale.
Le Sentinelle, è bene ricordarlo, sono una rete aconfessionale e apartitica, che ha scelto come forma di protesta la veglia silenziosa, scendendo in piazza per un’ora a leggere un libro, simbolo della formazione permanente. Le Sentinelle sono nate per contrastare il progetto di legge Scalfarotto sull’omofobia, che tenta di introdurre nel nostro ordinamento il reato di opinione con la scusa della lotta all’omofobia. Il presupposto è la convinzione che per contrastare ogni atto odioso di violenza sugli omosessuali sia sufficiente applicare le leggi vigenti che tutelano ogni cittadino, eventualmente con l’aggravante, già prevista, dei motivi abietti. Inoltre le Sentinelle vogliono ribadire il loro diritto a dire che la famiglia si fonda sul matrimonio di un uomo e di una donna e che i bambini hanno bisogno di una mamma e di un papà.
Sembrano obiettivi semplici e di buon senso, o chissà, magari per qualcuno non di buon senso, ma certamente coerenti, ad esempio, con il dettato costituzionale, con il credo religioso di moltissimi nostri concittadini, con la storia del nostro paese: vorremmo che fossero almeno considerate opinioni legittime.
Invece così non è stato. Una parte della mia famiglia era in piazza Carignano, a Torino, domenica scorsa. Siamo stati fatti oggetto di insulti pesantissimi, derisi, invitati a suicidarci, chiamati fascisti, e ci è stato ingiunto di vergognarci. I toni erano di un’aggressività verbale davvero inaccettabile, tanto che mio figlio di 10 anni, che si era portato da leggere una divertente parodia di Harry Potter, si è sentito male e abbiamo dovuto allontanarlo. Un altro mio figlio, dodicenne, intento a leggere una biografia di Steve Jobs, proprio perché identificato come giovanissimo, è stato insultato con insistenza, ma è rimasto calmo al suo posto, anche se molto scosso interiormente. Ugualmente turbata la figlia quattordicenne, che leggeva Il diario di Anna Frank. Quello che urlavano alcuni dei democraticissimi sostenitori della nostra non-libertà di manifestare era che fosse scandaloso portare dei giovanissimi. Non hanno ritenuto che lo scandalo, eventualmente, lo stavano dando loro con gli insulti e la violenza che esprimevano.
Gli stessi ragazzini che, secondo la loro parte politica e seguendo le linee guida messe a punto dall’Unar, dovrebbero essere sottoposti sin dall’asilo ai corsi di educazione al gender, che dovrebbero essere introdotti alle gioie della masturbazione, del sesso libero, anche omosessuale, anche con adulti, gli stessi ragazzi che dovrebbero ormai sapere tutto su contraccezione e aborto, gli stessi che vengono portati ai vari gay pride a osservare amoreggiamenti da postribolo a cielo aperto; quelli stessi improvvisamente perderebbero ogni razionalità e capacità di decidere con la loro testa se per caso decidessero di testimoniare pacificamente a favore del diritto di ogni bambino ad avere un padre e una madre.
La giornata di ieri ha però reso evidente che la lotta pacifica e silenziosa intrapresa è assolutamente necessaria.
Abbiamo potuto vedere quel che potrebbe accadere se una legge sull’omofobia fosse approvata. Probabilmente il numero di violenze sugli omosessuali in quanto tali - in Italia, per altro, fortunatamente basso - rimarrebbe lo stesso, ma la polizia invece di tutelare il nostro diritto a manifestare avrebbe dovuto disperderci.
Bisogna prendere atto che, sotto la facciata di tolleranza e libertà, si sta imponendo una forma di pensiero unico, dalla quale è sempre più difficile dissentire: una dittatura dei “diritti” che non tiene conto né del diritto a pensarla diversamente, né di quello a esprimere critiche argomentate. Basta usare un vecchio trucco, in vigore fin dalle assemblee studentesche degli anni ’70: l’impraticabilità politica di chi non ci piace. Allora bastava dire che una persona o un gruppo di persone erano fascisti e veniva negato loro ogni diritto di parola, venivano resi politicamente impraticabili. “Fascista” era un’etichetta vaga, andava bene per gli appartenenti all’estrema destra, ma anche alla destra moderata, certamente per i cattolici, fino ad includere parte della sinistra moderata. “Fascista” era l’anatema che non permetteva di esprimere un’opinione, di insegnare dalla propria cattedra, di circolare per strada senza pericolo.
Ora, non che la parola non sia più utilizzata, domenica ci è stata rivolta in abbondanza, in mezzo ad altri insulti più irripetibili. Ma è stata soppiantata, o forse affiancata, da una parola di potenza ancora maggiore, ancora più delegittimante, ancora più infamante: “omofobi”. Omofobi non solo se si odiano patologicamente le persone omosessuali, omofobi se si sostiene che il matrimonio sia solo tra un uomo e una donna, omofobi se si hanno delle riserve sulle adozioni omosessuali, omofobi se non si aderisce all’ideologia del gender, omofobi persino se si legge la Bibbia o Dante, ormai. Con la scusa delle “libertà” e dei “diritti” si sta creando una forma di dittatura del pensiero unico, in cui chi dissente è immediatamente derubricato dallo status di persona per essere ridotto a nemico, a mostro da prendere “a calci in culo”, come dice elegantemente in un suo post su Facebook Selvaggia Lucarelli.
Bastava guardare le piazze: persone pacifiche, silenziose, con libri in mano, insultate e aggredite da gruppi di arrabbiati che volevano impedire loro di manifestare, di esistere, di avere un’opinione non conforme. Forse sarebbe il momento, per chi finora ha fatto finta di niente, di alzare gli occhi, di guardare in faccia le due parti che si sono contese le piazze domenica scorsa, e di decidere se davvero non li riguarda per nulla, se credono di poter stare tranquilli e al sicuro, non riconoscendo il momento in cui la prevaricazione diventa sistema e normalità.
- SENTINELLE AGGREDITE. IL SILENZIO SPAVENTA I VIOLENTI, di Andrea Lavelli