Internet e Democrazia, si cerca un equilibrio
Internet e Democrazia, il loro rapporto è destinato a condizionare il dibattito politico per tutto il secolo entrante. La "Dichiarazione di principi in tema di diritti e doveri relativi a Internet", elaborata dalla Camera è un primo passo. Ha premesse utopistiche e difficilmente cambierà qualcosa, ma è un primo invito alla riflessione.
Il tema è di quelli destinati a segnare una svolta epocale nella storia degli esseri umani e riguarda il rapporto tra democrazia e Rete. Internet ha ormai un ruolo dominante nella produzione e circolazione delle informazioni ma le leggi in vigore si rivelano sempre più inadeguate a disciplinare e risolvere i molteplici casi di conflitti tra il diritto degli utenti ad essere informati e i diritti della personalità dei soggetti coinvolti nelle notizie.
Da anni in Italia si invoca una riforma dell’art.21 della Costituzione, quello che riconosce e attribuisce a tutti (non solo ai cittadini) la libertà di manifestazione del pensiero, al fine di adeguarlo alle innovazioni tecnologiche, considerato che si tratta di un articolo tarato soprattutto sui giornali cartacei.
Ora quest’auspicio potrebbe diventare realtà, a seguito della conclusione dei lavori di una Commissione promossa dalla Presidente della Camera, Laura Boldrini, che ha prodotto una “Dichiarazione di principi in tema di diritti e doveri relativi a Internet”. Il documento è on line da oggi sul sito della Camera dei deputati e resterà per quattro mesi in consultazione pubblica, dopo di che potrà ispirare testi di legge in Italia e in Europa.
In 14 articoli si snodano tutta una serie di principi che attengono alla cosiddetta “cittadinanza digitale” e che rappresentano un aggiornamento di diritti già esistenti e che diventano più difficilmente fruibili in Rete. Anzitutto il diritto di accesso a Internet, che dovrebbe essere garantito a tutti i cittadini, indipendentemente dalle aree geografiche e dalle condizioni culturali di partenza. Già questo punto appare a tutt’oggi utopistico, considerato che in molte aree periferiche del territorio italiano si fa addirittura fatica a parlare al telefono o a connettersi a internet e che il progetto di banda larga continua a segnare il passo, sia per mancanza di strategia politica sia per scetticismo delle aziende nell’investire. E poi c’è l’analfabetismo informatico di milioni di italiani ultrasessantacinquenni che non hanno mai mandato un’email in vita loro e che ben difficilmente potrebbero abituarsi a interloquire con la pubblica amministrazione esclusivamente attraverso un computer. In questo senso, i principi della neutralità tecnologica, delle pari opportunità e dell’uguaglianza nel mondo dei media, continuano ad essere delle chimere.
C’è poi il tema dell’autodeterminazione informativa, cioè del controllo dei propri dati in Rete, che appare fortemente insidiato dallo strapotere dei colossi del Web. Questi ultimi, a fini pubblicitari e commerciali, profilano gli utenti e monitorano i nostri comportamenti di navigazione per inoltrarci pressanti suggerimenti di consumo. Anche su questo punto, al di là di pur lodevoli proclami, occorrono leggi molto vincolanti che impediscano realmente l’utilizzo delle nostre informazioni personali da parte di chi vuole utilizzarle per incrementare il proprio business.
Tutto questo rimanda alla vulnerabilità della riservatezza in Rete. Da tre anni si discute a Bruxelles della riforma della privacy, anche attraverso l’introduzione di maggiori tutele per i cittadini, come per esempio il diritto all’oblio, cioè alla rimozione di informazioni non più essenziali e non più attuali. I cosiddetti “Over the top” come Google, Amazon Facebook e altri si oppongono a una riforma del genere, che li priverebbe della possibilità di utilizzare una massiccia e illimitata mole di dati prodotti da altri. Il diritto all’oblio si è sin qui affermato per via giurisprudenziale, sia in sede europea sia nei singoli Stati nazionali, attraverso illuminate sentenze che hanno fissato un nuovo punto di bilanciamento tra il diritto all’informazione e la tutela della privacy e della dignità dei protagonisti delle notizie che circolano in Internet.
È evidente che la Dichiarazione prodotta dalla commissione parlamentare italiana non può incidere in alcun modo sull’effettività dei diritti in Rete. Può, tuttavia, stimolare una riflessione non banale sull’esigenza di non lasciare campo libero a chi nel Web vorrebbe fare la voce grossa e imporre le sue regole economiche e mercantili. Le persone hanno diritto ad essere rispettate anche in un ambiente transnazionale, ubiquo e planetario come la Rete. Una Carta dei diritti di internet potrebbe far parte della riforma dell’Agenda digitale europea, in calendario nel 2015. Nel frattempo, Stati come l’Italia dovrebbero diventare più severi sul piano normativo, emanando norme come quella sulla Web tax, in grado di obbligare soggetti dominanti sul mercato dei servizi on line a versare le tasse in Italia e a contribuire in questo modo alla crescita nazionale. Nell’attesa che il tema entri a tutti gli effetti nell’agenda delle priorità a livello di governance europea, il nostro legislatore dovrebbe ristabilire criteri di equità nella filiera di produzione e di distribuzione delle informazioni, combattendo con fermezza i saccheggi di opere creative da parte dei colossi della Rete e il conseguente impoverimento delle aziende editoriali, e non solo editoriali, del nostro Paese.