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MANI PULITE

Intervista a Formica: famiglia Borrelli offesa. Ma le accuse sono reali

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Rino Formica, ex politico socialista, svela al Corriere l'aspirazione al Quirinale del magistrato Borrelli. La famiglia si offende. Ma è tutto dimostrabile.

Politica 22_02_2024
Borrelli e Di Pietro ai tempi di Mani Pulite

La polemica non è di quelle che scaldano i cuori delle nuove generazioni, ma sa risvegliare negli adulti il ricordo di pagine della storia italiana ancora tutte da chiarire. Nei giorni scorsi sul Corriere della Sera è stata pubblicata un’intervista all’ex politico socialista, Rino Formica, ormai prossimo alle 97 primavere, che raccontava alcuni retroscena dell’epoca di Tangentopoli. Il più sensazionale riguarda l’attitudine sistematica dei servizi segreti a spiare i magistrati del pool di Mani Pulite. Secondo l’esponente della Prima Repubblica, i servizi avevano scoperto «che un po' tutti i magistrati del pool non erano stinchi di santo e che ognuno aveva la sua ambizione: chi voleva fare il Presidente del Consiglio, chi il Presidente della Repubblica…».

Secondo Rino Formica il capo del pool Francesco Saverio Borrelli puntava al Quirinale. «Quando un magistrato appare in tv e dà ordini al Parlamento, già agisce come un aspirante capo di Stato», chiarisce nell’intervista. Pare che i famigliari di Borrelli, non più in vita, non l’abbiano presa benissimo, visto che hanno scritto una lettera di rimostranze alla redazione di via Solferino. Ma come stanno realmente le cose? Bisogna davvero dare credito alle parole di un craxiano della prima ora, oppure si tratta soltanto di sue affermazioni in libertà?

Tiziana Maiolo, già parlamentare di Forza Italia, che ha vissuto in prima linea quegli anni, è intervenuta sul quotidiano degli avvocati Il Dubbio per commentare le frasi di Formica, che lei ritiene essere più che fondate. «I servizi segreti spiavano il Pool di Milano e ne scoprivano le aspirazioni politiche. Prima di tutto quella di Saverio Borrelli di diventare presidente della Repubblica. Certo che ci crediamo. E ne abbiamo le prove. Basta andare indietro con la memoria e riguardare tutto quel che hanno detto e fatto, oltre a Borrelli, Gerardo D’Ambrosio, Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo, Gherardo Colombo», scrive Maiolo.

A detta dell’ex parlamentare di Forza Italia, i magistrati di Milano puntavano trent’anni fa ad azzerare la classe politica e ad assumere il potere in prima persona, come peraltro lascia intendere nell’intervista lo stesso Formica. «Saverio Francesco Borrelli, l’aristocratico feroce capo del pool, ha passato gran parte della propria carriera di magistrato in meditazione sorniona, forse in attesa del momento in cui dare la zampata - prosegue Maiolo - e il momento arrivò, quando proprio lui in persona si offrì al presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro per governare l’Italia “come servizio di complemento”. Palazzo Chigi, si pensò. Gli imprenditori li aveva già stesi, sia pur con trattamenti diversi tra coloro, come Romiti e De Benedetti, cui fu consentito di evitare il carcere facendo un compitino scritto di allusioni più che di ammissioni, e quelli cui non fu regalato niente, fino al suicidio, come Raul Gardini. Nei confronti del mondo politico si riservò più che altro lo sprezzo. Ne pagarono il conto tutti i ministri della giustizia della prima repubblica. A partire da quel galantuomo di Giovanni Conso, sacrificato sull’altare dell’inesistente “Trattativa”, fino al liberale Alfredo Biondi, cui Borrelli diede dell’ubriacone, dicendo che non ci si poteva fidare delle sue condizioni “a un’ora tarda della giornata”. E poi lo gettò in pasto alla peggiore gogna mediatica dopo il suo decreto sulla custodia cautelare».

Ma altri particolari meno noti e in ogni caso rintracciabili nel libro di Mattia Feltri Novantatrè. L’anno del terrore di Mani pulite riguardano l’accanimento che Borrelli e i suoi dimostrarono nell’utilizzo della custodia cautelare, anche quando le disposizioni in vigore non l’avrebbero consentito. Ad esempio il trattamento riservato a Loris Zaffra, consigliere comunale milanese e segretario cittadino del Partito Socialista Italiano, ha dell’incredibile: si mise a disposizione della Procura per fornire chiarimenti e invece fu arrestato, pur non essendoci a suo carico accuse particolari (si parlò di “contesto” ma non di prove). L’obiettivo dei magistrati era indurlo ad accusare Bettino Craxi. Zaffra fu poi scarcerato ma un altro esponente del pool, Piercamillo Davigo fece ricorso. Una vera e propria violazione dei diritti dell’indagato, passata sotto silenzio insieme a tantissime altre, in un clima giustizialista montato ad arte dai media, in nome di un patto d’acciaio tra pm e giornalisti.

Borrelli in particolare adorava le manette come strumento di estorsione delle confessioni. Infatti si chiedeva: «Ma in fin dei conti è proprio così scandaloso chiedersi se lo choc della carcerazione preventiva non abbia prodotto dei risultati positivi nella ricerca della verità?». Il numero uno del pool si offrì all’allora Capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro come premier. Viste le macerie lasciate dalle inchieste di Tangentopoli sul terreno politico, sembrava che la sua aspirazione potesse concretizzarsi. Ma a fine 1993 si affacciò sulla scena politica un imprenditore che seppe conquistare in poco tempo la fiducia della maggioranza degli italiani, Silvio Berlusconi. Dopo la vittoria di quest’ultimo alle elezioni politiche del 27 marzo 1994, l’accanimento delle toghe milanesi si indirizzò verso di lui e l’avviso di garanzia recapitato al Cavaliere a Napoli durante un vertice internazionale fu la riprova della tenaglia che Scalfaro e Borrelli avevano attivato per disarcionarlo da Palazzo Chigi, con la complicità di Umberto Bossi, che dopo soli 9 mesi fece cadere il governo presieduto da Berlusconi (il famoso ribaltone). Il motto borrelliano “resistere, resistere, resistere” è l’emblema della militanza politica del capo del pool di Mani pulite, che non ha mai accettato la vittoria democratica di Berlusconi.

Il risentimento nei confronti di quest’ultimo Borrelli lo ha evidentemente lasciato in eredità ai suoi figli, che si sono inalberati l’anno scorso quando è stata annunciata l’iscrizione al Famedio, il pantheon dei milanesi illustri, del nome di Silvio Berlusconi, deceduto pochi mesi prima.

Memorabili per arroganza le parole di Federica Borrelli, figlia dell’ex procuratore della Repubblica, il cui nome era già stato iscritto al Famedio anni prima: «Vorrei fare cancellare il nome di mio padre immediatamente. Non ho parole». Quell’esternazione non è stata un’offesa soltanto nei confronti di Berlusconi, ma anche di tutti coloro che per decenni lo hanno democraticamente eletto e di chi ha ritenuto opportuno stabilire l’iscrizione del suo nome al Famedio.

In definitiva, lungi dall’essere una manipolazione della verità, come la famiglia Borrelli erroneamente insinua, l’intervista rilasciata al Corriere da Rino Formica ricostruisce correttamente i momenti concitati di una fase della vita italiana ancora piena di ombre e di sacche di impunità. Ecco perché dovrebbe essere letta financo nelle scuole per contribuire a spiegare alle nuove generazioni quanto sia importante che i magistrati facciano i magistrati senza combattere battaglie politiche e senza calpestare la volontà popolare e i diritti di molti rappresentanti della vita pubblica come fecero i magistrati di Mani pulite.